Intervista a Emiliano Morreale

Intervista a Emiliano Morreale

Prosegue il nostro excursus sulle cineteche e sulle politiche del restauro. Dopo aver intervistato Paolo Cherchi Usai, tra i soci fondatori delle Giornate del Cinema Muto e direttore della George Eastman House, e Gianluca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, non potevamo che procedere incontrando Emiliano Morreale, che da febbraio 2013 ricopre il ruolo di Conservatore della Cineteca Nazionale di Roma. È stata l’occasione per visitare gli enormi spazi dedicati alla conservazione che si trovano all’interno del Centro Sperimentale e che racchiudono centinaia di migliaia di tesori in 35mm, in parte ancora da esplorare.

Dalla Mostra di Venezia al Festival di Torino, passando per il Festival di Roma, la Cineteca ha presentato diversi restauri, tra cui Le mani sulla città di Francesco Rosi, Quién sabe? di Damiano Damiani (a Venezia), 8½ di Federico Fellini (a Torino), ma, soprattutto, è stata promotrice all’ultimo festival di Roma di due retrospettive: una dedicata ai pepla (con titoli come La vendetta di Ercole di Vittorio Cottafavi e Ercole al centro della terra di Mario Bava) e un’altra a Claudio Gora. Quest’ultima, in particolare, curata dallo stesso Morreale, ha posto l’attenzione su un autore sostanzialmente dimenticato del nostro cinema.
Interprete di molti film dagli anni Trenta agli Ottanta, spesso in ruoli di caratterista – tra cui Un maledetto imbroglio, Una vita difficile, Il sorpasso – Gora infatti ha avuto anche una carriera da regista, composta da nove titoli, dall’esordio nel ’50 con Il cielo è rosso fino al ’72 con Rosina Fumo viene in città…per farsi il corredo, opere spesso di valore e poi, col tempo rimosse e sostanzialmente espunte dalla storia ufficiale del cinema italiano. Perciò, oltre ad esserci soffermati con Morreale sul controverso tema del passaggio dalla pellicola al digitale – e di ciò che questo comporta in particolare per il ruolo di un conservatore – abbiamo anche affrontato la questione relativa ai tanti misteri che cela la nostra cinematografia e le difficoltà che si possono incontrare nell’organizzare una retrospettiva su un autore italiano che non rientri nella categoria di quei cinque, sei grandissimi autori.

Innanzitutto complimenti per le due retrospettive e, in particolare, per quella dedicata ai film da regista di Gora, omaggio che ha permesso di riscoprire un autore completamente dimenticato. Quali sono state le difficoltà che avete incontrato nel recupero delle copie dei suoi film? In che condizioni erano? E come si è svolto l’unico restauro che ha avuto luogo, quello di La contessa azzurra (1960)?

Per fortuna i film di Gora regista non sono molti, soltanto nove, però in effetti, essendo lui un autore “dimenticato”, è stato difficile trovare alcune copie anche perché della sua filmografia solo i primi due film, Il cielo è rosso (1950) e Febbre di vivere (1953), sono relativamente noti. Degli altri è difficile trovare persino la copia in pellicola. Ma siamo riusciti a trovarle andando a cercare tra gli aventi diritto, i collezionisti e le cineteche. Alcune erano sorprendentemente in buone condizioni, come quella di Tre straniere a Roma (1958) che ci è stata data da un collezionista. Le copie della retrospettiva sono state proiettate tutte in pellicola tranne tre – L’odio è il mio dio, Tormento d’amore e Rosina Fumo viene in città…per farsi il corredo – perché, essendo i supporti molto rovinati, non erano più proiettabili e quindi abbiamo dovuto optare per dei beta. E poi c’è stato il restauro digitale di La contessa azzurra che è stato complesso perché è un film strano, è girato a colori con una fotografia di Gábor Pogány molto pioneristica. Infatti, ad eccezione dell’inizio e della fine, la parte centrale – quindi il grosso del film – è girata tutta con un effetto flou e con un’immagine molto nitida al centro e molto sfumata ai bordi che in alcune scene, soprattutto quelle in esterni con la luce naturale, dà un effetto scioccante e a prima vista può sembrare un difetto. Comunque è stata una bella operazione perché La contessa azzurra oltre ad essere un bel film è un documento importante dal momento che credo sia l’unico film in cui si racconta il mondo del cinema muto napoletano, i cui protagonisti erano produttori come Gustavo Lombardo, il fondatore della Titanus e padre di Goffredo, e registi importanti come Elvira Notari.

