Fireball

Presentato al Far East 2009 in un piccolo focus sul thai action, Fireball è un film di genere che tradisce le attese, non riuscendo a offrire un adeguato apparato spettacolare e prendendosi decisamente troppo sul serio. Un ibrido tra pallacanestro e arti marziali affossato da un realismo posticcio, da toni melodrammatici e da una messa in scena priva di respiro.

Inquietanti mutazioni cestistiche

Quando Tan viene ustionato e picchiato fino al coma da Tun durante una partita, il fratello gemello Tai, appena uscito di prigione, prende il suo posto nella nuova squadra di Den. In una serie di violente partite di fireball, che hanno luogo all’interno di gabbie, mentre il pubblico scommette in questo redditizio business, Tai si dimostra bravo quanto il fratello… [sinossi – catalogo Far East]

Il thai action, fenomeno recente, è conosciuto nel Bel Paese grazie al successo di Ong-Bak – Nato per combattere (2003) di Prachya Pinkaew e alla distribuzione in home video di Born to Fight (2004) di Panna Rittikrai, lungometraggio tanto noioso nella prima parte quanto sorprendente ed esaltante nei successivi trenta-quaranta minuti. Il Far East 2009 ha dedicato giustamente un piccolo focus a questo sotto-genere squisitamente commerciale. Delle quattro pellicole proposte a Udine, Fireball ci è sembrata purtroppo  l’unica incapace di offrire spunti di interesse. Difficile infatti riuscire a scovare pellicole tanto deludenti da un punto di vista narrativo, tecnico e, ahinoi, spettacolare. Più che la perdonabile esilità e meccanica prevedibilità della trama (pretestuoso ci è parso il parallelo con le difficoltà politico-sociali thailandesi e da un thai action, in ogni caso, pretendiamo altro), a lasciare realmente perplessi è la messa in scena delle sequenze d’azione e l’inutilità della presunta intuizione narrativo-sportiva, ovvero la stuzzicante, almeno in teoria, fusione delle arti marziali con la tanto aliena pallacanestro. Chiariamolo subito, in Fireball si vedranno giusto un paio di palleggi e qualche tiro, peraltro inseriti senza la minima verosimiglianza sportiva nelle fantomatiche partite di questa gladiatoria versione del basket.

Sicuri che James Naismit sarebbe rimasto assai perplesso di fronte a questo spettacolo – in realtà pregustavamo già qualche straordinaria trovata acrobatica, sulla scia del suddetto Born to Fight: come dimenticare, del resto, il demenziale-geniale calcio di punizione ad aggirare la barriera naturale di alberi che finiva per abbattere il cattivo di turno? – ci limitiamo a sottolineare l’inutilità di questo incrocio sportivo, puntualmente smentito da una messa in scena che affastella una lunga serie di caratteristiche negative [1]. La macchina da presa, incollata agli attori-atleti, si muove in maniera confusa, abusando della camera a mano “sporca”, soffocando la spettacolarità degli scontri fisici, già penalizzati dall’eccessivo ricorso a primi piani e inquadrature strette. In Fireball non ci sono coreografie ad ampio respiro, non troviamo le complesse sequenze di Ong Bak 2 o Chocolate e nemmeno la capacità, ironica e divertente, di sfruttare in maniera spettacolare gli oggetti scenici del grazioso Somtum. Anche la movimentata sequenza che mescola muay thai, basket e parkour  – senza dubbio la più interessante – è realizzata al minimo sindacale [2].

Ad affossare completamente questo faticoso thai action, tuttavia, è il forzato sguardo sulle travagliate vite private dei vari combattenti, con una serie di sottotrame ondeggianti tra posticcio realismo (da qui il penalizzante utilizzo della camera a mano) e toni melodrammatici. Fatta salva una certa brutalità sfoggiata nella partita finale, Fireball è un film di genere che tradisce le attese, non riuscendo a offrire un adeguato apparato spettacolare e prendendosi troppo sul serio. La totale mancanza di ironia – torniamo, seppur con caratteristiche diverse, agli esempi di Born to Fight e Somtum – sembra essere il peccato originale di Fireball. Una maggiore leggerezza, nella trama e nella messa in scena, avrebbe forse risollevato le sorti di questa pellicola, opera quarta di Thanakorn Pongsuwan (Fake, Opapatika).

Note
1. James Naismith (Almonte, 6 novembre 1861 – Lawrence, 28 novembre 1939), insegnante canadese, è l’inventore della pallacanestro. Fu il primo, inoltre, a introdurre l’uso del caschetto nel football americano.
2. Il parkour è una disciplina sportiva metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni Ottanta. Deriva dal parcours du combattant, il percorso di guerra utilizzato nell’addestramento militare ideato da Georges Hébert.
Info
Il trailer originale di Fireball.
La scheda di Fireball sul sito del Far East.
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