Torino 2014 – Minuto per minuto
Eccoci nuovamente all’ombra della Mole per il Torino Film Festival 2014, all’inseguimento di opere prime (seconde e terze), documentari italiani e internazionali, retrospettive, omaggi, (ri)scoperte.
Torino 32, TFFDOC, Onde, After Hours, Festa Mobile, New Hollywwod, Bruno Bozzetto, Dario Argento e via discorrendo. La cronaca del Torino Film Festival 2014, fatta un po’ come ci pare, tra annotazioni, impressioni e critichelle lampo, forse neve, sicuramente pioggia, chiacchiere cinefile, passioni e delusioni. In caso, buona lettura…
Sabato 29 novembre
19.10
Ed eccoci arrivati ai premi ufficiali del Torino Film Festival 2014.
I premi del concorso Torino 32. La giuria di Torino 32 – Concorso Internazionale Lungometraggi, composta da Ferzan Ozpetek, Geoff Andrew, Carolina Crescentini, Debra Granik e György Pálfi, assegna i seguenti premi:
Miglior Film (€ 15.000) a Mange tes morts di Jean-Charles Hue (Francia, 2014).
Premio Speciale della giuria – Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (€ 7.000) a For Some Inexplicable Reason di Gábor Reisz (Ungheria, 2014).
Menzione speciale della giuria a N-Capace di Eleonora Danco (Italia, 2014)
Premio per la Miglior attrice ex aequo a Sidse Babett Knudsen, nel ruolo di Cynthia in The Duke of Burgundy di Peter Strickland (UK, 2014) e Hadas Yaron, nel ruolo di Meira in Felix & Meira di Maxime Giroux (Canada, 2014).
Premio per il Miglior attore a Luzer Twersky, nel ruolo di Shulem in Felix & Meira di Maxime Giroux (Canada, 2014).
Menzione speciale ai personaggi intervistati di N-Capace di Eleonora Danco (Italia, 2014).
Premio per la Miglior sceneggiatura a What We Do in the Shadows di Jemaine Clement e Taika Waititi (Nuova Zelanda, 2014).
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Premio del pubblico a For Some Inexplicable Reason di Gábor Reisz (Ungheria, 2014).
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I premi della sezione TFFdoc. La giuria di Internazionale.doc, composta da Marek Hovorka, Fred Keleman e Jean-Baptiste Morain, assegna i seguenti premi:
Miglior Film per Internazionale.doc (€ 5.000) a Endless Escape, Eternal Return di Harutyun Khachatryan (Armenia/Olanda/Svizzera, 2014).
Premio Speciale della giuria per Internazionale.doc a Snakeskin di Daniel Hui (Singapore/Portogallo, 2014).
La giuria di Italiana.doc, composta da Maria Bonsanti, Jacopo Quadri e Marco Santarelli, assegna i seguenti premi:
Miglior Film per Italiana.doc in collaborazione con Persol (€ 5.000) a Rada di Alessandro Abba Legnazzi (Italia, 2014).
Premio Speciale della giuria per Italiana.doc a 24 heures sur place di Ila Bêka e Louise Lemoine (Francia/Italia, 2014).
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I premi della sezione Italiana.corti. La giuria di Italiana.corti, composta da Silvia Calderoni, Niccolò Contessa e Rä Di Martino, assegna i seguenti premi:
Premio Chicca Richelmy per il Miglior film (€ 2.000 offerti da Associazione Chicca Richelmy) a Panorama di Gianluca Abbate (Italia, 2014).
Premio Speciale della giuria a Il mare di Guido Nicolás Zingari (Italia, 2014).
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Premi della sezione Spazio Torino. Premio Achille Valdata per il Miglior cortometraggio in collaborazione con La Stampa – Torino Sette a Mon baiser de cinéma di Guillaume Lafond e Gianluca Matarrese (Francia, 2014).
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Premio Fipresci. La giuria del Premio Fipresci, composta da Gerard Casau, Alberto Castellano e Eithne O’Neill, assegna il Premio per il Miglior film a Mercuriales di Virgil Vernier (Francia, 2014).
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Premio Cipputi. La giuria, composta da Francesco Tullio Altan, Antonietta De Lillo e Carlo Freccero, assegna il Premio Cipputi 2014 – Miglior film sul mondo del lavoro a Triangle di Costanza Quatriglio (Italia, 2014).
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Vi ricordiamo le repliche di domani al cinema Massimo. Si comincia alle 15.00 con Mercuriales di Virgil Vernier. Buone visioni. [e.a.]
18.00
In attesa dei premi ufficiali, ecco quelli collaterali:
Premio Scuola Holden – Storytelling & Performing Arts: For Some Inexplicable Reason di Gábor Reisz (Ungheria, 2014)
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Premio Achille Valdata: For Some Inexplicable Reason di Gábor Reisz (Ungheria, 2014)
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Premio Avanti!: Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte (Italia, 2014)
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Premio Gli occhiali di Gandhi, assegnato dal Centro Studi “Sereno Regis”: Qui di Daniele Gaglianone (Italia, 2014)
Menzione speciale a Iranien di Meheran Tamadon (Francia/Svizzera, 2014)
Menzione speciale a Eau argentée, Syrie autoportrait di Mohammed e Bedirxan (Francia/Siria, 2014)
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Premio INTERFEDI per il rispetto delle minoranze e per la laicità: Felix & Meira di Maxime Giroux (Canada, 2014)
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Tra un’ora i premi ufficiali… [e.a.]
17.04
Recuperato all’ultimo momento utile Qui di Daniele Gaglianone, presentato nella sezione Democrazia di TFFdoc. La vicenda di alcuni abitanti della Val di Susa che hanno vissuto (e stanno ancora vivendo) sulla loro pelle il dramma della TAV è al centro del film di Gaglianone, che segue i protagonisti mentre si muovono per la valle, mostrando cantieri e filo spinato e raccontando le ingiustizie che hanno subito nel corso degli anni. Per chi avesse ancora dei dubbi sull’essere pro o contro la TAV, il film di Gaglianone li fuga definitivamente: questo progetto mastodontico di costruzione della ferrovia è un atto violento e mostruoso ai danni di un’intera comunità, che sta subendo tra l’altro quelle che sembrerebbero le prove generali per una militarizzazione del nostro paese. Ci pare molto giusto, dunque, concludere il nostro personale percorso all’interno della ricchissima programmazione della 32esima edizione del Festival di Torino con un film come Qui, in cui una questione locale, come quella della protesta degli abitanti di una piccola valle contro la costruzione dell’alta velocità Torino-Lione, si fa nazionale, pressante e scandalosa. Oscena, persino, quando per oscenità si voglia intendere l’arroganza prepotente dei potentati economici e politici e del loro sprezzo nei confronti dei cittadini. [a.a.]