Come mai le copie dei tre film proiettati in beta non erano in buono stato?

Purtroppo è una cosa che succede spesso quando i film non sono molto famosi. Si restaurano sempre i soliti film gloriosi del cinema italiano e nessuno si preoccupa di quei titoli importanti che è utile non solo restaurare ma anche far conoscere. Per cui il restauro deve assumere anche un valore cultural-promozionale, di diffusione di film altrimenti sconosciuti. Considerate comunque che, pur facendo i restauri in digitale, poi noi cerchiamo sempre di fare i ritorni in pellicola. Purtroppo non si può fare per tutti i film che restauriamo per una semplice ragione: il ritorno in pellicola costa a volte quasi quanto il restauro. E poi con il restauro digitale hai la possibilità di proiettare molto più agevolmente i film in sala, dato che oramai tutti, anche i festival, hanno i proiettori digitali e a breve non ci saranno più quelli a 35mm. Comunque un ritorno in pellicola come costi si aggira tra i 15 e i 20mila euro. Lo abbiamo fatto per alcuni film, come per esempio Le mani sulla città di Francesco Rosi, per il quale abbiamo stampato due copie in 35mm, che sono state proiettate al Cinema Trevi e al MoMA di New York. A Venezia invece la copia era in digitale, perché ci è stato richiesto così. Anche per Giuseppe Verdi nella vita e nella gloria di Giuseppe De Liguoro, che abbiamo proiettato alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone, abbiamo stampato un 35mm. La mia idea sarebbe di fare un ritorno in pellicola almeno per un film ogni quattro. A volte bisognerebbe insistere e fare, assieme a un nuovo restauro, un ritorno in pellicola, per una questione di conservazione. Perché le stampe sulle nuove pellicole che ci sono oggi offrono una garanzia di conservazione molto prolungata, non servono solo per i puristi che vogliono vedere le proiezioni in pellicola, ma anche perché, come sapete, una buona stampa in pellicola conservata in cineteca garantisce una durata di conservazione quasi sempiterna.

Questo perché, al contrario, i file digitali hanno una vita molto più breve?

I file digitali possono andare perduti, ne vanno continuamente aggiornati i supporti e purtroppo noi non abbiamo i fondi per fare le migrazioni periodiche dei dati che garantiscono la loro conservazione. In un mondo ideale uno cerca di fare il meglio dalle condizioni di partenza che ha. Basti sapere cosa si sta facendo e perché.

Il restauro digitale costa meno?

Dipende dai singoli interventi, e da cosa si conteggia nel “costo del restauro”. Ma il problema è più ampio, è il destino del cinema – anche di quello del passato – che si trova in un passaggio tecnologico epocale. Quando devo mandare in sala un classico restaurato, se lo faccio con i DCP mi costa molto meno che con le pizze del 35mm, in termini di stampa e trasporto. Ma non solo, la possibilità di proiettare in digitale i classici del passato potrebbe permettere, magari in un futuro prossimo, un maggior ritorno di questi film su grande schermo. Può essere un’opportunità per il pubblico di conoscerli meglio. È importante in questo momento storico essere anche pragmatici: non bisogna essere né troppo feticisti del passato né innamorarsi del digitale per partito preso.

Il restauro dunque può anche costare di meno in digitale, ma la conservazione è l’opposto, è sempre più economica quella in pellicola, è così?

