Intervista a Takashi Miike

Intervista a Takashi Miike

Takashi Miike è senza dubbio uno dei grandi autori del cinema contemporaneo. Celebrato per la grande mole di film realizzati in poco meno di venti anni, Miike era presente alla Mostra di Venezia 2010 con tre film, i due Zebraman (il primo dei quali, del 2004, recuperato per l’occasione) e soprattutto 13 Assassins, in corsa per la vittoria del Leone d’Oro. Abbiamo avuto l’occasione di incontrare Miike durante i giorni della mostra, in una tavola rotonda insieme a colleghi di testate italiane e straniere.

13 Assassins è senza dubbio uno dei progetti più ad alto budget che abbia finora realizzato. Questo aspetto della produzione l’ha costretta a tenere a freno i propri istinti?

Takashi Miike: No, non ho tenuto a freno gli istinti. A dire il vero 13 Assassins non è un prodotto ad alto budget per gli standard statunitensi e neanche per quelli giapponesi. Trattandosi di una produzione mainstream ho avuto più tempo a disposizione per portare a termine il film e credo di aver mantenuto comunque la mia libertà creativa.

Confrontandosi con un genere dai canoni storicizzati come il jidaigeki, come è riuscito a mantenere intatta la propria poetica, soprattutto nella messa in scena della violenza?

Takashi Miike: Il film è il remake di un classico del jidaigeki, che non appartiene però alla mia generazione, perché avevo solo tre anni quando uscì in sala. Fu girato in un periodo ottimo per il cinema giapponese, con le grandi major che non avevano paura ad affrontare produzioni anche molto costose. La situazione oggi è assai cambiata, ma dopotutto sono cambiati anche i giapponesi, e non credo che il film di Eiichi Kudo rispecchi i gusti degli spettatori attuali. Ciononostante provo profondo rispetto per l’originale e per il regista che lo girò e spero davvero che coloro che hanno apprezzato il film quarantasette anni fa possano godere di questo mio lavoro, e ne siano altrettanto contenti.

Alla fine del film, il tredicesimo uomo della squadra di Shinzaemon, l’unico non samurai, sopravvive nonostante sia stato colpito al collo e allo stomaco. Questo lascia effettivamente supporre che possa trattarsi davvero di un tanuki: ci può dare la sua opinione in merito?

Takashi Miike: Posso dire che il personaggio rispecchia uno stile di vita indipendente e libero, estraneo alle convenzioni sociali. Più che a un uomo potrebbe assomigliare a un animale, che agisce seguendo il proprio istinto senza preoccuparsi della convivenza con gli altri membri del gruppo, e neanche delle rigide regole di comportamento del Giappone dell’epoca. Non saprei dire, in tutta franchezza, se il personaggio sia un tanuki, oppure se alla fine del film semplicemente continua a vivere. Potrebbe anche trattarsi di un fantasma. In merito a questo preferisco che sia il pubblico a decidere.

Credo che il suo film nasconda al suo interno un messaggio politico estremamente forte. I samurai sono visti in maniera piuttosto ambigua, e non sempre agiscono in maniera giusta, ancor più se si trovano ad agire in gruppo. L’intento era quello di lanciare una critica politica contro alcuni aspetti della società contemporanea?

Takashi Miike: Sì, ritengo sia possibile trovare dei messaggi politici all’interno del film. I giapponesi spesso si dimostrano deboli e privi di speranza nei confronti del mondo politico: invece di agire direttamente preferiscono lamentarsi e prendersela in modo generico contro il governo o i politici. Dal mio punto di vista credo invece che ogni individuo debba decidere qual è l’obiettivo che vuole raggiungere nel corso della sua vita e perseguirlo in completa libertà, puntando sulle proprie risorse per raggiungere la felicità. Spero davvero di essere riuscito a filtrare questo messaggio nel film.

La violenza fa parte integrante della sua poetica artistica, eppure in 13 Assassins non si vede in fin dei conti molto sangue. A cosa si deve questa scelta?

Takashi Miike: Mi sono attenuto all’originale, cercando di rispettare anche le regole del genere. Non volevo che risultasse come “il film di Takashi Miike”, volevo che il pubblico dimenticasse durante la visione chi c’era alle spalle: per questo ho fatto un passo indietro e ho lasciato sullo sfondo il mio stile classico. Nella storia non si affrontano solo i combattimenti, ma anche la psicologia di personaggi complessi, per cui ho evitato che il sangue sovrastasse con la sua presenza i dialoghi.

Le riprese di 13 Assassins sono durate davvero molto a lungo. Questo faceva parte del piano di produzione fin dall’inizio o è solo capitato per caso?

Takashi Miike: Sapevo che sarebbe stato un lavoro lungo, perché bisognava concentrarsi su ben tredici personaggi differenti, i quali tra l’altro rendono evidenti le proprie emozioni solo nella seconda parte del film. Scavare in fondo per comprendere la psicologia di ognuno dei protagonisti richiedeva automaticamente molto tempo. Ritengo che la prima metà del film, pur nella sua staticità e nella mancanza di azione, sia fondamentale perché permette di fare luce sulla vita dei personaggi, e questo permette di comprendere fino in fondo la scelta di sacrificare la propria vita per un ideale.

Nonostante la sua lunga carriera, questo è forse il primo vero film di samurai che gira. Come mai ha atteso così tanto per affrontare un genere così popolare in Giappone?

Takashi Miike: È davvero molto tempo che avevo intenzione di girare un jidaigeki, ma trattandosi di un genere assai costoso, non è facile convincere le case di produzione a investire denaro in un’operazione simile. I jidaigeki che si girano attualmente in Giappone non sono molto fedeli allo spirito originale del genere, e assomigliano di più a delle storie d’amore. Questo comporta che un autore come me, che ama al contrario incentrare il discorso sulla violenza, rifacendosi ai classici originali, abbia difficoltà a trovare i soldi per i suoi progetti. Sono dunque molto felice di essere riuscito alla fine a convincere i produttori, e ad avere la possibilità di girare un jidaigeki.

All’interno del suo discorso sull’umanità, mi sembra che vi sia una forte relazione tra 13 Assassins e Izo. È d’accordo?

Takashi Miike: Sì, probabilmente i due film hanno delle similitudini, anche perché si rivolgono a un pubblico abbastanza simile. Ma forse, al di là di tutto, la vera similitudine sta nel fatto che entrambi i film sono stati selezionati a Venezia, e quindi possiamo dire che sono film che piacciono a Marco Müller

Le sue opere ottengono un maggior riscontro in patria o all’estero?

Takashi Miike: In Giappone c’è chi dice che io sia un regista di successo, ma la verità è che io ottengo dei buoni risultati al botteghino solo quando nel film recitano attori famosi o celebrità del mondo dello spettacolo. Ma io sono comunque soddisfatto di quanto ho raggiunto, sia in Giappone che a livello internazionale.

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