16.02
Sempre in concorso a Torino 32, Gentlemen è una ‘Meglio gioventù’ svedese che parte da una macchina da scrivere nel 1978. Tra continui flasback e flashforward, un viaggio nella storia del paese nordico, tra tensioni sociali, club segreti, spionaggio, intrighi politici. Ben confezionato ma calligrafico con un’estetica da pubblicità dell’amaro Averna. Cosa ci fa a un festival? [g.r.]
15.12
Le torri gemelle Mercuriales nel paesaggio allucinato del quartiere parigino della Défense, fatto di cattedrali di cemento che si ergono sul nulla. Storie della popolazione multietnica che ci vive, addetti alla sicurezza del complesso edilizio, hostess, ecc. Evidente riferimento al World Trade Center, un modello di decadenza, di fine di un impero. In concorso qui al festival, Mercuriales sarebbe un film interessante se il regista non si concedesse troppi svolazzi autoriali. Come l’autentico momento scult del gufo, che gareggia con il fenicottero della Grande bellezza. [g.r.]
15.02
Le mille contraddizioni del potere in un paese sudamericano: le racconta Poder e impotencia, un drama en 3 actos in cui si mostra ascesa e caduta dell’ex presidente del Paraguay, Fernando Lugo, che aveva dato per la prima volta delle speranze a quelle fasce di popolazione maggiormente sfruttate, ma che ha subito una serie di macchinazioni da parte dei poteri conservatori, oltre ad ammalarsi gravemente, fino ad essere destituito. E non si parla di storie lontane nel tempo, come ad esempio i golpe degli anni Settanta in Sud America, all’epoca all’ordine del giorno. Il mandato di Lugo, anzi, è cominciato nel 2008 per finire bruscamente nel 2012. La regista, Anna Recalde Miranda, racconta tutto ciò in modo forse un po’ freddo e con un montaggio non sempre convincente, ma si avvale del grande privilegio (ma anche della costanza del suo lavoro) di aver potuto seguire da vicinissimo Lugo e i suoi più stretti collaboratori. In concorso in Italiana.doc [a.a.]
12.20
Ancora un road movie, di un ragazzo, nel vuoto abissale dell’America profonda, quella del Sud, i cui capolavori architettonici sono il secchio più grande del mondo, la sedia a dondolo pure più grande del mondo, e così via. Big Significant Things, in concorso a Torino 32, è un film sul vuoto adolescenziale, su un tragitto senza direzioni. Belle trovate, come le scritte sovrimpresse, a caratteri kitsch, “Greetings from…”, pur in un film che strizza l’occhio al Sundance. [g.r.]
Venerdì 28 novembre
00.10
Dopo la folgorazione di Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte, delude l’ultimo film di Italiana.doc presentato in concorso: Luoghi comuni di Mario Gomes e Marco Ugolini. Il film, che racconta la vicenda biografica, politica e filosofica di Paolo Virno, si disperde in un modalità d’osservazione di spazi e oggetti non meglio giustificati e, pur lasciando la parola a Virno, insiste troppo nel mostrarlo nella vita quotidiana e nel ‘fuori scena’, più che nell’apporto che questi ha dato agli studi filosofici. L’impressione è che i registi non avessero ben chiaro cosa fare e che si accontessaro di avere vicino a loro Virno, per potergli regalare dell’adorazione ma anche per potersi auto-glorificare di questa vicinanza. [a.a.]
23.55
“Brindo a te, vergine stuprata!”. La serata si è conclusa, tra meritate e prevedibili ovazioni, con i titoli di coda di Profondo rosso di Dario Argento, proiettato nella copia restaurata in digitale da L’Immagine Ritrovata. Un capolavoro senza tempo, che riscrive completamente la storia del giallo e del thriller e si segnala, a distanza di quasi quaranta anni, come uno dei più alti risultati estetici del cinema italiano. Un film che è puro godimento per gli occhi. E per la mente. [r.m.]
20.05
Altra piacevole sorpresa in Onde: Abacuc di Luca Ferri è un viaggio ipnotico per immagini e suoni, girato in super8 e in grado di ragionare, senza alcuna supponenza, sul senso della sperimentazione. Un’ode sbilenca al gigantismo del cinema (e del protagonista del film) e alla sua irredenta inafferrabilità. [r.m.]
18.02
Grande scoperta in Italiana.doc: Memorie – In viaggio verso Auschwitz di Danilo Monte è un dolorosissimo ritratto del conflitto tra due fratelli, il regista stesso e il consanguineo Roberto. Quest’ultimo, che ha avuto un passato con problemi di droga, è la classica “pecora nera” della famiglia e ragiona con il regista/fratello a proposito di questo, del suo disagio esistenziale. Al contrario, Danilo si pone con un atteggiamento giudicante e dunque tra i due si instaura un confronto violento e serrato, quasi sadomasochista. Il tutto lungo un viaggio in treno che porta i due fratelli a visitare Auschwitz visto che Roberto è appassionato di storia e in particolare della storia del Terzo Reich. Così, una volta arrivati sul posto, il dramma personale si fa collettivo e Roberto ragiona su di sé e sull’uomo in genere: Auschwitz infatti rappresenta il momento più incredibile nella storia dell’uomo di atteggiamento crudele e ‘anti-umano’. Memorie – In viaggio verso Auschwitz è un film piccolo, raccolto, che però dal concreto di un dramma familiare riesce a raggiungere l’abisso della storia dell’uomo e a riflettere sull’umano in quanto tale. Uno dei più seri candidati alla vittoria della selezione di Italiana.doc. [a.a.]
14.10
Come ogni anno alcuni dei film migliori del festival si possono rintracciare nelle sezioni TFFdoc e Onde. Dalla prima arrivano Snakeskin e Approaching the Elephant. Il primo, diretto dal ventottenne singaporiano Daniel Hui, è un incredibile racconto della storia della città-stato, della sua storia, delle sue storture politiche, della gente che l’ha abitata: un viaggio ectoplasmatico difficile da descrivere a parole, in cui la polifonia di voci e di narrazione aggiunge strati emotivi, cinematografici e documentali inaspettati. Il colpo al cuore del festival, senza dubbio. Non meno ricco e affascinante è invece Approaching the Elephant, in cui Amanda Rose Wilder racconta una “scuola libera” di Little Falls, in New Jersey, un sistema educativo che si basa sulla democrazia estesa ai massimi livelli, con bambini, insegnanti e genitori che hanno lo stesso diritto di voto, di proposta e di decisione sulle scelte inerenti alla didattica. La Wilder si dimostra documentarista dotata di uno sguardo personale, acuto, in grado di cogliere in pieno lo spirito utopico (ma non del tutto) della situazione.
