Radiazioni BX: distruzione uomo

Radiazioni BX: distruzione uomo

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Richard Matheson sceneggia per il grande schermo un suo romanzo, e Radiazioni BX: distruzione uomo diventa da subito un classico del genere, grazie anche all’inventiva regia di Jack Arnold.

Più piccolo di un granello di sabbia

Scott Carrey, durante una gita in motoscafo viene investito accidentalmente da una nube radioattiva. Pochi mesi più tardi Scott Carrey si accorge di essere calato di peso e successivamente, attraverso controlli medici, si accorge anche di diminuire di statura: tutto il suo corpo pian piano si restringe. Nonostante controlli e trattamenti il fenomeno a cui Scott è sottoposto non accenna ad interrompersi. Scott perde il lavoro, il denaro inizia a scarseggiare e l’uomo, oltre a dover affrontare la malattia si trova a sopportare il senso di inadeguatezza di fronte ad un mondo che diventa per lui sempre più grande; a cominciare con i rapporti con la moglie… [sinossi]

Radiazioni BX: distruzione uomo, tra i più straordinari esempi di fantascienza “atomica” e struggente riflessione sull’incapacità dell’uomo a trovare la propria dimensione che segna con ogni probabilità l’apice della brillante carriera registica di Jack Arnold (tra i titoli da lui diretti da citare quantomeno Il mostro della laguna nera, Tarantola, Destinazione… Terra!, e Il ruggito del topo, ghignante satira politica con Peter Sellers nei panni del mattatore) si conclude con un monologo passato alla storia, che vale la pena citare in maniera integrale: “Era il premio della mia vittoria, mi avvicinai a lui ebbro di gioia. Avevo vinto. Vivevo. Ma appena toccai le secche, ammuffite briciole del cibo… Fu come se il mio corpo non esistesse più, era sparita la fame, sparito il terrore di rimpicciolire. Avvertivo di nuovo il senso dell’istinto, di ogni movimento, il pensiero si intonava con la forza dell’azione…. Ma sarei ancora rimpicciolito, fino diventare cosa? Un infinitesimale? Cosa ero io? Ancora un essere umano? O forse ero l’uomo del futuro? Se ci fossero state altre irradiazioni, altre nuvole attraverso mari, continenti, mi avrebbero seguito altri nel mio nuovo mondo? Sono così vicini l’infinitesimale e l’infinito. Ma ad un tratto capii che erano due termini di un medesimo concetto. Lo spazio più piccolo e lo spazio più vasto erano nella mia mente i punti di unione di un gigantesco cerchio. Guardai in alto come per cercare di aggrapparmi al cielo: l’Universo, mondi da non finir mai, l’arazzo argenteo di Dio sul cielo notturno. E in quel momento trovai la soluzione all’enigma dell’infinito. Avevo sempre pensato nei limiti della mente umana, avevo ragionato sulla natura. L’esistenza ha principio e fine nel pensiero umano, non nella natura. Sciogliersi, diventare il nulla, le mie paure svanivano, e venivano a sostituirle l’accettazione. La vasta maestà del creato doveva avere un significato, un significato che io dovevo darle. Sì. Più piccolo del più piccolo avevo un significato anch’io. Giunti a Dio non vi è il nulla: io esisto ancora”.
Un soliloquio che secondo le cronache più accreditate sarebbe stato inserito nel film all’ultimo momento, dopo la stesura definitiva della sceneggiatura da parte di Richard Matheson, che aveva convinto la produzione a mettere in cantiere Radiazioni BX: distruzione uomo con il suo quarto romanzo The Shrinking Man, pubblicato negli Stati Uniti nel 1956 e tradotto in Italia (ma solo alla fine degli anni Settanta) con Tre millimetri al giorno. Un paio di anni prima, nel 1954, Matheson aveva dato alle stampe il suo terzo romanzo, I Am Legend, che rimarrà il suo più grande successo letterario e darà vita a molti adattamenti per il grande schermo, ufficiali e non, a partire dal fondamentale L’ultimo uomo della Terra, diretto da Ubaldo Ragona nel 1964 e girato in un EUR desolato e post-apocalittico.

Ma è con Radiazioni BX: distruzione uomo che il romanziere – all’epoca ancora costretto a lavorare come operaio, visti i guadagni pressoché nulli derivati dalla sua attività di scrittore – incrocia per la prima volta sulla sua strada quella Hollywood che contribuirà a renderne il nome familiare per tutti gli appassionati di fantascienza e orrore. Il tempo, che tanta e tragica parte ha negli eventi che riguardano il povero Scott Carrey [1], destinato a veder ridurre la propria altezza di tre millimetri al giorno dopo essere finito in maniera accidentale in una nube tossica, non ha invece potuto scalfire neanche in minima parte il nitore di un’opera tra le più compiute e coraggiose di quel microcosmo di b-movie abitati da alieni, ipotesi fantascientifiche, utopie spaziali.
Mentre il cinema statunitense corre con la mente verso mondi sconosciuti, universi paralleli che celano pericoli, ma anche impensabili meraviglie, Jack Arnold assume la regia di Radiazioni BX: distruzione uomo per ribaltare la prospettiva, cambiare completamente asse dello sguardo. Non si deve più sollevare il viso verso il cielo stellato, immaginando quali creature possano abitare gli spazi siderali, ma occorre invece abbassare la testa, scrutare sotto il pulviscolo più microscopico che insidia i tappeti, gli interstizi delle porte, gli angoli più oscuri delle case. Lì, perfino lì, può esservi l’umano, ridotto alle minime dimensioni dalla stessa protervia dell’uomo, che sperimenta gas tossici in vista di guerre interstellari da combattere magari con l’avversario sovietico – il film esce in piena Guerra Fredda, ovviamente, e con la corsa allo spazio che inizia ad apparire come il passaggio cruciale di un combattimento senza scontro sul campo.

