Fish and Cat

Fish and Cat

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Il sorprendente film di Shahram Mokri, Fish and Cat, girato in un unico piano-sequenza e in concorso nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 2013.

Alcuni studenti si recano nella regione caspica per partecipare a un raduno di aquilonisti durante il solstizio d’inverno. Non lontano dal loro campeggio c’è una piccola capanna occupata da tre cuochi che lavorano in un ristorante vicino e cercano carne da cucinare. Nei paraggi non c’è nessuno tranne i giovani studenti. Il film, girato in una sola ripresa, si basa sulla storia vera di un ristorante che, come cibo, serviva carne umana macinata. [sinossi]

La sezione Orizzonti del biennio 2012-2013, dopo la restaurazione della direzione barberiana della Mostra, è solo una pallida eco dello splendore e della ricchezza estetica e sperimentale che aveva acquistato con il passare degli anni durante la gestione di Marco Müller: si è già avuto modo di affermarlo, ma è un obbligo critico ribadirlo anche ora che la kermesse lidense si avvia verso la sua naturale conclusione. Un guazzabuglio senza capo né coda, calderone in cui hanno trovato spazio le opere più differenti, senza un preciso percorso teorico sulle mutazioni in atto nel microcosmo del cinema contemporaneo. Eppure, anche per quanto appena affermato, è stato anche possibile imbattersi in maniera schizoide in alcune opere sorprendenti, in grado effettivamente di tracciare coordinate sbilenche e inaspettate nella paludosa – in tutti i sensi – selezione dei titoli in corsa per la conquista della seconda sezione per importanza della Mostra.
Se Ruin di Michael Cody e Amiel Courtin-Wilson conferma il talento visionario già esploso sugli schermi del Lido nel 2011 con l’eccelso Hail, e Why Don’t You Play in Hell? di Sion Sono avrebbe dovuto concorrere di diritto per il Leone d’Oro, Fish and Cat di Shahram Mokri permette di inserire il nome del trentaseienne cineasta iraniano tra quelli da serbare a futura memoria.

Prendendo spunto da un truculento fatto di cronaca con protagonisti i gestori di un ristorante che, a corto di carne di montone per preparare il kebab, pensarono bene di macellarne di umana, Mokri organizza una personalissima rilettura dello slasher-movie. I cliché del genere sono presenti tutti, a partire dal gruppo di universitari che hanno deciso di campeggiare proprio a ridosso del locale degli orrori, proseguendo poi per i tre serial-killer, laidi e brutali come in un film di Tobe Hooper, per finire con personaggi di contorno ai limiti del bizzarro o del mostruoso – i gemelli privi di un braccio che si aggirano per i boschi trascinando con loro anatre ancora vive catturate e starnazzanti –, ma Mokri li inserisce in una messa in scena straniante, che è anche il tratto peculiare dell’intera operazione. Fish and Cat (questo il titolo scelto per la vendita internazionale, traduzione letterale dell’originale farsi Mahi va gorbeh) si sviluppa infatti lungo un unico piano-sequenza della durata di due ore e un quarto: dall’incipit in cui alcuni dei campeggiatori arrivano in automobile per chiedere informazioni proprio al ristorante (ignari di dare così il la alla ricerca spasmodica di vittime da sacrificare all’altare della buona cucina) fino all’onirico finale “musicale” la videocamera di Mokri non si adagia mai sugli stacchi di montaggio, registrando in questo modo non solo gli aspetti più angoscianti del thriller, sottolineati per di più in un contrasto quasi ironico dalla colonna sonora, ma anche e soprattutto i suoi punti morti, i momenti di raccordo, le pause nel racconto.
Non contento di un’operazione teorica che basterebbe già a giustificare l’intero progetto cinematografico, Mokri lavora con coraggio leonino sulla dislocazione spazio-temporale della vicenda. Ribaltando l’idea stessa insita nel piano-sequenza, vale a dire la progressione uniforme del tempo perennemente protesa in avanti, Mokri riesce con un’abilità sbalorditiva a minare la cronologia degli eventi, creando una serie pressoché infinita di loop temporali che smembrano la narrazione, costringendola a ripartire in più punti e a ripetersi.

Un annullamento totale della prassi che acuisce per di più gli aspetti più malsani e angosciosi del film, contribuendo a una atmosfera morbosa e in perenne stato d’allerta su cui si innestano – ennesimo esempio di depistaggio dalla norma da parte di Mokri – alcune voci narranti, espediente non sempre convincente ma che a lungo andare si lega alla perfezione con il percorso intrapreso dal giovane regista iraniano, arrivando nel finale a fondere in un unico frammento lirismo, orrore e ghigno sardonico.
Ma, al di là di questi innegabili meriti, Fish and Cat ragiona in maniera più o meno volontaria anche sullo stato della cinematografia a Tehran e dintorni (interessante notare come lo scenario scelto ultimamente da molti registi iraniani esuli da quello metropolitano): in una terra martoriata dalla censura l’unica arma a disposizione dei registi per non subire le vessazioni del governo e mantenere una propria indipendenza espressiva è quello di ridurre al minimo i tempi delle riprese. Il piano-sequenza si configura dunque come un’arma politica oltre che una sfida estetica, perché consente di concludere il set di un film in tempo (quasi) reale.
Fish and Cat è una delle poche vere sorprese di Venezia 70, agghiacciante e sorridente come i volti dei suoi eccellenti protagonisti, a partire da quel Babak Karimi che è sempre di più volto indispensabile e caratteristico del nuovo cinema iraniano.

Info
Fish and Cat sul sito della casa di distribuzione Trigon Film.

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