Passando a Onde viene naturale spendere qualche parola su uno dei film più folli e inafferrabili visti quest’anno: Nova Dubai del brasiliano Gustavo Vinagre è un mediometraggio in cui il discorso sull’amore si articola attraverso le pulsioni sessuali, ma che allo stesso tempo divaga tra retaggi di cinema horror e uno sguardo che analizza il reale, vivendo in tutto e per tutto i luoghi in cui si muove. Un piccolo gioiello che rischia di rimanere incompreso, ma che squarcia gli occhi degli spettatori. [r.m.]
giovedì 27 novembre
00.56
Sala piena per la terza sera consecutiva per Giulio Questi, doverosamente omaggiato qui al festival. Stasera era il turno di Se sei vivo spara del 1967 e, al solito, Questi ha snocciolato una serie di mirabolanti aneddoti, rievocando il modo in cui, del tutto casualmente, si ritrovò a girare un western su richiesta di un produttore sull’orlo del lastrico. Rispetto a La morte ha fatto l’uovo e ad Arcana – ma anche rispetto al film breve Il passo – Se sei vivo spara è meno sperimentale e più apertamente satirico. In particolare, Questi si prende gioco dello stereotipo delle comunità del vecchio West, che mai sono state descritte con tanta ferocia. L’oste, il predicatore, la cantante sono per Questi i rappresentanti di quella borghesia che predica il rispetto della morale, ma allo stesso tempo si macchia di crimini orribili. E il riferimento all’Italia di quegli anni – ma non solo – è evidente in tutta la sua portata. [a.a.]
22.16
Giornata di visioni legate al concorso di questo TFF 2014: in mattinata abbiamo recuperato prima As You Were, opera seconda del singaporiano Jiekai Liao. Una storia d’amore attraverso gli anni ben diretta ma poco personale, e che confonde in maniera non sempre adeguata i piani narrativi; in ogni caso interessante, al di là dei dubbi. Ben più convincente è invece lo spassoso mockumentary vampiresco What We Do in the Shadows, diretto dai registi/attori neozelandesi Jemaine Clement e Taika Waititi: una commedia dal ritmo incessante e dalle molteplici trovate, concentrate soprattutto nella prima parte e nel finale. Difficile invece trovare motivazioni convincenti per la presenza in concorso di Frastuono di Davide Maldi, debole sia da un punto di vista estetico che contenutistico, e zeppo di ingenuità ai limiti del tollerabile. Peccato. [r.m.]
20.04
Presentato nel tardo pomeriggio alla stampa Togliatti(grad) di Gian Piero Palombini e Federico Schiavi. Il film, che è stato selezionato in Festa Mobile, rievoca gli anni in cui la Fiat installò una gigantesca fabbrica nella città sovietica che prendeva il nome dal segretario del PCI. Documentario dallo stile classico e forse un po’ imbalsamato, Togliatti(grad) però ha un fortissimo valore testimoniale e si sostiene anche grazie alla vivacità dei racconti delle persone intervistate. In più, dalla visione del film, emerge anche un amaro ritratto della fine di un’epoca, oltre che una serie di interessanti e stordenti schizofrenie: resta nella memoria ad esempio l’imbarazzo dei russi che, ospiti a Torino durante l’autunno caldo del ’69, si trovarono di fronte i comunisti italiani che scioperavano e ne rimasero enormemente sorpresi, visto che in Unione Sovietica scioperare era proibito. [a.a.]
17.10
Funziona per più di un’ora l’horror inglese The Canal di Ivan Kavanagh, presentato nella sezione After Hours. Pellicole di inizio Novecento, misteriosi e brutali omicidi, fantasmi della mente e presenze malefiche: la tensione è palpabile, l’intreccio sembra reggere, ma alla fine il meccanismo si inceppa in eccessive e ridondanti spiegazioni. Troppo accumulo e poca sottrazione. Più che buona la confezione, in primis il montaggio e l’utilizzo del sonoro. [e.a.]
14.10
Due importanti recuperi dalla sezione Internazionale.doc: il rumeno Waiting for August e lo statunitense Actress. Il primo, soprattutto, è una grande e commovente storia familiare, che vede protagonisti una madre e i suoi sei figli, separati per necessità economiche. La madre, infatti, lavora in Italia e ha dolorosamente lasciato i figli in Romania a vivere da soli, senza un padre. La lontananza (la madre appare in scena solamente alla fine, perché il racconto è tutto concentrato sui bambini), l’assenza, il dolore della crescita, il fortissimo e quasi-simbiotico rapporto tra i membri di una stessa famiglia: sono tanti i temi che emergono in Waiting for August e che la regista, Teodora Ana Mihai, sa trattare con una sensibilità unica. Il secondo film recuperato oggi di Internazionale.doc, vale a dire Actress di Robert Greene, è decisamente meno riuscito ma, nel raccontare la depressione di Brandy Burre, ex attrice di The Wire ora rinchiusa in una vita familiare che riesce a gestire con difficoltà, emergono comunque delle interessanti riflessioni sul magma e l’enigma del recitare – nella vita e sul palco – con tutto il conseguente masochismo che comporta il volersi comunque e nonostante tutto mettersi in scena. [a.a.]
mercoledì 26 novembre
23.59
Anche oggi la serata si è conclusa in compagnia del cinema di Giulio Questi: Arcana è un’opera spiazzante, di una potenza visiva notevole, calibrata sul ritmo indecifrabile del montaggio di Franco ‘Kim’ Arcalli. Un horror antropologico – e antropocentrico – che riflette sul contrasto tra cultura meridionale e geometrie urbane settentrionali e si immerge in modo sibillino e subliminale nel clima della contestazione allo Stato. Anarchico, nel senso più puro e immacolato del termine. [r.m.]
20.25
Spazio ai vincitori del TorinoFilmLab 2014.
La giuria internazionale, presieduta da Alberto Barbera e formata da Álvaro Brechner, Doreen Boonekamp, Marta Donzelli e Sophie Mas, ha assegnato 3 Production Awards (per un totale di € 160.000):
Popeye di Kirsten Tan (Singapore/Tailandia) – € 60.000
Hunting Season di Natalia Garagiola (Argentina) – € 50.000
The Wound di John Trengove (Sud Africa) – € 50.000
Sono inoltre stati assegnati i seguenti premi:
Audience Award (€ 30.000) assegnato a Kodokushi di Janus Victoria (Filippine/Giappone).
