Thy Womb

Il nuovo film di Brillante Mendoza, Thy Womb, in concorso al festival di Venezia, non raggiunge gli esiti eccellenti di molto suo cinema precedente ma si avvale comunque della splendida interpretazione di Nora Aunor, icona del cinema filippino.

La levatrice

Shaleha Sarail vive a Sitangkai, un villaggio sull’acqua nell’isola di Tawi-Tawi. Questa provincia, situata nella parte più meridionale delle Filippine verso gli arcipelaghi malese e indonesiano, è dedita alla produzione di alghe marine. Shaleha, una donna ormai matura e al terzo aborto spontaneo, si dispera per l’impossibilità di aver figli. Nonostante sia madre adottiva di un nipote, sente che il marito Bangas ha ancora il desiderio di diventare padre. Per appagare il sogno del marito ed essere benedetta da Allah, poiché un figlio è un segno tangibile della grazia divina, la donna decide di intraprendere un’altra strada: troverà una nuova moglie per Bangas. Giorno e notte i due coniugi si spostano in barca tra le isole, le comunità vicine e i villaggi sull’acqua alla ricerca di una donna fertile. Infine, su segnalazione di alcuni amici, trovano la fanciulla giusta… [sinossi]

L’attesa nei confronti del nuovo lungometraggio di Brillante Mendoza, spasmodica per gli affezionati cultori del cinema del regista filippino, era giustificata sia dal ritorno in concorso a Venezia a tre anni di distanza da Lola (in quel caso scelto come film “a sorpresa” e per molti tra i vincitori morali di un’edizione caratterizzata da un palmarès quantomeno discutibile), sia dal netto scarto rispetto al suo percorso autoriale avvertito a febbraio alla Berlinale durante la visione di Captive. In quel caso per la prima volta il cinema di Mendoza dava l’impressione di girare intorno alla propria storia cercando di coniugare l’aspetto più strettamente antropologico della questione filippina con un approccio meno personale, legato semmai a un discorso produttivo maggiormente “occidentale”, e non solo per la presenza in scena di Isabelle Huppert. Quale sarebbe stata dunque la direzione intrapresa da Mendoza? Si sarebbe lasciato accalappiare dalle trappole della definizione – propria del Vecchio Continente – di auteur?
Thy Womb in tal senso rappresenta una mezza risposta, non completamente convincente né (con ogni probabilità) definitiva: la storia di Shaleha e di suo marito Bangas che, impossibilitati ad avere figli si aggirano per i villaggi vicini alla ricerca di una giovane nuova moglie per l’uomo, sembrerebbe riallacciarsi in tutto e per tutto alle opere che fino a oggi hanno segnato con vivida forza la carriera di Mendoza, a partire da The Teacher (2006), Foster Child (2007) e il già citato Lola: la prassi del pedinamento, oggi come allora, è l’arma che Mendoza utilizza per “spiare” le sue protagoniste – come nella maggior parte dei suoi film, l’interesse è tutto rivolto ai personaggi femminili – da vicino, seguirle anche nelle azioni all’apparenza più futili o quotidiane.

Ma a ben vedere esiste una differenza sostanziale che sposta nettamente Thy Womb su un altro livello, e riguarda in tutto e per tutto l’approccio registico di Mendoza: nel trittico sopracitato la macchina da presa (o videocamera) è posta sempre all’altezza dei protagonisti, con lo sguardo di Mendoza che si fa inevitabilmente complice, partecipe, paritario. In Thy Womb, al contrario, l’occhio di Mendoza è quello dell’autore cinematografico, staccato dalla realtà che sta raccontando e ridotto al ruolo di mero osservatore. Uno sguardo politicamente borghese, in cui l’empatia proletaria lascia spazio a una postura intellettuale, in parte scevra della potenza espressiva che irrompeva sullo schermo fino a pochi anni fa: nulla che non fosse in parte avvertibile, e niente che infici fino in fondo il valore di un’opera che non deve essere comunque trattata con superficialità.

Anche perché di carne al fuoco ce n’è davvero molta, a partire dall’ambientazione scelta: Tawi-Tawi è infatti una delle province che compongono la Regione Autonoma del Mindanao Musulmano, unica zona dell’arcipelago a maggioranza islamica nonché una delle aree più povere dell’intera nazione. Scegliere come location quest’isola equivale dunque a scavare tra le pieghe più tumultuose di un Paese complesso e stratificato, tutt’altro che pacificato: lo dimostra la sequenza, purtroppo estemporanea, della sparatoria in mare, e lo evidenzia lo slancio più puramente documentario della vicenda narrata – prima o poi sarebbe interessante approfondire lo studio del cinema di Mendoza sotto questo punto di vista: una delle poche esperienze contemporanee in cui la realtà e la finzione si compenetrano fino alle estreme conseguenze – con la messa in mostra delle atroci condizioni di vita nei poveri villaggi di palafitte. La nascita stessa in questi luoghi è il simbolo di una fragilità dell’esistenza, sempre sul punto di essere spezzata da agenti esterni: metaforicamente il ruolo di levatrice della protagonista acquista dunque un valore doppio, relativo sia alla propria condizione di infertilità sia alla caducità dell’esistenza nella regione più australe di Mindanao – isola prediletta dal cineasta.
Anche per questi motivi dispiace dover sottolineare l’altalena estetica e contenutistica di Thy Womb, opera minore di un autore fondamentale del cinema contemporaneo, filippino e non: eppure i rumors veneziani lo segnalano tra i favoriti per la corsa a un premio, e dopotutto lo slancio emotivo in sala è stato tale da garantire un applauso prolungato e convinto. Se proprio si dovesse trovare un riconoscimento per il film la speranza è che a venir premiata sia la splendida Nora Aunor, sessantenne madrina del cinema filippino (ha lavorato tra gli altri con Lino Brocka, Ishmael Bernal e Gerardo de Leon, ricevendo un premio speciale a Cannes per il capolavoro di Brocka, Bona) che regala un’interpretazione sontuosa, rapendo la videocamera e asservendola al proprio volere. Il ritorno in grande stile di un’attrice sensazionale.

Info
Il trailer di Thy Womb.
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