Itaker – Vietato agli italiani

Itaker – Vietato agli italiani

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Itaker – Vietato agli italiani è l’opera seconda di Toni Trupia, viaggio nell’Italia che migrava per cercare benessere e lavoro all’estero. Un’opera che viene naturale difendere, almeno in parte, nonostante uno sguardo fin troppo moralizzante e alcune debolezze di scrittura.

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Itaker è il racconto di un viaggio dall’Italia alla Germania, nel 1962. Un viaggio particolare: a compierlo è Pietro, un bambino di 9 anni orfano di madre, partito per ritrovare il padre emigrato, di cui da tempo non si hanno notizie. Con lui, un sedicente amico del padre, Benito, un giovane uomo dai trascorsi dubbi in cerca in Germania di un riscatto personale. Sul loro percorso Pietro e Benito incontrano mondi diversi… [sinossi]
E partiva l’emigrante e portava le provviste
due o tre pacchi di riviste.
E partiva l’emigrante ritornava dal paese
con la fotografia di Bice, bella come un attrice
Rino Gaetano, E cantava le canzoni.

Per quanto determinate realtà politiche lo abbiano spesso negato con forza, per inseguire squallidi e miserrimi vantaggi elettorali, l’Italia degli ultimi centocinquanta anni è stata una terra di emigrazione: lo dice la Storia, lo ribadisce la memoria popolare (a cos’altro si potrebbe mai ispirare un celeberrimo canto come Mamma mia dammi cento lire?), lo certifica ulteriormente il nostro presente, nel quale la cosiddetta “fuga dei cervelli” è diventata una realtà sempre più tragicamente quotidiana. Persino uno dei simboli più riusciti del razionalismo fascista dell’EUR, il Palazzo della Civiltà del Lavoro, lo sottolinea, facendo filtrare il messaggio nella dicitura scolpita nella testata dell’edificio: “Un popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori”. Sì, trasmigratori: un termine gentile (e poco disonorevole nell’ottica fascista) per definire proprio gli emigranti. In poco più di un secolo oltre trenta milioni di italiani abbandonarono la madrepatria per cercare fortuna e sostentamento all’estero, magari oltreoceano; attualmente gli oriundi italiani sparsi per il globo terracqueo superano, secondo le stime ufficiali, gli ottanta milioni di individui, vale a dire oltre venti milioni di persone in più rispetto a quelle che attualmente vivono sul suolo della penisola a forma di stivale.

Proprio per la mole dei dati dianzi riportati, e per la volontà di relegare in secondo piano uno degli avvenimenti che ha segnato in maniera più profonda l’immaginario popolare, acquista un valore particolare l’uscita in sala di Itaker – Vietato agli italiani, opera seconda del giovane regista siciliano Toni Trupia, romano di adozione in virtù degli anni di studio prima al Dams dell’Università RomaTre e successivamente alla Scuola Nazionale di Cinematografia. La storia della folle e disperata composizione familiare tra il piccolo Pietro e Benito, operaio napoletano emigrato in Germania per lavorare in fabbrica, esemplifica senza bisogno di riflessioni ulteriori o di orpelli la tragica realtà vissuta da una parte consistente di italiani dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Tra il tramonto degli anni Quaranta e la metà degli anni Sessanta – quando il boom economico, per quanto effimero, servì a risollevare le sorti di una nazione in grave debito di ossigeno – furono molti i cittadini costretti a espatriare per aiutare la famiglia e/o costruirsi una vita degna di essere vissuta. Alcuni raggiunsero i parenti negli Stati Uniti, ma molti oltrepassarono le Alpi per recarsi in Francia, Belgio, Austria e Germania, dove svolgevano i lavori più umili e pericolosi (e chi ha memoria di ciò che avvenne nella miniera di Bois du Cazier a Marcinelle nell’agosto del 1956 non avrà bisogno di ulteriori suggerimenti), sbeffeggiati e umiliati dalle popolazioni locali. Esattamente gli stessi travagli che spesso sono costretti a patire gli immigrati che trovano nell’Italia un rifugio…

Come già detto, il film di Toni Trupia (che fa seguito all’esordio L’uomo giusto, rimasto pressoché invisibile in Italia) ha un pregio storico e sociale che non va assolutamente sottostimato o vilipeso: per di più la scelta di fare del bambino protagonista un trentino è apprezzabile, perché sottolinea l’assoluta imparzialità dell’emigrazione, che vide partenti da ogni regione d’Italia, come ribadito (in maniera però assai più didascalica) anche nella composizione della camerata/baracca della fabbrica. Purtroppo però il film di Trupia non riesce a mantenere una compattezza d’insieme, sfilacciandosi ben presto in una serie di sottotrame poco e male amalgamate tra loro: colpa sicuramente di una sceneggiatura che si trova a suo agio con le interrelazioni umane – il rapporto tra i due protagonisti è sincero nella sua dolente dolcezza imbarazzata – ma appare molto meno in grado di gestire la deriva noir e gangsteristica. Anche la struttura del film si fa spesso raffazzonata e schizoide: per quale motivo ad esempio le due sequenze con Pietro che deve vedersela con i bulli tedeschi, e che dovrebbero indicare l’acquisita maturità del bambino, sono situate a così breve distanza temporale l’una dall’altra? Uno dei molti esempi di un’opera che non riesce a convincere anche per via di un sottofondo moralista e retorico che non fa altro che appesantire l’insieme. Ad aggravare la situazione irrompono inoltre anche effetti speciali piuttosto rivedibili e decisamente non al passo coi tempi.
Ciononostante viene naturale difendere, pur riconoscendone la mediocrità, Itaker, non fosse altro per la bellissima interpretazione di un Francesco Scianna mai così espressivo, capace di infondere forza a un personaggio doloroso e riottoso allo stesso tempo.

Info
Il trailer di Itaker – Vietato agli italiani.
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