Thou Wast Mild and Lovely

Thou Wast Mild and Lovely

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L’America primitiva e primordiale, la bestialità dell’essere umano: è Thou Wast Mild and Lovely, secondo lungometraggio di Josephine Decker. Alla 32esima edizione del Festival di Torino nella sezione Onde, che ha omaggiato la giovane regista londinese.

Waste Land

In una fattoria del Kentucky giunge Akin: ha lasciato a casa moglie e figlio ed è alla ricerca di un lavoro per l’estate. Lo accolgono Jeremiah, pater familias dal temperamento dominante e la figlia Sarah, ragazza sensuale e perversa. Tra i tre s’instaura un meccanismo di reciproco studio, di osservazione, fatto di sguardi furtivi e domande a cui spesso non viene data risposta. Quando esplode l’attrazione tra Akin e Sarah un inspiegabile senso di minaccia si abbatte sui due amanti. [sinossi]

Figura marginale e decisamente promettente del panorama indie americano, Josephine Decker è stata omaggiata alla 32esima edizione del Festival di Torino all’interno della sezione Onde con un focus a lei dedicato, che comprendeva i suoi due lungometraggi (Butter on the Latch e Thou Wast Mild and Lovely, già mostrati quest’anno nel Forum della Berlinale), un videoclip (Gone Wild) e due cortometraggi (Balkan Camp e Madonna mia violenta). Tutti realizzati tra il 2011 e il 2014, questi titoli si caratterizzano per una forte personalità autoriale, magari a tratti ancora in fieri e comunque assolutamente non irreggimentata.
Tra i due lunghi presentati qui a Torino si fa preferire Thou Wast Mild and Lovely, perché il primo – Butter on the Latch del 2013 – presenta, al di là di una costruzione narrativa ellittica e di un gioco visivo molto affascinante, una morale di fondo forse un po’ schematica, morale che per certi versi limita anche la riuscita del corto Madonna mia violenta, al di là delle sue esibite esuberanze anarchiche e pseudo-godardiane (qui Josephine Decker si mette in scena in prima persona e, mentre si rotola a letto con il suo compagno, si può notare poggiato a terra il volume “Godard on Godard”). In effetti, Butter on the Latch e Madonna mia violenta finiscono per raccontare più o meno la stessa storia, quella di donne che, sentendosi libere e in qualche modo a-morali, subiscono però una punizione e sono costrette dunque ad espiare la loro colpa e/o rieducazione.

Ben più ambiguo e complesso è invece Thou Wast Mild and Lovely che, innanzitutto, cambia prospettiva e punto di vista mettendo in primo piano una figura maschile ed evitando così alla Decker il rischio di una eccessiva identificazione e immedesimazione con il protagonista del racconto. Allo stesso tempo, oggetto privilegiato dello sguardo del ragazzo è una giovane donna, enigmatica e apparentemente innocente, che funziona dunque per traslato come personificazione di quel che era la Decker nei suoi precedenti film, ma osservata a distanza, spiata, desiderata e concupita.
Josephine Decker con questo suo secondo lungometraggio si immerge nell’America profonda, quella di Steinbeck e di Faulkner, da cui riprende i caratteri primordiali e pre-storici dei personaggi e una certa loro ‘idiozia’, un’estraneità rispetto al mondo civilizzato. Akin, il protagonista, si trova a fare il bracciante estivo nella fattoria di proprietà del luciferino Jeremiah, che vive da solo con la figlia Sarah. Da questo rapporto a tre si scatenerà una serie di dinamiche sempre più perverse fino all’esplosione violenta e inaspettata che coinvolgerà la stessa famiglia di Akin, venuta a trovarlo per un fine settimana.

Josephine Decker non vuole in realtà architettare chissà quale discorso sull’America non-civilizzata. Prende piuttosto un topos del mito americano (il conflitto tra i pionieri e gli ‘urbanizzati’) per andarsi a cercare l’abisso che si cela nell’umano, la bestialità che finisce sempre per prendere il sopravvento. Il discorso era già impostato in Butter on the Latch, ma qui si dipana con maggior sicurezza e fluidità proprio perché la Decker sceglie di appoggiarsi a delle tematiche classiche. E, dunque, inanella una serie di sequenze di grande impatto, sia visivo che simbolico: basti pensare al primo rapporto sessuale tra i giovani protagonisti, consumato all’aperto e favorito dalla fuga pilotata di una mucca, in cui la brutalità dei gesti e degli atti funziona da evento scardinante verso il lato oscuro cui poi ciascuno di loro finirà per lasciarsi avvolgere.
Ma se il cinema della Decker andrà seguito nel futuro prossimo, lo si deve soprattutto al modo in cui questa discesa agli inferi trova declinazione nella messa in scena: sequenze ellittiche fatte di brevissime inquadrature e con stordenti tagli di montaggio, ricerca ossessiva del primo piano e del dettaglio che lascia ampio spazio al fuori campo e al desiderio spettatoriale – quasi mai corrisposto – di poter allargare il quadro per arrivare a una visione d’insieme, insistito gioco sul fuori fuoco. La classicità dell’assunto allora trova il suo lato ‘oscuro’ in una regia che è sì personale, ma è anche disturbante, a tratti acida e lisergica, e lascia lo spettatore sempre in uno stato di ‘scomodità’ visiva che lavora su uno stato di permanente inquietudine.
Lo scorso anno si lodava il Festival di Torino per averci permesso di avere una panoramica sul cinema indie americano contemporaneo, quella forma particolare di indie che è stata definita mumblecore e che aveva avuto in Computer Chess uno dei suoi vertici. Va dato dunque atto al festival di aver proseguito questo discorso scegliendo di mostrare proprio i film di Josephine Decker, il cui contatto con quella tendenza del cinema statunitense è innegabile. Protagonista di Thou Wast Mild and Lovely è infatti quel Joe Swanberg, che è considerato uno dei capofila del genere (lo scorso anno a Torino venne mostrato Drinking Buddies) e che a sua volta ha usato la Decker come protagonista di diversi suoi film, tra cui Art History. Il giovane cinema d’oltreoceano cresce e si sviluppa e purtroppo, al di là di queste visioni festivaliere, resta ancora materia oscura qui da noi.

Info
La scheda di Thou Wast Mild and Lovely sul sito del Torino Film Festival
Il sito di Josephine Decker
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