Certo, conservare delle pizze 35mm nelle giuste condizioni è più semplice che gestire masse crescenti di file! D’altro canto però lo spazio occupato da un 35mm richiede una gestione molto più difficile. E poi bisogna ragionare sempre caso per caso. Le variabili sono tante, la prima è la grandezza del patrimonio. Per esempio la Cineteca Nazionale ha 80mila titoli, quindi bisogna ragionare caso per caso e dire, ad esempio, per questo fondo cosa è meglio fare?

Sta succedendo un po’ come con il passaggio per la musica da vinile a musicassetta: il digitale è più pratico e trasportabile, ma la sua qualità è inferiore alla pellicola. È possibile però che in futuro i “grandi eventi” siano costruiti intorno a proiezioni in pellicola? E in quel caso avremo ancora i proiettori?

Il punto è proprio che sarà sempre più caro e complicato anche trovare materialmente gli stock di pellicola. E poi le sale stanno passando tutte al digitale. Però, immaginando il futuro, credo che sarebbe bello che la visione della pellicola, anche quella d’epoca, non restaurata, che non è passata attraverso il digitale, possa costituire un evento. Credo che questo doppio binario, quello della fruizione quotidiana e quello del cinema come evento, sia una cosa possibile e, in fin dei conti, sta già avvenendo. Basti pensare alla scissione tra visione collettiva e visione privata: da un lato c’è la nostra fruizione con il minischermo oppure online, dall’altra c’è l’evento grosso, il momento in cui si proietta la copia restaurata o ritrovata. Il rischio è che tutto divenga evento e che si perda il tessuto quotidiano, l’esperienza storica. E qui ci spostiamo sul versante del lavoro culturale, cioè del lavoro di organizzazione e di diffusione che le cineteche devono fare per mantenere viva una storia di cui sono i conservatori. Nel caso della Cineteca Nazionale questo è ancora più lampante, dal momento che noi siamo specializzati nel cinema italiano. Il nostro, se vogliamo, è un compito ancora più difficile, perché se il cinema del passato rischia di essere dimenticato, quello italiano corre ancor di più il pericolo dell’oblio. Provate a parlare con un organizzatore di festival e rassegne o un programmatore televisivo o un distributore di DVD, questi vi confermerà che il nostro cinema è quello che meno facilmente incontra i gusti del pubblico. Per questo ringrazio ancora di più Marco Müller che ha accettato immediatamente di fare al Festival di Roma queste due retrospettive, Claudio Gora e i pepla. So comunque che, in generale, si tratta di un lavoro in salita, infatti a parte quei dieci titoli glamour che tutti vogliono restaurare e tutti vogliono rivedere, c’è poi un enorme lavoro di riscoperta che andrebbe fatto e che non è facile da realizzare. Non c’è solo Gora, c’è il cinema degli anni ’50 ad esempio. Ricordo che quando nel 2004, sempre Müller, a Venezia promosse la retrospettiva “La storia segreta del cinema italiano”, ho scoperto dei film incredibili che mi hanno rivelato ancora una volta come la nostra cinematografia non sia fatta solo da quei cinque autori che tutti conosciamo. E non c’è solo la possibilità di rileggere il cinema italiano in termini “tarantiniani”, per cui hai un po’ di spaghetti western, un po’ di commedia sexy e un po’ di poliziottesco. C’è anche dell’altro, ci sono anche delle cose meno alla moda che meritano di essere riscoperte. Ma per fare questo bisogna avere un progetto culturale in testa.

Nell’incontro che si è tenuto al Festival dedicato al cinema di Gora si diceva che alcuni dei film in cui ha lavorato come attore, in particolare tra gli anni Trenta e i Quaranta, non sono più reperibili. Come mai la Cineteca Nazionale non ha queste copie?