TFL Distribution Award (€ 43.000) assegnato a Eilon Ratzkovsky di July August Production, produttore di Mountain di Yaelle Kayam (Israele).
ARTE International Prize (€ 6.000) assegnato da ARTE France Cinéma a Home di Fien Troch (Belgio).
Post-Production Award EP2C – assegnato a Phaedra Vokali di Marni Films (Grecia), produttrice di Pigs on the Wind.
Les Arcs Coproduction Village Prize è stato assegnato a The Voice di György Pàlfi e Gergo Nagy (Ungheria).
Digital Production Challenge II Award è stato assegnato al progetto A Backwards Journey di Pietro Marcello e Alfredo Covelli (Italia). [e.a.]
18.35
Alla lunga lista degli inviti alla visione aggiungiamo, per la sezione TFFDOC, The Iron Ministry di J.P. Sniadecki, proiettato oggi al Massimo e recuperabile nei prossimi giorni, più precisamente venerdì sera alle 22.15 e sabato pomeriggio alle 14.45. Per alleviare l’attesa si consiglia caldamente la lettura della recensione… [e.a.]
18.20
Vivace, colorato, nostalgico e autobiografico, Infinitely Polar Bear di Maya Forbes è un esordio decisamente grazioso, divertente e anche un po’ commovente, impreziosito dalle performance di Mark Ruffalo e Zoe Saldana. Ben dirette anche le piccole Imogene Wolodarsky (Amelia) e Ashley Aufderheide (Faith). Siamo dalle parti di 1981 di Ricardo Trogi, anche se lo sguardo è più ad altezza di adulto che non di bambino e la scrittura indie della Forbes si porta via un po’ di naturalezza. Rassicurante e lungo il giusto. [e.a.]
13.10
È al festival da ieri Giulio Questi, cui quest’anno è dedicato un doverosissimo omaggio. Ieri sera Questi ha presentato al pubblico due dei suoi film: Il passo, episodio del film collettivo Amori pericolosi realizzato nel ’64 (un film che rientra pienamente nei codici del gotico italiano dell’epoca) e La morte ha fatto l’uovo, thriller quasi-erotico del 1968, formidabile esplosione stilistica, tra il geometrico e l’astratto. La copia, mostrata ieri sera, in particolare è a suo modo unica, come ha raccontato il conservatore della Cineteca Nazionale, Emiliano Morreale. Bloccata all’epoca dell’uscita in sala del film alla dogana, questa copia era stata poi rispedita a Roma in Cineteca e se ne erano perse le tracce. Così, mentre le altre copie del film venivano tagliate di dieci minuti per ragioni televisive, questa è rimasta integra ed è stata ritrovata proprio in occasione della retrospettiva torinese. I vantaggi dell’aver visto questa versione del film sono, dunque, diversi: dieci minuti che praticamente non si erano mai visti e una qualità ancora buona del 35mm. visto che la copia non era praticamente mai stata proiettata. Il problema è che in questi lunghi anni in cui probabilmente è stata conservata male, la pellicola ha cominciato a sviluppare un po’ di sindrome acetica e dunque si trova ora ad essere ‘virata’ in rosso. Ma, certo, era una proiezione che il festival non si poteva lasciar sfuggire. [a.a]
13.00
In proiezione stampa abbiamo recuperato For Some Inexplicable Reason, esordio al lungometraggio dell’ungherese Gábor Reisz. Una commedia sui giovani d’oggi, che guarda al cinema indie a stelle e strisce e al minimalismo surreale di Michel Gondry: a tratti divertente, senza dubbio interessante in alcune soluzioni visive ma nel complesso un po’ sterile, soprattutto sotto il profilo narrativo. [r.m.]
10.07
Giornata ricca al Torino Film Festival: tra i film che viene naturale consigliare puntiamo l’accento su Al-Rakib Al-Khaled del siriano Ziad Kalthoum (Reposi 1, h. 17.15), sorta di gemello eterozigoto dell’eccellente Silvered Water – Syria Self-Portrait, visto sotto la Mole negli scorsi giorni. Da non perdere anche il sorprendente Bruno Dumont di P’tit Quinquin, dove il cinema del regista francese incrocia impensabili traiettorie demenziali (Massimo 1, h. 16.00). In serata si consiglia di tentare una doppietta difficilmente replicabile in futuro: alle 20.15 al Massimo 2 Arcana e alle 22.00 al Massimo 3 La morte ha fatto l’uovo. Di chi stiamo parlando? Ma di Giulio Questi, mi pare ovvio! [r.m.]
martedì 25 novembre
00.55
Strimpella i soliti accordi la danese Susanne Bier, al TFF32 con l’intricato (iper)dramma morale A Second Chance (En chance til), caricato sulle spalle di un volenteroso Nikolaj Coster-Waldau. Alla sfrenata spettacolarizzazione dei drammi umani, tanto sovraccaricati quanto schematici, la Bier aggiunge una confezione diligente e patinata, degli snodi narrativi fastidiosamente forzati e poco altro. Probabilmente perfetto per i fan de Il sospetto di Vinterberg, A Second Chance conferma i tanti dubbi sul cinema della Bier. [e.a.]
23.30
Rituali moderni e ancestrali sono l’oggetto privilegiato d’analisi di Hit 2 Pass sorprendente lavoro di Kurt Walker presentato in TFFdoc/Internazionale. Al centro del film, che parte come un’elaborazione pop che gioca con antichi formati cinematografici (il 4/3) e la grafica vintage del videogame anni ’80, c’è una peculiare tipologia di “demolition derby” (l’Hit 2 Pass del titolo) ovvero una di quelle gare automobilistiche tipicamente statunitensi dove si gioca tutti contro tutti e vince chi riesce a sopravvivere con il motore ancora acceso. Walker si concentra a lungo sulla decostruzione e ricostruzione del veicolo del protagonista, in procinto di partecipare alla kermesse, ma gradualmente, e in maniera esplicita poi attraverso le parole di un ragazzo di origini native, viene fuori il ritratto di una nazione che ha fatto della demolizione e riedificazione di ciò che le appartiene (l’automobile, le proprie origini) uno degli elementi fondanti della propria cultura. [d.p.]
