Io, Arlecchino

Io, Arlecchino

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Giorgio Pasotti con Io, Arlecchino prova a caricarsi sulle spalle il peso della tradizione di una delle grandi maschere della Commedia dell’Arte, ma nonostante i nobili intenti, questo suo esordio alla regia – condiviso con Matteo Bini – convince poco. Al Festival di Roma nella sezione Wired Next Cinema.

Arlecchino, c’est moi

Paolo, noto conduttore di un talk show televisivo pomeridiano, viene raggiunto a Roma da una telefonata che gli comunica che il padre Giovanni, ex attore teatrale e famoso Arlecchino, è stato ricoverato in ospedale. Tornato a casa, in provincia di Bergamo, Paolo si troverà a ricucire un rapporto con le sue origini, a ridefinire la sua identità e a riscoprire il tesoro artistico rappresentato dal personaggio di Arlecchino. [sinossi]

Da un po’ di tempo si parlava del tentativo di Giorgio Pasotti di misurarsi con l’Arlecchino, una delle grandi maschere della Commedia dell’Arte, la cui origine è proprio di Bergamo, città natale dell’attore. Ora il film, con il titolo di Io, Arlecchino, arriva al Festival di Roma, nella sezione Wired Next Cinema. Un contesto – quello delle cosiddette nuove frontiere cinematografiche – che ben poco si addice alla regia di Pasotti, il quale si trova a condividere questa sua prima prova dietro alla macchina da presa con Matteo Bini, anch’egli esordiente. Il proposito di Io, Arlecchino è piuttosto quello di richiamarsi alla grande tradizione teatrale italiana e il film è confezionato in un modo che punta, per certi aspetti, più che al nuovo, alla classicità. I due registi intendono infatti raccontarci la storia di riscatto di un personaggio – incarnato dallo stesso Pasotti – che, perso dietro al successo di un mediocre show televisivo, finisce per recuperare le sue vere origini e la tradizione del teatro in maschera, del lazzo e della recitazione con il corpo. E lo fa, ereditando il testimone da Roberto Herliztka che, qui nei panni del vecchio uomo di teatro, interpreta suo padre.

Inutile dire che Giorgio Pasotti con Io, Arlecchino intenda raccontare una storia personale, auto-biografica, cercando a suo modo di riallacciarsi a una nobile tradizione e come entrando in auto-analisi per una sorta di percorso di espiazione che risalga fino alle radici del suo mestiere. L’intento, purtroppo, riesce solo in parte, sia perché il discorso sulla recitazione non riesce a farsi ‘sistema’ all’interno del film (si veda, in tal senso, la magnifica performance di Herliztka nella scena in cui si esibisce in un numero da mimo, momento che la regia distrugge spezzettando il tutto con il montaggio e mettendoci sopra anche della musica), sia perché la narrazione finisce per passare attraverso una serie di svolte troppo meccaniche.

Più di tutto, però, è proprio la regia a sollevare dubbi in Io, Arlecchino. Evidentemente, Pasotti aveva bisogno di qualcuno che stesse dietro la macchina da presa, ma il fatto che la scelta sia caduta sull’inesperto Matteo Bini non sembra essere stata una buona idea. Stilisticamente, infatti, il film inciampa in una serie di soluzioni grossolane, arbitrarie e dannose (la già citata perfomance spezzettata di Herliztka, tutta una serie di insistite riprese dall’alto a riprendere il paesino in cui si trovano i protagonisti), quando non addirittura in errori veri e propri (si veda un maldestro controluce in casa).
Non sappiamo se ci siano state delle vicissitudini produttive o se qualcosa non abbia funzionato nell’orchestrazione del film, va detto però che un tentativo nobile come questo andava sostenuto di più e meglio e bisognava crederci con maggior convinzione. Invece, va a finire che, come al solito, l’unico ad uscirne bene – anzi, benissimo – è Roberto Herliztka, al solito maestoso, capace di sostenere ogni tipo di tono, dal patetico al drammatico, al grottesco e al divertito, allo stesso tempo primo attore e giullare.

Info
Il sito di Wired Next Cinema.
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