La Cineteca ha il deposito obbligatorio solo da una cinquantina d’anni, mentre prima il deposito era volontario. Inoltre, dovete considerare che, proprio perché venivano date come deposito, molte erano copie scadenti o, persino, delle copie lavoro. Per fortuna, ormai da molti anni si fa la verifica della qualità della copia in entrata, ma un tempo non era così. Le copie che sono in Cineteca un po’ vengono dal deposito di legge, un po’ da collezionisti, fondi, produttori, distributori e aventi diritto che le hanno depositate volontariamente. Ad esempio, per La contessa azzurra, il negativo originale della Surf Film era depositato in un laboratorio ed è lì che lo abbiamo preso e ristampato. Poi c’è il problema che il cinema degli anni ’30, il cinema del fascismo, sembrava essere andato in gran parte perduto, e solo negli anni Settanta, ne è stata recuperata una buona parte. Ancora, c’è la nota vicenda delle pellicole che si trovavano al Centro Sperimentale e che furono portate via dai tedeschi su un misterioso treno blindato, treno che sembra sia stato bombardato e quindi se ne sono perse le tracce. Si salvarono solo quei film che vennero nascosti dai funzionari nelle intercapedini. Così ad esempio è andato perduto Sperduti nel buio di Nino Martoglio, film leggendario che era stato visto e assimilato da tutti quelli che poi hanno fatto il Neorealismo. Ma anche Ragazzo di Ivo Perilli del 1933 è un altro film al momento non più recuperabile. Bisogna aggiungere, inoltre, che negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale non c’era un grande interesse verso il cinema dei telefoni bianchi, era considerato un periodo storico di cui vergognarsi.

Ma è vero che una parte dei film dei telefoni bianchi fu requisita dalle forze armate statunitensi?

Non mi risulta. Comunque, ci sono tante storie in tutto o in parte da esplorare da parte della storiografia, ad esempio la Cinecittà che cercarono di fare al nord, durante la Repubblica di Salò, oppure l’epurazione dei registi più compromessi con il fascismo, operazione che poi in realtà non fu fatta. Ci sono una serie di storie da recuperare, anche attraverso una ricerca sui documenti, sulle testimonianze, attraverso la pubblicazione di volumi. È un lavoro che forse non paga e non ottiene titoli sui giornali. Ma io penso anche che il compito di una cineteca sia questo: ricostruire un filo storico e tenerlo vivo, in modo tale da rivolgersi principalmente alle nuove generazioni per permettergli di ricostruire un legame con la storia del nostro cinema. Perché questo disamore verso il cinema italiano si ripercuote sul presente. È vero che ci sono molti film italiani brutti, ma credo sia assurdo che in Italia, ad esempio, non si vada a vedere il film di Leonardo Di Costanzo, L’intervallo, o che Pietro Marcello incassi più in Francia che nel suo paese.

Forse basterebbe smettere di parlare di cultura in termini di costi.

È così, non è giusto parlare di cultura in termini di costi e nemmeno di investimenti. A me piace parlare di cittadini, di humus. I film restaurati in Francia e a New York escono in sala regolarmente e vengono recensiti dal New Yorker, da Les Inrockuptibles, dai Cahiers du Cinéma. Per carità, dietro c’è anche una strategia di marketing, per cui questi ritorni in sala fanno da lancio alle uscite in Home Video e da noi il mercato dell’Home Video è collassato. C’è un’oggettiva difficoltà nel far vedere i film sia vecchi che nuovi.

Vista la prossima scomparsa della pellicola, come vi state muovendo per i film più recenti che devono essere depositati in cineteca? Si consegna una copia in DCP?

