Schatten

Schatten

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Presentato alle Giornate del cinema muto nell’ambito dell’omaggio ai 70 anni della Fondazione Cineteca Italiana, Schatten di Artur Robison è un film-saggio sull’ombra in tutte le sue declinazioni possibili, come spettacolo cinematografico, teatrale, come manifestazione freudiana dell’inconscio e del perturbante, come contrasto e opposizione alla luce, come autoriflessione del cinema in quanto schermo perverso e demoniaco.

La vita è un’ombra che cammina

È sera. Nel palazzo che dà sulla piazza del paese, il conte e la moglie attendono gli invitati, tre cavalieri e un giovane. A palazzo si presenta anche un prestigiatore e il conte gli permette di allestire uno spettacolo di ombre cinesi. Ma dopo questo, il mago ipnotizza tutti i presenti che rivelano così la loro follia e i loro desideri repressi. Il conte vede in uno specchio la contessa baciare uno degli ospiti, ordina così ai servi di prendere la moglie e legarla a un tavolo. Il conte dà a ognuno degli ospiti una spada con la quale trafiggere la donna. L’ordine viene eseguito ma poi gli ospiti buttano il conte giù da una finestra. A questo punto il prestigiatore fa uscire tutti dall’incubo. È mattina, la piazza si popola per il mercato, gli ospiti se ne vanno, il conte e la contessa si riconciliano, il prestigiatore si allontana cavalcando un maiale… [sinossi]
Per vedere Schatten (in italiano Ombre ammonitrici) sul sito della Cineteca di Milano vai a questo link.
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Presentato alle Giornate del Muto di Pordenone un capolavoro del tardo cinema espressionista tedesco, Schatten, nel restauro di una delle copie della versione francese in possesso della Cineteca Italiana, versione che è reputata più vicina alla concezione originale del regista Artur Robison, in quanto senza quegli intertitoli che furono aggiunti in patria dopo le prime proiezioni mentre il film avrebbe dovuto funzionare come puro flusso di immagini in movimento, in una dimensione onirica, da incubo.

Schatten comincia con la presentazione dei personaggi, che sfilano su un teatrino con una grossa conchiglia sulla ribalta, come quelli dove si fanno gli spettacoli di marionette, quei teatrini magici, delle meraviglie. Si apre il sipario, ma prima una candela viene tolta dalla ribalta e compare subito l’ombra enorme di due mani, mani di un demiurgo burattinaio che possono coprire e inghiottire i personaggi o le loro ombre. Di ogni personaggio viene presentato anche il suo doppio, la sua ombra. Abbiamo già tutto in questa enunciazione, che rimanda agli infiniti ribaltamenti che si succederanno per tutto il film, tra realtà e sua rappresentazione, cinema e teatro, ombre e specchi.
Il mondo delle ombre è il mondo della magia e del sogno, dell’espressione dell’inconscio e dei desideri e delle pulsioni più nascosti e inconfessabili, malvagi e demoniaci secondo quel preciso impianto freudiano che avevano evidenziato in Schatten tanto Georges Sadoul quanto Lotte Eisner.
E il mondo delle ombre è anche quello del cinema, che può visualizzare ogni fantasia, associabile ai teatrini delle ombre cinesi: entrambi funzionano con immagini generate da un fascio di luce, come ci insegna anche Lav Diaz in A Lullaby to the Sorrowful Mystery, accostando uno spettacolo di questo tipo a una proiezione dei Lumière.

