The Young Pope

The Young Pope

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I primi due episodi della serie TV di Sorrentino, The Young Pope, presentati fuori concorso a Venezia sotto forma di blocco unico, valgono soprattutto come auto-esibizione e auto-presentazione del sé autoriale. Ma forse, con un minimo di controllo, le cose sarebbero andate meglio.

Il papa, o della schizofrenia

The Young Pope racconta in dieci episodi la storia di Lenny Belardo, alias Pio XIII, il primo papa americano della storia. Giovane e affascinante, la sua elezione sembrerebbe il risultato di una strategia mediatica semplice ed efficace del collegio cardinalizio. Ma, com’è noto, le apparenze ingannano. Soprattutto nel luogo e tra le persone che hanno scelto il grande mistero di Dio come bussola della loro esistenza. Quel luogo è il Vaticano, quelle persone sono i vertici della Chiesa. E il più misterioso e contraddittorio di tutti si rivela Pio XIII. Scaltro e ingenuo, ironico e pedante, antico e modernissimo, dubbioso e risoluto, addolorato e spietato, Pio XIII prova ad attraversare il lunghissimo fiume della solitudine dell’uomo per trovare un Dio da regalare agli uomini. E a se stesso. [sinossi]

Ci si è domandati se fosse il caso di scrivere una tradizionale recensione al cospetto dei primi due episodi della serie TV Young Pope, che Sorrentino ha presentato fuori concorso a Venezia. E alla fine si è deciso di procedere anche perché la confezione di queste due puntate (della durata complessiva di 112′) è stata presentata al Lido come un blocco unico (anche se la cesura appare ben riconoscibile), quasi si trattasse di un film vero e proprio. Ciò non toglie che bisogna ragionare intorno a questa nuova operazione sorrentiniana tenendo presente che quel che si è visto rappresenta solo la parzialità di un insieme (le dieci puntate andranno in onda su Sky a partire dal 21 ottobre).
Ciò detto, bisogna notare innanzitutto che, rispetto al recente Youth, che aveva segnato a nostro avviso se non il più basso almeno il punto più ‘svogliato’ della sua filmografia, il regista napoletano ritrova la forza delle invenzioni, rimettendo in moto la maestosità della sua macchina estetizzante. Ma, come gli capita sempre, questo aspetto finisce anche per rappresentare il suo limite, vale a dire che il gioco delle invenzioni supera ogni confine e ingolfa tutto, soprattutto nella prima ora (e dunque, all’incirca nella prima puntata); tanto che questa, più di una tradizionale presentazione di personaggi secondo le logiche televisive, appare piuttosto l’esibizione di Sorrentino stesso e della sua verve di metteur en scène.

Il neo-eletto papa Jude Law, che prende il nome di Pio XIII, così come tutti gli altri (con l’eccezione di Silvio Orlando, che mantiene una sua parziale autonomia e giganteggia al cospetto degli altri interpreti), si mette infatti completamente e supinamente al servizio delle trovate sorrentiniane, e appare subito un personaggio, più che ambiguo, schizofrenico. Presto preda di un vortice di ribaltamenti, oltre che dei suoi consueti coup de théâtre (tra canguri, palloni e mezze pipe), Sorrentino fa fare ai suoi personaggi tutto e il contrario di tutto, gioca sull’accumulo e sull’imprevisto, va sempre sopra le righe, fino a stancare per la sua bulimia. Del resto, in una dimensione che avanza per trovate ci sta che alcune siano riuscite e altre meno, il problema è che, sempre, Sorrentino mostra di divertirsi molto di più lui di quanto non voglia far divertire i suoi spettatori.

Nella seconda ora/puntata le cose invece migliorano, la narrazione comincia a muoversi e si perde meno tempo in prestidigitazioni, fino all’ottimo finale che appare speculare all’incipit e profila una sterzata verso l’oscurantismo e verso i codici dell’horror. Allora viene da chiedersi: ma se il tutto fosse stato concentrato in un singolo episodio, magari poco più lungo di un’ora? Non ci sarebbe stata una migliore gestione del materiale, magari sfrondando qua e là? Forse Sorrentino, con questa sua ossessiva ‘mostrazione’ del suo sé autoriale, ci vuole dire anche questo: che non si lascia ‘incatenare’ dalla regola aurea che vuole, nell’ambito delle serie TV, che la narrazione sia regina rispetto alla regia. Lui la pensa esattamente al contrario, solo che ce lo ripete fino alla nausea.

In tutto questo viene anche il sospetto che Sorrentino non abbia scelto – o non abbia voluto ancora mostrarci – di che papa ci voglia parlare. Il fatto che Jude Law interpreti il primo papa americano e la presenza di un’esperta marketing chiamano ovviamente l’idea della descrizione di un modello perfetto per l’entertainment: la spettacolarizzazione definitiva del ruolo del pontefice. Ma questo tema rischia più volte di approdare sul terreno morettiano di Habemus Papam, mentre la dimensione da ‘sotterranei del Vaticano’ (intrighi di potere e quant’altro) emerge con difficoltà e appare per ora molto forzata (c’è ad esempio all’inizio un dialogo molto maldestro tra un piccolo gruppetto di cardinali). E non è detto che poi non si proceda più oltre su questa linea, anzi è molto probabile. Al momento perciò The Young Pope resta uno strano oggetto con troppi guizzi e diverse cadute, un giocattolone e un divertissment, che perlomeno evita il pantano in cui si era finiti con Youth. Ma sullo sfondo c’è la bellezza della Pietà michelangiolesca, davanti alla quale Sorrentino si mette evidentemente in adorazione: quella classicità muscolosa e carnale e allo stesso tempo così profondamente religiosa lo attrae e lo spaventa. Una classicità il cui senso non sta nella misura o nei mezzi toni, nella discrezione o nel pudore, tutt’altro. Ma chi può arrivare a tanto?

Info
La scheda di The Young Pope sul sito della Mostra del Cinema di Venezia.
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