Abbiamo di recente mandato una lettera al MiBAC per proporre di consegnare non solo i DCP, ma anche consentire l’accesso al laboratorio che conserva i file, visto che il DCP non è comunque un formato eterno. Quindi l’importante è avere l’accesso ai file che sono in laboratorio. Prima i film, anche se girati in digitale, venivano stampati in pellicola, quindi fino a quest’anno noi abbiamo le copie in 35mm. Si è passati anche per una fase di confusione, perché qualcuno ha pensato che, dal momento che doveva consegnare una copia in digitale, poteva depositare il DVD, ma ovviamente non si può. Poi c’è il problema dei documentari o dei cortometraggi di cui non viene fatto il DCP; vengono proiettati in DVD o Blu-ray, quindi ora stiamo discutendo se farci consegnare magari il Blu–ray. Per questo, la regola generale resta l’accesso ai file. Diceva Walter Benjamin che con il cinema si aveva la perdita dell’aura perché lo si poteva riprodurre meccanicamente al punto da non poter più risalire all’originale. Ma non era così. In fin dei conti, l’originale c’era ed era il negativo. Se io ho il negativo, da lì posso stampare. Ma anche dai positivi si potevano fare dei controtipi e c’era tutta la filiera dei formati analogici. Ma questo oggi non c’è più. Con il digitale nascono dunque nuovi problemi di catalogazione e conservazione, cose sulle quali stiamo lavorando. Questa circolare spedita dal ministero risale a qualche mese fa e, al momento, anche se non è ancora stato ufficializzato, sembra che la regola del DCP e dell’accesso ai file sia la soluzione più utile e più percorribile. In Francia si sono già posti la questione e il CNC ha obbligato per legge le produzioni a stampare una copia in 35mm da depositare. Però questa cosa viene rispettata dalle grandi produzioni, ma non dai produttori indipendenti, perché non si può pretendere che una piccola produzione, dopo aver investito nel suo film, debba spendere magari quasi altrettanto anche per fare la copia da depositare. Perciò non lo fanno. In un mondo ideale, il CNC – nel nostro caso il MiBAC – dovrebbe a sue spese fare una copia in 35mm, il che sembra paradossale perché da un lato investe per la digitalizzazione delle sale, dall’altro stampa le copie in pellicola. Ma non è poi così strano, tutte e due le cose hanno dei vantaggi, visto che la digitalizzazione è comoda ed economica. La situazione comunque si aggiorna continuamente.

Come avvengono la conservazione e i restauri dei film degli anni ’80, quelli girati su supporti magnetici?

Questo è effettivamente un bel problema. Abbiamo restaurato Anna di Alberto Grifi, ne abbiamo recuperato il girato – è un film per cui il girato è fondamentale – ed è stato presentato al Festival di Torino con una sorta di installazione in una galleria cittadina. C’è un patrimonio di cose straordinarie, di cose girate in videotape, soprattutto quelle dei primordi, fine anni ’70, anni ’80 e primi ’90. Si tratta di formati, in questi casi, effettivamente deperibili ed è difficile persino poterli gestire, visto che esistevano tantissimi formati differenti e serve perciò anche il lettore adatto per vederli. Ad esempio, di questi formati cosiddetti “minori” si sta occupando il laboratorio Camera Ottica del Dams di Gorizia, gestito da Simone Venturini. Ci sono delle cose notevolissime che vanno conservate e restaurate. Lì non c’è il problema della resa e non è necessario fare dei restauri in 4K perché di partenza la qualità dell’immagine è bassa. La quantità di dati in un U-matic BVU [un formato di registrazione video lanciato dalla Sony negli anni ’80, n.d.r.] è compatibile con quello che possiamo fare a costi relativamente bassi. A me piacerebbe ad esempio – e ne ho già parlato con la Cineteca di Bologna – fare un grosso progetto sulla preservazione di tutte le cose realizzate da Ciprì e Maresco. Si tratta di un ampio archivio in gran parte ancora non catalogato che bisognerebbe recuperare così come abbiamo fatto con Grifi e come dovremo fare con altri che hanno lavorato con il videotape fino a metà anni ’90. Cinico Tv sarà composto di centinaia di ore e credo che sarebbe un bellissimo progetto.

Si parlava di Anna, che è stato presentato all’ultimo Festival di Torino. In quell’occasione è stata presentata anche una versione restaurata di di Fellini? Qual è la storia di questo restauro?