In Schatten si espongono tutte le varianti possibili di queste rappresentazioni. Dalle ombre cinesi semplici, quelle che si fanno con le mani ai teatri d’ombra veri e propri, sempre cinesi o orientali che utilizzano delle figure manovrate da fili come marionette. Le ombre in generale nel film assumono varie funzioni. Possono essere la proiezione sulla tenda della finestra del conte e della contessa che si baciano, bacio reso così visibile a loro insaputa dalla piazza, assolvendo così a una funzione voyeuristica che è propria del cinema. Possono essere un effetto speciale cinematografico, e come tale sono spesso usate per realizzare qualcosa che non si potrebbe vedere direttamente, come quando la contessa viene infilzata dalle spade: avviene solo come ombra e il cadavere della donna che si vede subito dopo nemmeno sanguina, le spade possono essere solo state sovrapposte alla donna per creare l’illusione. Così è anche nel momento dell’aggressione e stupro della contessa da parte di due convitati. Le ombre poi possono creare un buffo effetto allegorico come quando quella della testa del conte viene sormontata dalle corna di cervo appese al muro. Possono essere la sublimazione di un impulso come quando uno degli ospiti, prima che si scateni la sfrenatezza sempre sotto forma di ombre, palpeggia con l’ombra della sua mano quella della contessa che peraltro si sta guardando allo specchio. Così come dopo, a tavola, cercherà di stringerle le mano ma ci arriverà ancora soltanto come ombra.
Alle ombre si affiancano spesso gli specchi, due proiezioni diverse della realtà, che pure possono funzionare come rivelazione: il conte scopre la moglie che amoreggia proprio attraverso uno specchio. Ma lo specchio, a differenza delle ombre, può essere frantumato come in effetti succede.

Si è detto del palcoscenico di inizio film. Scopriremo poi che è lo stesso palcoscenico in cui nel castello viene proiettato il teatro delle ombre cinesi, siamo stati quindi messi sullo stesso piano dei personaggi che fanno il pubblico del film. Ma una successiva inquadratura ci porterà a una posizione più distante creando il nostro nuovo palcoscenico, che racchiude l’altro palcoscenico. Questo accade mentre si susseguono elementi, come certe decorazioni a volta dei corridoi, che hanno la stessa sagoma di un boccascena, sagoma che si iscrive nell’inquadratura. Oppure mentre si susseguono nel film anche delle calate di sipario che possono essere diegetiche, effetti ottenuti cioè con drappi o tende interni al quadro come quelle delle finestre del palazzo, o extra-diegetiche, cioè che piombano inverosimilmente dai lati dell’inquadratura.
Quello che si mette in scena, quello che avviene nella grande dimora dopo che il prestigiatore-ipnotizzatore ha scatenato nella sfrenatezza gli istinti più nascosti, è la lussuria, situazioni da boudoir, nell’elegante letto a baldacchino della casa, dove la donna si muove sempre più voluttuosa. Mentre nel teatrino delle ombre cinesi sembra di assistere a scene di un bordello con tanto di frustino e poi a una situazione di gore estremo: uno spadaccino taglia a metà con la sua spada un altro personaggio e la donna amoreggia con lo squartatore, il vincitore.

L’uscita dall’incubo avviene con un ulteriore ribaltamento del rapporto rappresentazione/realtà ma stavolta in chiave genuinamente cinematografica. Il conte che è stato buttato dalla finestra scompare come dissolvenza e quello che si è visto finora si palesa come illusione in quanto film proiettato proprio sullo stesso schermo del teatro d’ombre, con gli stessi spettatori che erano anche i personaggi del film. L’immedesimazione con noi spettatori è ancora ribadita. Come era già successo, le loro ombre si allungano magicamente. Il burattinaio a sua volta mostra il trucco, le sagome usate per proiettare le ombre. E la collana in mano a un servo pure svanisce: è stata anche quella un sogno. E il risveglio combacia anche con l’alba, con l’avvento della luce. Tutto pare pacificato e risolto, la moglie è felice e bacia il marito. Quello che si sono, e ci siamo, lasciati dietro era solo un incubo. La piazza del mercato si anima e il prestigiatore se ne va, cavalcando un maiale. Ma uno dei mercanti, al suo passaggio, si fa il segno della croce: la sua natura demoniaca esiste ancora e si ripresenterà.

Info
La scheda di Schatten sul sito delle Giornate del Cinema Muto.
 
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