22.43
Si muove sui confini tra racconto di formazione indie, videoarte e video di sorveglianza, l’interessante Violet, opera prima del belga Bas Devos presentata in concorso al TFF. Protagonista è un adolescente, membro di una crew di BMX acrobatica, che si ritrova ad assistere, restando impotente, all’omicidio di un amico in un centro commerciale. Non succede molto altro nel film, che segue passo passo la lenta e sofferta espiazione del protagonista, alle prese ora con i propri genitori, ora con i compagni della crew che lo accusano vigliaccheria, infine con il padre della giovane vittima. Violet è un diretto discendente delle epopee adolescenziali dell’indie americano (Van Sant, Araki, Larry Clark) e non lo nasconde affatto, inoltre fa sfoggio di uno sperimentalismo visivo figlio da un lato della poetica ancora acerba dell’autore, dall’altro oggetto però di un consapevole esercizio tecnico-stilistico sulla pellicola che non c’è più e suoi viraggi, sui video di sorveglianza, sull’immagine e i suoi derivati. [d.p.]
16.57
Il terremoto de L’Aquila, e tutto ciò che ne ha fatto seguito, è il cuore pulsante di Habitat – Note personali di Emiliano Dante, presentato nella sezione TFFdoc/Italiana.doc: un viaggio nel luogo/casa che diventa anche indagine sulle vite di alcuni trentenni del capoluogo abruzzese. Un’opera interessante ma in parte incompiuta, anche per alcune scelte di ridondanza registica che lasciano non pochi dubbi… [r.m.]
16.47
Questa mattina abbiamo recuperato anche l’horror The Babadook, opera prima dell’australiana Jennifer Kent. Storia di un lutto mai elaborato, The Babadook sposa atmosfere da thriller psicologico a vere e proprie immersioni nell’horror tout court; diretto con mano sicura e ben scritto, si tratta senz’ombra di dubbio di uno dei film di genere migliori dell’anno. Un convinto applauso in sala ha accompagnato i titoli di coda. [r.m.]
15.45
Giovane e interessante regista di genere, Jim Mickle abbandona per un po’ i territori dell’horror (Mulberry St, Stake Land e We Are What We Are) e ci regala il crime thriller Cold in July, pellicola zeppa di svolte narrative, (sana) violenza e gustosa ironia. Ottime scelte di casting, a partire dal trio Michael C. Hall, Sam Shepard e Don Johnson. Tratto da Lansdale e scritto con l’inseparabile Nick Damici. Il TFF32 ha giustamente ritagliato un focus su Mickle all’interno della sezione After Hours. [e.a.]
13.38
La vita di Stephen Hawking secondo il regista di Man on Wire e Project Nim. Non si tratta però stavolta per l’autore britannico di un documentario bensì di The Theory of Everything – La teoria del tutto biopic dedicato al celebre astrofisico presentato al TFF nella sezione Festa Mobile. Interpretato magistralmente da Eddie Redmayne, Hawking è raccontato con una certa grazia, cospicue dosi di ironia e poche concessioni al sentimentalismo o al patetico. La malattia è naturalmente al centro della storia, così come il rapporto tra Hawking e la moglie (incarnata da Felicity Jones), ma The Theory of Everything non vuole essere solo un melodramma familiare e pertanto concede ampio spazio – in termini divulgativi nient’affatto banali – alla materia di studio del suo protagonista, con dissertazioni sulla natura del tempo, delle stelle e dei buchi neri. Data la complessità dell’argomento non era poi così scontato. [d.p.]
11.00
Fantascienza distopica per raccontare il Brasile di ieri e di oggi, tra stato di polizia, finto progressismo e razzismo. Branco sai preto fica di Ardiley Queirós sfonda il muro del “documento” con un lavoro affascinante, ennesima dimostrazione dello stato di salute del cinema politico brasiliano. In concorso a TFFdoc/Internazionale.doc. [r.m.]
lunedì 24 novembre
00.10
Josephine Decker è una giovane regista statunitense dallo spirito totalmente indie, il cui cinema è stato omaggiato qui al festival all’interno della sezione Onde. Il suo lavoro migliore ci è parso Thou Wast Mild and Lovely del 2014, dove l’attrazione sessuale, il risorgere di istinti primordiali e gli echi dei classici della narrativa americana (da Faulkner in poi) si mescolano con uno stile registico personalissimo, ellittico grazie a uno straordinario lavoro sul montaggio e fulminante per via di improvvise agnizioni visive. Una cineasta che sicuramente andrà tenuta d’occhio. [a.a.]
19.02
Continua, giustamente e meritatamente, a far parlare di sé Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco. Sono state presentate infatti qui al festival alcune scene tagliate, che danno l’idea di quanto il lungo lavoro fatto da Maresco intorno al film lo abbia portato a sviscerare una serie quasi-infinita di possibilità intorno al concetto di “Sicilia come metafora” e/o di “Silvio come metafora”. In tal senso, in questi frammenti, che sono stati presentati da Emiliano Morreale e Marco Travaglio, emergono ad esempio in maniera netta ed inequivocabile le turbe sessuali dei fratelli La Vecchia e il loro ambire ad essere come Silvio, facendo sì che sesso, pensiero mafioso e potere si re-intreccino continuamente sotto nuove forme. Ma la ricchezza di questi materiali è davvero notevole – ed è un peccato non averli potuti vedere tutti (ma saranno presenti come extra in dvd e blu-ray in uscita dal 2 dicembre per Mustang Entertainment) – e confermano e approfondiscono, se possibile ancora di più, il wellesismo di Maresco, permettendolo di declinare per l’appunto anche nell’ottica dell’estetica del frammento in cui, come dei lampi improvvisi, si riesce a visualizzare d’un sol colpo il nucleo di un discorso autoriale. [a.a.]
17.20
Non di solo polar e poliziottesco vive il cinema di genere europeo, e a darci un assaggio della via teutonica al cinema di genere è Wir Waren Konige (The Kings Surrender) di Philipp Leinemann in concorso al TFF 2014. Tutto concentrato sul cameratismo testosteronico che governa i rapporti tra i membri di una squadra d’elite della polizia, il film non concede molto all’azione, prediligendo un confronto in parallelo tra poliziotti e giovani criminali di periferia. La corruzione serpeggia tra le forze dell’ordine con una nettezza per il nostro cinema impensabile e si fanno strada questioni etiche ponderose, ma il tutto è reso con uno sguardo fenomenologico che concede poco al dramma e rifiuta persino a lungo l’idea di concentrarsi su un protagonista. Interessante esempio di poliziesco corale e cameratesco Wir Waren Konige (The Kings Surrender) non è però paragonabile al cinema scorsesiano (come suggerisce la trama nel programma del festival) al limite assomiglia a quello, volitivo ma sempre vagamente imperfetto e incompiuto, del suo seguace e ammiratore Antoine Fuqua. [d.p.]
