The White Storm

The White Storm

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Il tesissimo action di Benny Chan, The White Storm, scelto da Marco Müller come film di chiusura dell’ottava edizione del Festival di Roma. Un hard-boiled cupo eppure ironico, che mostra la migliore faccia della cinematografia di Hong Kong.

Tre amici per la pelle: Tim è un ambizioso ispettore capo della sezione narcotici; Chao è un poliziotto che agisce sotto copertura; Wai è il fedele subalterno di Tim. Una nuova missione metterà a rischio il loro legame fraterno. Il boss Hak Tsai sta per portare a termine il più grande affare della sua carriera con “il signore della droga” Eight-Faced Buddha. Tim è convinto che la cattura di Buddha possa dare una svolta alla sua carriera, mentre Chao, alla sua ultima missione, accetta con riluttanza di lasciare Hong Kong. Wai, invece, dopo una delusione d’amore, vuole recuperare fiducia in se stesso. Nel corso della missione, i tre sono costretti a mettere in gioco la loro amicizia… [sinossi]

Benny Chan: un nome, una garanzia, quando si ha a che fare con film d’intrattenimento high-concept patinati che spaziano dalla commedia al thriller, passando per il melò, il fantasy e il poliziesco. Proprio questa versatilità diverrà il leit motiv di una fortunata carriera che ha preso il via nel lontano 1990, grazie all’incontro con Johnnie To e alle successive collaborazioni con Tsui Hark e Jackie Chan. Una serie di collaborazioni che hanno permesso al regista classe 1969 di diventare una colonna portante della cinematografia cino-hongkonghese degli ultimi decenni. Non è un caso, infatti, che dietro i principali successi ai botteghini nazionali ci sia impresso a caratteri cubitali il suo marchio di fabbrica: dai due capitoli di A Moment of Romance a The Magic Crane, da Big Bullet a Heroic Duo. Ma è nel poliziesco, condito da abbondanti dosi d’azione, che ha dato origine agli assolo più convincenti di una ricca filmografia, che ha all’attivo anche qualche passo falso come Senza nome e senza regole, Gen-X Cops e Gen-Y Cops. Assolo che, invece, rispondono ai titoli di Connected (riuscitissimo remake in salsa orientale del pessimo Cellular made in Hollywood) e New Police Story.

Il suo è un cinema d’impatto visivo ed empatico, che affianca alle esigenze commerciali quelle più strettamente autoriali. Sul versante hard-boiled, ha saputo come pochi in Oriente (Johnnie To e John Woo su tutti) portare sul grande schermo pellicole d’azione coinvolgenti e piene di ritmo, a cui si affianca anche un’approfondita analisi dei personaggi e delle dinamiche che si sviluppano tra essi. Ed è da questa ormai collaudata formula che prende forma e sostanza l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Chan, ossia quel The White Storm scelto da Marco Müller e dal suo staff per chiudere con il botto l’ottava edizione del Festival Internazionale del Film di Roma. Non raggiunge le vette dei sopraccitati e più quotati colleghi, ma come loro ha dimostrato film dopo film di conoscere l’hardware e le potenzialità cinetiche, stilistiche, narrative e drammaturgiche, da esso messe a disposizione.

Il risultato è un’opera solida, con qualche debito nel confronti dell’originalità per quanto riguarda il plot, ma straordinariamente efficace nello sviluppo del racconto. Quest’ultimo scivola senza brusche frenate, nonostante le due ore e passa che si materializzano sul grande schermo, tenendo calamitati alle rispettive poltrone gli spettatore di turno. Continui colpi di scena e capovolgimenti di fronte, consentono alla storia di dipanarsi parallelamente lungo due direttrice drammargiche ben precise, che a loro volta trovano non pochi punti di contatto prima di confluire in un finale al cardiopalma nel quale piombo e sangue si fondono, riportando alla mente l’indimenticabile epilogo di A Better Tomorrow 2 e quegli ultimi venti minuti che hanno fatto epoca. Da una parte troviamo il filo conduttore del plot, ossia l’intreccio legato alla difficilissima missione tra Hong Kong e Bangkok che vede coinvolti in un doppio e triplo gioco i tre poliziotti protagonisti, alle prese con la cattura di uno dei più potenti narcotrafficanti in circolazione (qui la mente torna alla versione cinematografica di Miami Vice di Michael Mann e al recente Drug War di Johnnie To); dall’altra la storia d’amicizia che lega da anni il trio (un terzetto di altissimo livello formato da Sean Lau, Louis Koo e Nick Cheung), messa seriamente in discussione dall’indagine (qui oltre alla storica trilogia di Woo, qualche flebile reminiscenza conduce diritti a The City of Violence del sudcoreano Ryoo Seung-Wan).

I temi proposti sono quelli classici del genere, particolarmente cari ai già citati Woo e To, che più volte li hanno affrontati nelle rispettive filmografie: dall’elogio dell’amicizia virile all’onore da difendere a tutti i costi, dalla difesa anacronistica di un mondo votato all’autodistruzione alla violenza stilizzata ed eroica. Temi che non possono dunque non andare a confluire in The White Storm, diventando di fatto la base narrativa sulla quale costruire un poliziesco con la “P” maiuscola, vicino per certi versi al Dragon Squad di Daniel Lee o al Breaking News di To, con i quali condivide anche lo spettacolo dinamitardo che caratterizza i numerosi conflitti a fuoco (dalla prima irruzione nel covo di Hak Tsai alla sparatoria nel garage di Bangkok, dal massacro nel borgo abbandonato nella giungla alla resa dei conti nell’albergo). La messa in scena e la pirotecnica messa in quadro, frutti gustosi di ritmi vertiginosi e di soluzioni visive accattivanti, rappresentano di fatto i piatti forti del menù cinematografico offerto da Chan alla platea, uno di quei menù al quale non si può e non si deve resistere.

Info
La pagina facebook di The White Storm.
Il trailer di The White Storm.
The White Storm su YouTubeMovies.
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