La storia di Carrey, nel suo progressivo svanire agli occhi dei suoi simili, è sintomatica di una lunga serie di paure e fascinazioni. L’uomo, aitante e muscoloso, vede la propria virilità scomparire giorno dopo giorno, in modo ineluttabile; lo sguardo della moglie, più che amoroso, si fa da subito pietoso. Non c’è più nel marito la solidità del maschio, scherzato da una natura maligna, ma solo uno pseudo-bambino da accudire. “Sapevo che allontanavo Louise da me”, commenta il protagonista/narratore, “ma il mio amore, ancor più della vergogna in cui vivevo, mi spingeva verso di lei”; sarà invece il gatto di casa, in una delle più grandi sequenze di combattimento uomo/bestia mai apparse sullo schermo, a spingerlo tra gli stracci del sottoscala, e farlo credere morto dalla moglie. A dimostrazione dell’intelligenza del progetto, basterà ricordare l’ineffabile servizio al telegiornale che informa lo spettatore della supposta disgrazia: “Carrey è morto per la banale aggressione di un gatto domestico, beniamino di casa Carrey”.
Sembra davvero incredibile come Radiazioni BX: distruzione uomo sia riuscito a tenersi in bilico tra film d’avventure – il ritmo ricorda le produzioni dei fratelli Korda, e si muove anche tra Il ladro di Bagdad e Il settimo viaggio di Sinbad – e cupa paranoia dell’era atomica, senza perdere un’ironia mordace, quasi da satira politica, e un ambizioso e completamente compiuto afflato lirico. Se il già citato monologo finale parrebbe la medaglia rovesciata del leopardiano canto notturno del pastore errante dell’Asia (“Che fai tu luna in ciel? Dimmi, che fai silenziosa luna?”), il film di Arnold è una macchina spettacolare che lascia senza fiato, giocando con lo spazio a disposizione attraverso un uso illuminato della scenografia, e cercando di non prendere mai le distanze dall’uomo, e non dal suo potere d’attrazione del bizzarro. In questo il segmento che riguarda l’incontro tra Carrey e Nanà, vera nana di un circo ambulante, è a dir poco paradigmatico. Carrey è impari anche di fronte a lei, perché continua a ridursi, a perdere dimensione, diventando sempre più piccolo, quasi lillipuziano.

Sospeso tra due grandi sequenze spettacolari, la già citata fuga dal gatto di casa, deciso a predarlo, e la lotta per la sopravvivenza con il ragno, che Carrey ammette di non riuscire a odiare perché come lui solo alla ricerca di cibo, Radiazioni BX: distruzione uomo si getta a capofitto nella lettura dell’umano, delle sue pulsioni, delle sue frustrazioni, delle sue paure. La paura di essere ridotto a nulla, di scomparire, di venire sovrastato da mostri più grandi di lui – e non è un caso che sia sempre Arnold a dirigere Tarantola, dove sono gli animali di un laboratorio a crescere a dismisura –, si scontra con la necessità, per continuare a definirsi umani, di confrontarsi con l’infinito quanto con l’infinitesimale, di considerare tutto “vita”. “Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me”, sentenziava Immanuel Kant nella Critica della ragion pratica, e Carrey non si distanzia molto da questo imperativo. Quasi ineguagliato esempio di fantascienza dell’umano, che non ha bisogno di altro che del corpo deformabile – riducibile, espandibile – del suo protagonista per dimostrare la propria urgenza (e un plauso va ovviamente ai sorprendenti effetti speciali supervisionati da Clifford Stine, già responsabile oltre venti anni prima di alcuni effetti di King Kong), Radiazioni BX: distruzione uomo è un’opera sublime, uno dei più grandi film sci-fi di ogni tempo. Perché le dimensioni possono sempre contare…

Note
La carriera di Grant Williams, che interpreta con notevole partecipazione il protagonista, non fu particolarmente fulgida, ma oltre che in Radiazioni BX: distruzione uomo lo si può ricordare in Come le foglie al vento di Douglas Sirk, L’uomo del Texas di Paul Landres, The Leech Woman di Edward Dein, e Qualcosa che scotta di Delmer Daves. Williams abbandonò il cinema appena quarantenne.
Info
Il trailer di Radiazioni BX: distruzione uomo.
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