16.22
All’interno retrospettiva sulla New Hollywood è stato recuperato oggi anche Tell Them Willie Boy is Here, caccia alle streghe in salsa western diretta da uno che le epurazioni maccartiste le soffrì sulla propria pelle, Abraham Polonsky. Un ritratto livido e oscuro dell’America (quasi) senza più frontiera dei primi anni del Novecento, dominato da una regia asciutta e priva di qualsivoglia orpello. Robert Redford non è il limpido esempio di pulizia democratica in cui di solito avvolgeva i propri personaggi, ma a rubare gli occhi è uno straordinario Robert Blake, ancora ben lontano dai tempi di Baretta e (ancor più) da quelli di Lost Highway di David Lynch… [r.m.]
15.00
Straordinario recupero nell’ambito della retrospettiva sulla New Hollywood: Who Is Harry Kellerman and Why Is He Saying Those Terrible Things About Me? (1971) di Ulu Grosbard è un autentico capolavoro che unisce radicale ricerca formale con una descrizione accuratissima dei personaggi e con un senso di vacuità esistenziale che lascia i brividi. Un film libero, in cui si mischia arditamente sogno e realtà (e vale la pena di scommettere sul fatto che i Coen si sia ricordati dell’incipit di questo film per una delle loro sequenze oniriche de Il grande Lebowski) e in cui giganteggia uno straordinario e allucinato Dustin Hoffman. [a.a.]
13.00
Il tentativo di sondare il malessere giovanile e l’impreparazione degli adulti, in primis del sistema scolastico, è indubbiamente ammirevole, ma l’opera prima argentina Anuncian sismos, diretta a quattro mani da Rocío Caliri e Melina Marcow e selezionata per il concorso del TFF32, palesa troppi limiti nella messa in scena, nella scrittura, nella gestione degli attori. Breve, ispirato a una storia vera e alquanto deludente. [e.a.]
domenica 23 novembre
01.40
È stata inaugurata con un film austero ed estremamente militante la sotto-sezione Democrazia di TFFdoc: Democracy Under Attack – An Intervention. Il film, diretto da Romuald Karmakar, è la semplice – e rigorosissima – ripresa frontale di dieci intellettuali intervenuti a un convegno sullo stato della democrazia in Europa. Interessante che questa radicale rimessa in discussione del concetto di Europa così come si è andato declinando venga proprio da uno sparuto gruppo di intellettuali tedeschi che sono i primi a criticare le politiche economiche del proprio paese. Le riflessioni sono argute e appassionate, persino avvincenti, e – se non si può che apprezzare che in un caso come questo si sia scelta una messinscena ‘basica’, senza imbellettamenti – d’altro canto resta l’amarezza per quel che emerge da siffatte riflessioni, il cui pur minimo accenno di speranza non riesce a nascondere la grande amarezza che connota e sostanzia il nostro essere cittadini europei oggi di fronte a una crisi che continua a essere gestita, sadicamente e insieme masochisticamente, da una politica al servizio delle borse e del mercato globale. [a.a.]
01.26
Sarà meglio un vecchio trucco di prestidigitazione o una seduta spiritica con evocazione dei cari estinti? Woody Allen non ha dubbi in merito, nel primo caso l’effetto di meraviglia è dovuto all’abilità del performer, nel secondo alla sua malafede e all’ingenuità di chi ne resta succube. Ruota intorno a queste e ad altre amene faccende Magic in the Moonlight nuovo film dell’autore newyorkese presentato in anteprima al TFF 2014. Scenario della vicenda è questa volta la Costa Azzurra dei tardi anni ’20 e protagonista è Colin Firth nei panni di un mago cinico ma non baro, il cui obiettivo è smascherare la giovane medium incarnata da Emma Stone. Tra feste, gite in Provenza, serenate con l’ukulele e le oramai abituali arzille vecchiette tipiche del cinema del tardo Allen, il film si dipana come una farsa che vive della spinta centrifuga della coppia protagonista, sovente impegnata in battibecchi in stile screwball, cui non manca certo la sagacia. Ma, mentre la storia procede, lo schematismo, così basico e prevedibile del suo scheletro si fa sempre più palese. Agnizioni e riconoscimenti finali arrivano poi troppo tardi, diluiti in tre sequenze gemelle di dialogo che non posseggono brio né fantasia. C’è molta auto-consapevolezza però da parte di Allen in questo suo stanco riutilizzo di vecchi trucchi, e si esce dalla visione di Magic in the Moonlight un po’ turbati, con addosso una sensazione di senile malinconia. [d.p.]
01.00
La seconda regia del produttore catalano Luis Miñarro, Stella cadente, al TFF32 nella sezione After Hours, è un divertissement dal (corto) respiro teatrale, deludente dal punto di vista visivo e vivacizzato giusto un po’ da qualche fiammata pop e da qualche situazione singolare. A tratti bizzarro, piuttosto gratuito in alcune scelte e sostanzialmente sconclusionato, Stella cadente è un film intrinsecamente festivaliero, debitore dei successi e del valore di pellicole come Lo zio Boonme che si ricorda le vite precedenti, Lo strano caso di Angelica, Singolarità di una ragazza bionda, El cant dels ocells e Honor de cavallería. Insomma, un giro di giostra non si può mica negare… [e.a.]
22.05
In Festa Mobile Stray Dog, documentario della regista indie Debra Granik, autrice di Un gelido inverno, che entra nella vita della famiglia di un anziano biker, veterano del Vietnam, con la moglie messicana. I biker, le Harley Davidson, il viaggio on the road: miti americani snocciolati e scardinati uno per uno in modo impietoso, tra personaggi unti, grassi, che vivono tra fiaccolate per i caduti in guerra, bistecche annegate nell’amido e viagra. Born in the USA! [g.r.]
19.20
Vista anche la recente scomparsa di Mike Nichols ci è sembrato fosse il caso di recuperare, sempre nell’ambito della retrospettiva dedicata alla New Hollywood, il suo Conoscenza carnale (Carnal Knowledge, 1971). Ma, oltre ai dubbi su un film forse troppo celebrato e che continua a non convincerci troppo, la proiezione non è stata esattamente confortevole, sia per il fatto che il film è stato proiettato in blu-ray (tra l’altro, la cosa era già annunciata, ma forse in questi casi è meglio rinunciare a mettere in programma un film), sia per la scomodità della sala 5 del Reposi, che è stata concepita in modo tale da poter leggere i sottotitoli solo per chi si riesce ad accaparrare un posto in prima fila. Ci si è dunque accomodati per terra, a lato dello schermo. È vero che per vedere un film si fa questo ed altro, però… [a.a.]