è stato un restauro importante per alcuni motivi. Intanto perché c’era un negativo messo male. C’era perciò una certa necessità di procedere. Più di dieci anni fa c’era già stato un restauro, ad opera di Mediaset, che ha la library della Cineriz, un restauro inserito nell’ambito dell’iniziativa Cinema Forever. Comunque, non c’erano copie in circolazione e questa estate era stato lanciato un allarme. Abbiamo contattato Mediaset e il restauro era già stato messo in opera, il negativo era stato depositato al laboratorio della Deluxe. Quindi, il lavoro di preparazione era stato fatto e noi siamo entrati in corso d’opera. E, un altro motivo per cui è stato importante questo restauro, è stata proprio la collaborazione con Mediaset, la prima con la Cineteca. Una collaborazione fondamentale perché Mediaset detiene tuta la library di Cineriz, un patrimonio inestimabile del nostro cinema. Ci tenevo comunque che il restauro di fosse fatto nel cinquantenario del film. È un omaggio che, come Cineteca, abbiamo fatto al meraviglioso 1963 del cinema italiano: infatti vinse l’Oscar come miglior film straniero, Le mani sulla città – anch’esso restaurato – ottenne il Leone d’Oro a Venezia e Il gattopardo la Palma d’Oro a Cannes. Di Il gattopardo non c’era bisogno di un restauro, era già stato fatto dalla Cineteca di Bologna, ma abbiamo comunque organizzato una mostra a Palermo [per ulteriori informazioni sulla mostra vedere qui, n.d.r.].

È possibile fare un progetto sistematico di restauro e conservazione, come è stato fatto ad esempio in Inghilterra dal British Film Institute?

C’è già qualcosa del genere. È un progetto speciale di conservazione dei nitrati della Cineteca Nazionale finanziato dal MiBAC di cui è stato fatto l’80% del lavoro. Sono stati messi in sicurezza 25.000 rulli infiammabili e si sono isolati i casi più a rischio. Si tratta di titoli dal muto ai primissimi anni ’50 quando ci fu il passaggio alla pellicola non infiammabile ed è un progetto che si sta perseguendo a tappeto. L’altro progetto che si sta iniziando a realizzare parallelamente è quello di una progressiva digitalizzazione dei materiali del cinema muto italiano. Ma, essendo quello un patrimonio più ridotto, è più facilmente percorribile.

Per questi 80mila titoli della Cineteca è possibile visionare online il catalogo completo?

Sul sito ci sono i titoli disponibili per la circolazione, quelli che vengono prestati dalla Cineteca per diffusione culturale. Non le copie uniche perché queste non vengono prestate, ma quelle controllate da poco, di cui esiste una seconda copia. Per sapere se c’è la copia unica di un film e in che stato si trova, bisogna fare richiesta, perché vanno fatte delle verifiche ad hoc. Dunque esiste un database interno delle opere, sono tutte inventariate. Poi ci sono anche i fondi che sono arrivati da poco, perché le pellicole continuano ad arrivare continuamente e non sono solo quelle del deposito di legge. Vi faccio qualche esempio: ultimamente sono state depositate tutte le copie dei film prodotti da Alberto Grimaldi e quelle della Clesi Cinematografica di Silvio Clementelli che ha prodotto negli anni i film di Bellocchio degli anni ’70, della Cavani, ecc. In questo caso si tratta anche di negativi.

Il singolo cittadino, lo studioso può avere accesso ai film depositati?

Spesso vengono fatti dei DVD consultabili in sede. Altre volte possono essere richiesti dei telecinema che vengono fatti da noi e sono anche in questo caso consultabili in sede. Questo permette un accesso più agevole per gli studiosi, mentre un tempo per consultare un film lo si passava in moviola.

Come funzionano i finanziamenti dei privati?