19.14
Bella sorpresa in concorso con il primo film italiano presentato qui a Torino: N-capace di Eleonora Danco. La regista, alla sua opera prima, si riallaccia a Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini e al Moretti prima maniera per mettere in scena sia la sua biografia che un discorso collettivo sulla solitudine esistenziale. Molto divertente, ma anche angosciante, N-capace è davvero un buon esordio che si perde solo un po’ nella seconda parte. [a.a.]
15.40
Recuperato oggi The Filth and the Fury (2000) di Julien Temple, il maestro britannico del film musicale e del videoclip, premiato ieri sera al TFF con il Gran Premio Torino. Documentario “poetico” dedicato ai Sex Pistols il film ripercorre la carriera della band attraverso le voci dei protagonisti: John Lydon – voce, Steve Jones, Glen Matlock, Paul Cook, Sid Vicious e il diabolico maieuta e impresario Malcolm McLaren. Con un montaggio esemplare, ora fluido ora nevrotico, e una mistura di immagini di repertorio logore e diafane, Temple compone il suo collage, pieno di rabbia, rimpianti, rancori e tanta decadente malinconia. Perché secondo Temple, i Sex Pistols sono eroi innocenti, traditi e vituperati proprio da quel sistema socio economico che miravano a distruggere. [d.p.]
15.10
La retrospettiva sulla New Hollywood permette di correre ai ripari, colmando (imperdonabili) lacune. È il caso, ad esempio, di The Jericho Mile (La corsa di Jericho, 1979) di Michael Mann, pellicola che intreccia genere sportivo e carcerario e si proietta già nei primissimi minuti oltre i virtuali paletti del piccolo schermo. Un Momenti di gloria rinchiuso tre le mura di un penitenziario, cadenzato da una versione strumentale di Sympathy for the Devil. Libertà, riscatto, sistema carcerario, questioni razziali, poesia della corsa, peso della colpa e della pena: Mann esordirà poco dopo sul grande schermo, ma The Jericho Mile mette già in mostra uno sconfinato talento. Uno degli apici del genere sportivo. [e.a.]
12.40
Larve e falene, amori saffici e sadomasochismo sono al centro di The Duke of Burgundy di Peter Strickland presentato in concorso al festival. Visivamente ammaliante e diretto con l’opportuna cura feticista per i dettagli, il film ci propone la fenomenologia di una relazione tra due donne fatta di dominio e sottomissione, desiderio e rancori, sospetti e tradimenti, per esplorare in fin dei conti la vasta e inesauribile casistica dell’amore. Il tutto però inizia ben presto a mostrare la corda e a preannunciare l’inevitabile finale suggestivo quanto inconcludente, come è un po’ l’intera pellicola. [d.p.]
11.00
La giornata si è aperta per noi stamane con uno dei titoli più attesi della retrsospettiva sulla New Hollywood, ovvero il dimenticato Melvin and Howard (Una volta ho incontrato un miliardario, 1980) di Jonathan Demme. Riflessione sul sogno americano ambientata in gran parte on the road e magnificamente fotografata da Tak Fujimoto, il film mescola toni malinconici e commedia senza dare mai tregua ai propri personaggi, per setacciarne con cura ogni moto d’animo, dal più nobile al più triviale. Davvero strabiliante – e premiata con l’Oscar – l’interpretazione di una sublime Mary Steenburger. [d.p.]
sabato 22 novembre
02.40
Mescola suggestioni provenienti da The Village, Lost, Il signore delle mosche e Il villaggio dei dannati Eau Zoo della giovane regista belga Emilie Verhamme, presentato al TFF in Festa Mobile. Trattenuto e reticente, il film è tutto giocato sulle atmosfere e sui rapporti di forza tra gli adolescenti e gli adulti di una piccola e isolata comunità residente su un’isola. Dopo tanto mistero però tutto si risolve in una insospettabile e alquanto banale rivisitazione di Romeo e Giulietta. [d.p.]
02.34
Chiusura di giornata con un altro film della New Hollywood, la nostra inevitabile e inesorabile ossessione di quest’anno: Welcome to L.A. di Alan Rudolph, uno dei film più rari forse della selezione di quest’anno. Presentato in un perfetto 35mm., Welcome to L.A. è un racconto corale volutamente sfilacciato, così come era caratteristico in quegli anni (e qui c’è anche Altman produttore), ma dove la rarefazione e persino il coraggio della messinscena vanno ben oltre rispetto alla media già alta dell’epoca. Basti pensare che in conclusione alcuni dei protagonisti si arrischiano persino a guardare in macchina, con gli occhi fissi verso lo spettatore, rompendo così uno dei tabù più potenti della macchina hollywoodiana. Cast straordinario, con Keith Carradine, Harvey Keitel, ma soprattutto delle presenze femminili che segnano profondamente la pellicola, a partire da una strepitosa Geraldine Chaplin. Un film decisamente da riscoprire. [a.a.]
02.20
Dalla sezione Italiana.doc un prezioso – anche se un po’ altalenante – documentario dedicato a Marcella Di Folco, presidente del Movimento Italiano Transessuali, scomparsa nel 2010: Una nobile rivoluzione è diretto da Simone Cangelosi che con Di Folco ha costruito un rapporto lungo anni – fatto anche di riprese video, oltre che di amicizia e prossimità. E dunque il film si dipana come una elaborazione del lutto, in cui si fanno preferire decisamente le parti intimiste a quelle in cui si cerca di proporre una rievocazione storica. Marcella Di Folco è, tra l’altro, una figura legata anche al mondo del cinema per aver recitato in piccoli ruoli in ben tre film di Fellini, tra cui Amarcord. [a.a.]
02.15
Torniamo indietro di qualche ora e spendiamo qualche parola per Vittorie perdute (più efficace il titolo originale Go Tell the Spartans) di Ted Post, altro interessante recupero della retrospettiva sulla New Hollywood. Regista dalla sconfinata filmografia televisiva, altalenante sul grande schermo, Post mette in scena con Go Tell the Spartans (1978) la prima fase della guerra del Vietnam, quando era ancora “piccola e lontana”, quasi insignificante. Una guerra affrontata con superficialità, combattuta con poca preparazione, sottostimando le difficoltà logistiche e la resistenza della nazione invasa. E così in missione ci finiscono reclute e soldati senza esperienza, spesso senza copertura, circondati da nemici capaci di rendersi invisibili. Pellicola dal taglio un po’ televisivo, ma molto efficace. Preziosa la presenza di Burt Lancaster. [e.a.]