Il privato punta a scegliere film di richiamo, come Il Gattopardo. Nessun privato ti finanzia la messa in sicurezza di 500 nitrati. È per questo che il privato può entrare fino a un certo punto in questa logica. Certo, è importante e meritorio che Dolce e Gabbana finanzino il restauro di Boccaccio ’70 o che lo scorso anno abbiano finanziato il restauro di Fellini – Satyricon. Ma c’è una attività quotidiana – che è poi la spina dorsale dell’attività delle cineteche – che non può e neanche deve essere finanziata da un privato, perché giustamente non è un compito suo, ci deve pensare lo Stato. Per noi inoltre è fondamentale avere una serie di eventi completamente promossi dalle istituzioni pubbliche, come il restauro de Le mani sulla città. Sono restauri questi che hanno un valore di memoria storica e con cui si sottolinea la presenza attiva delle istituzioni, perché dietro c’è un lavoro di contatti e di accordi con gli aventi diritto. Infatti, se le cineteche hanno il diritto al possesso materiale di una o più copie di un film, resta comunque fermo il punto che gli aventi diritto dello sfruttamento di quel film sono i produttori o coloro che hanno rilevato le library. Le cineteche dei paesi dell’Est Europa, ad esempio, quelle degli ex paesi comunisti, sono molto invidiate perché, avendo avuto un cinema di Stato, sono anche proprietari dei diritti dei film, non solo delle copie. Questo è anche il caso dell’Istituto Luce. L’archivio del Luce è infatti soprattutto un archivio di documentari, che sono di sua proprietà. Possono farci quello che vogliono, anche venderli.

Sempre nell’incontro dedicato al cinema di Gora, si ricordava che un suo film, Febbre di vivere, era stato inserito qualche anno fa nella celebre lista dei 100 film da salvare, un’iniziativa promossa dalle Giornate degli Autori e curata dal critico del Messaggero, Fabio Ferzetti. Come può intervenire la stampa per provare a puntare l’attenzione sulla necessità di certi restauri?

Se è difficile convincere il privato a intervenire, allo stesso modo è difficile ottenere l’attenzione della stampa. Bisogna essere capaci, in qualche modo, di “vendere” il restauro. Perché naturalmente è più facile realizzare e far parlare del film noto restaurato, che non del lavoro quotidiano che viene fatto. Beninteso, sono molto contento che La Repubblica abbia fatto uscire in prima pagina un articolo di Roberto Saviano sul restauro di Le mani sulla città, anche questo lo rivendico come lavoro culturale della Cineteca. Così come sono contento che al Festival di Torino ci siano i rushes di Anna e il restauro di 8 e ½. Il nostro compito è anche questo. Bisogna però far capire, sia alle istituzioni sia alla stampa, che la Cineteca non è un’istituzione che lavora una volta all’anno, ma quotidianamente. Comunque, negli ultimi tempi, ho l’impressione che ci sia una sempre maggiore attenzione verso questi temi. Ho trovato infatti una buona ricettività della stampa, per certi versi inattesa. Ma, del resto, come ho detto, tutto sta nel saper vendere le cose. Ad esempio, La contessa azzurra che, prodotto da Achille Lauro, fece arrivare in Italia Zsa Zsa Gabor, ci parlava del cinema muto napoletano ed è perciò un caso unico e importante per il nostro cinema. Questa è una cosa che crea interesse, così come se annunci che esiste un director’s cut di Quien Sabe, completato con le scene tagliate che abbiamo proiettato a Venezia. Bisogna però far sapere le cose. A quel punto il pubblico e la stampa sono interessati, basta comunicarglielo. Bisogna essere un po’ press agent di se stessi. È un lavoro di promozione e valorizzazione che considero importante, parte integrante dell’incarico di conservatore.

Dei film realizzati fino agli ’90 con l’articolo 28, oggetto di vario scandalo perché accusati di sperperare i soldi pubblici, molti non sono mai riscattati dagli aventi diritto. Che fine hanno fatto questi film? Chi ha le copie? E di chi sono i diritti?