17.15
Difficile scegliere nel mare magnum del programma torinese. Tanta, tanta roba. Un possibile percorso, facendo una bella apnea di tre film al Massimo, sala 1: La chambre bleue di Mathieu Amalric alle 17.45, preceduto dal corto di Betbeder Inupiluk, ’71 di Yann Demange alle 20.00 e chiusura con It Follows di David Robert Mitchell alle 22.15. In caso, buone visioni. [e.a.]
16.50
Chi teme invasioni di formiche, dovrebbe vedere il bellissimo film Phase IV, unico film da regista del titolista Saul Bass, cui si devono i titoli di testa di tanti grandi classici, da Psycho in poi. Un’invasione di formiche prossima ventura non lascerà scampo all’umanità. Non susciteremo quindi gravi preoccupazioni se invece di formiche facciamo le pulci al festival, ricordando che la proiezione prevista in 35mm è stata invece in digitale, con un fastidioso effetto a scatti nelle panoramiche. [g.r.]
16.45
La retrospettiva New Hollywood è un’isola felice di recuperi e riscoperte, anche se non sempre accompagnate da un 35mm o da copie all’altezza. Intanto mettiamo in cascina la visione su grande schermo dell’unica e sorprendente regia di Saul Bass, Fase IV: distruzione Terra (Phase IV, 1974): fantascienza antispettacolare, estremamente matura, capace di ribaltare le prospettive dei classici degli anni Cinquanta – impossibile non pensare ad Assalto alla Terra di Gordon Douglas, alla paura dell’invasione comunista, allo spauracchio atomico, all’ingenuità dei mostri smisurati. Phase IV è un film lucidissimo, asettico, cerebrale, impreziosito dalle riprese di Middleham.
Gli anni Settanta sono stati il periodo più ispirato per John Flynn, regista di genere che nel 1977 ha confezionato il più che interessante Rolling Thunder, revenge movie che tocca uno dei nervi scoperti della società a stelle e strisce, mettendo al centro della narrazione i fantasmi e gli incubi dell’eroe di guerra Charles Rane (l’ottimo William Devane). Soggetto e sceneggiatura di Paul Schrader. E si vede… [e.a.]
13.02
Presentato in mattina alla stampa Ogni maledetto Natale, diretto dal trio di autori di Boris Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo. Una sorta di anti-cinepanettone, che però finisce per cadere in – quasi – tutti i vizi del filone che si vuole parodiare o, quantomeno, citare sottotraccia: una storia d’amore per nulla convincente, un cast di attori all-star che si rubano la scena vicendevolmente (dai sodali di Boris – Pannofino e Guzzanti – a Marco Giallini), una trama episodica e forzata che finisce per essere al servizio di una sequela infinita di gag (spesso poco divertenti). In più, Ogni maledetto Natale si auto-investe di un’aura di maledettismo (narrativo e di pensiero) che non giova al film e, anzi, questo desiderio di voler apparire originali a tutti i costi e di voler forzare i toni a ogni momento finisce per rendere la seconda opera cinematografica di Ciarrapico/Torre/Vendruscolo un insieme mal riuscito e mal costruito di sketch fini a se stessi. [a.a.]
venerdì 21 novembre
02.00
I possibili percorsi festivalieri sono tanti, soprattutto al Torino Film Festival 2014, tra le numerose sezioni e la fiumana di titoli presentati – tanti, forse troppi. Uno dei possibili inizi ha mandato in cortocircuito il nostro immaginario, catapultandoci da un bianco e nero splendido, accompagnato da pochissimi dialoghi, a una follia cromatica e narrativa, esaltata da un rap continuo e inarrestabile. La quiete dopo la tempesta e un bombardamento. Due film distantissimi tra loro, due pellicole rare, da recuperare il prima possibile: Storm Children, Book 1 di Lav Diaz e Tokyo Tribe di Sion Sono. È bello iniziare così. [e.a.]
01.20
È toccato a Gemma Bovery, graziosa ma esangue commedia sulla bibliofilia e i desideri senili, inaugurare il 32esimo Torino Film Festival. Presentato nel corso della serata d’apertura della kermesse dalla regista Anne Fontaine (suoi anche Two Mothers e Coco avant Chanel) il film vede al centro della scena Gemma Arterton – contemplata in tutta la sua bellezza e da ogni angolazione – nei panni di un’annoiata londinese ora trasferitasi col marito in una remota località della Normandia. Qui la donna desta da subito l’attenzione del fornaio locale, interpretato da Fabrice Luchini, attratto dal fascino malinconico di lei nonché dal suo nome, Gemma Bovery, che a lui riecheggia l’onomastica della protagonista del suo romanzo preferito, la sfortunata Emma Bovary di Gustave Flaubert. Tratto da una graphic novel di Posey Simmonds (quella di Tamara Drewe, incarnata nell’omonimo film di Frears sempre dalla Arterton) Gemma Bovery prede presto di mordente, si concentra su vicende di scarso interesse e personaggi di contorno ripetitivi e macchiettistici. Sebbene ogni tanto riesca a strappare qualche risata, il film della Fontaine manca di brio così come di idee brillanti. Peccato, perché lo spunto di partenza e il cast avrebbero potuto fare faville. [d.p.]
01.02
La serata di apertura della 32esima edizione del Festival di Torino si è tenuta per il secondo anno consecutivo al Lingotto. Ampi spazi, un po’ labirintici, ma tutto sommato accoglienti. Era il battesimo di Emanuela Martini, per la prima volta nel ruolo ufficiale di direttore e che ha condotto, da sola, una cerimonia di presentazione sobria e un po’ monocorde. Dunque, dopo un trailer di presentazione del festival, con un montaggio di alcune sequenze dei film della selezione, il nuovo direttore è salito sul palco, ha fatto i saluti di rito, ringraziando sponsor e quant’altro e poi ha dato spazio al musicista Giorgio Li Calzi che si è esibito nella ricostruzione audio di un immaginario e reinventato film italiano d’antan. L’incipit di questa sua composizione Li Calzi lo ha affidato al Mastroianni di Todo modo (che accusava ferocemente e sadicamente la classe politica), poi è passato a qualche variazione su temi morriconiani (tra cui Indagine…), infine la chiusura con l’ultimo dialogo del Pasolini di Salò. Un contributo a suo modo politico e interessante, anche se non completamente risolto dal punto di vista simbolico e concettuale. Dopodiché la Martini è tornata sul palco per dare la parola ad Anne Fontaine, regista del film d’apertura Gemma Bovary. Fine della presentazione: minimal, concettuale, senza ghingheri e lustrini. In fin dei conti meglio così. [a.a.]