I materiali sono della Cineteca Nazionale e si trovano qui, mentre i diritti dal 2006 sono diventati per decreto di Cinecittà Luce [per saperne di più leggere questo articolo di Repubblica del 2006, firmato da Franco Montini, n.d.r.]. Questa stessa curiosità che avete voi ce l’ho avuta anch’io proprio nel momento in cui mi sono insediato. È un progetto che si dovrebbe avviare, pensando però anche alla finalità. Ridiffusione a scopo culturale? Fare dei DVD? Il valore commerciale di questi film, e non solo di questi, è oggettivamente molto basso perché, come si diceva, il mercato dell’Home Video è crollato e anche le vendite alle televisioni non sono facili, pagano poco e alcune hanno già le loro library. Per dire, oltre al gruppo Mediaset che ha la library Cineriz, anche la RAI ha alcune grosse library. Le TV, quando spendono, lo fanno per il film nuovo e non per le library, dato che hanno già le loro.

C’è una politica comune tra le varie cineteche italiane?

Credo che una collaborazione tra le cineteche sia molto importante, anche se alcune hanno le loro specificità. Noi per esempio abbiamo quella del cinema italiano e del deposito di legge. Devo dire che una delle cose a cui tengo è la collaborazione, lo scambio di idee, informazioni, materiali. Con la Cineteca di Bologna e con Cinecittà Luce, ad esempio, c’era questo progetto Rossellini che era partito prima del mio arrivo e sarà completato con il film La paura. Sempre insieme alla Cineteca di Bologna abbiamo presentato due film a Venezia, Paisà e Pane e cioccolata. La copia, rarissima, che è passata al Festival di Roma di Una grande ombra di Claudio Gora viene da Gemona. Il restauro di I promessi sposi è stato fatto con il Museo Nazionale del Cinema di Torino, con il quale abbiamo altri progetti. È giusto collaborare nei restauri, negli scambi di supporti e informazioni, sia per ragioni economiche che di politica culturale, per avere più forza all’estero. Credo che la collaborazione soprattutto in tempi di crisi sia importante e in qualche misura anche inevitabile.

Ma esiste l’ipotesi di una convergenza sistematica? Una politica unica che magari, rivendicando a una sola voce l’importanza della missione delle cineteche, potrebbe favorire l’accesso ai fondi pubblici?

Credo che anche questo sarà inevitabile, cioè di presentarsi insieme per delle richieste e delle linee comuni di politica culturale. Un primo passo verrà fatto a breve a livello europeo perché il Ministero ha chiesto alla Cineteca Nazionale di coordinare tutte le cineteche per decidere come recepire la direttiva europea per le cosiddette Opere orfane. Ovvero bisognerà delineare insieme i criteri di applicazione di questa direttiva: come identificare, certificare, archiviare, scegliere i criteri di ricerca per tutti quei film per i quali non è possibile per differenti ragioni risalire agli aventi diritto.

Ma questa direttiva europea riguarda solo i metodi di archiviazione o anche lo sfruttamento economico?

Riguarda anche l’uso non profit da farne. In realtà sono già state identificate delle linee guida dal Parlamento Europeo, poi però ogni paese deve delineare come applicarle, perché ogni paese ha le sue regolamentazioni, la sua Siae, i pubblici registi. Perciò, noi come Cineteca siamo stati incaricati di coordinare questo progetto.

Quindi questi film saranno distribuiti in Home Video?

Questa è una delle cose che dovranno essere decise da questa legge, perché tutto deve essere fatto non a scopo di lucro. Bisognerà decidere se sarà possibile magari vendere i DVD e reinvestirne i profitti in altre attività della Cineteca, come i restauri o i ritorni in pellicola, e poi si sta parlando di mettere tutto online, ma è ancora tutto da definire.

State già pensando a dei restauri per l’anno prossimo?

Sì. Ragionando in termini di centenario, come abbiamo fatto per Gora quest’anno, nel 2014 sarà il centenario della nascita di Pietro Germi, Alberto Lattuada e Mario Bava. Quindi ci stiamo muovendo in tal senso.

INFO
Sito ufficiale della Cineteca: Cineteca Nazionale
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