Torino 2017 – Bilancio
La trentacinquesima edizione del Torino Film Festival è terminata lasciando un enorme dubbio sul futuro dell’evento: le intenzioni della presidenza del Museo del Cinema sembrano quelle di smantellare l’idea stessa che regge la base del TFF, al di là dei singoli nomi al comando. Una mutazione che sarebbe da combattere con tutte le forze.
Avevamo approcciato la presentazione della trentacinquesima edizione del Torino Film Festival, poco meno di un mese fa, confermando gli aspetti positivi di un evento centrale nella scacchiera italiana, l’unico festival generalista in grado di trovare un reale rapporto con il territorio e la cittadinanza che lo vive, ma azzardando qualche dubbio su alcune scelte che sembravano far intuire una certa dose di stanchezza, o la prospettiva di territori meno fertili di quelli già battuti in passato. Dubbi che non si sono completamente sciolti durante la vita quotidiana del festival, anche per via di alcune disavventure non da attribuire in maniera obbligata all’organizzazione – copie in 35mm che bruciano e devono essere sostituite con un supporto da home video, per esempio –, ma che sono stati mitigati dalla straordinaria (nel senso di fuori dall’ordinario) capacità di Torino di respirare insieme al festival, in un’osmosi che non trova corrispettivi nel resto della nazione, eccezion fatta per realtà più peculiari e particolareggiate, come ad esempio l’udinese Far East o il felsineo Cinema Ritrovato. In un rituale che si ripropone ogni dodici mesi, la prima capitale dell’Italia Unita – e proprio sul rapporto tra i sabaudi e il meridione si è concentrato l’interessante Essi bruciano ancora di Felice D’Agostino e Arturo Lavorato, programmato nella sezione Onde – ha avuto modo di entrare in contatto con schegge di cinema che difficilmente avrebbero modo di trovare una normale distribuzione. Mentre Roma rincorre un glamour che non può permettersi, e che non trova conforto nella risposta di una parte consistente della città, Torino continua a cercare, a volte con un po’ di affanno ma sempre con convinzione, il punto di incontro tra esigenze “mainstream” e attenzione ai territori meno battuti, alla ricerca. Festa Mobile continua forse a essere un monolite troppo ingombrante, anche per l’economia degli spazi a disposizione, ma di contro nessun festival generalista in Italia ha “aree protette” come Onde o TFFdoc. E se questo Torino 2017 si è dimostrato un po’ sottotono, come dopotutto l’intero anno cinematografico, non sono mancate le sorprese, e i recuperi di gioielli del passato: l’esempio dello sconosciuto ai più Payday di Daryl Duke, inserito nell’Amerikana a cura di Asia Argento, vale più di mille parole…
Ovviamente durante le giornate del festival si è discusso molto tra gli addetti ai lavori del futuro del festival stesso. Il contratto che lega Emanuela Martini alla direzione dell’evento scade a fine anno, e da tempo si discettava di un eventuale cambio al timone del TFF: un timone che tra direzioni, vicedirezioni e condirezioni vede la Martini al comando da dodici edizioni. Com’è abitudine ognuno aveva e ha la sua opinione al riguardo: c’è chi crede nella conferma dell’attuale assetto, chi invece spinge verso questo o quell’altro nome da chiamare in sostituzione. Un gioco sempre vivo e pulsante tra chi si occupa, a vario titolo, delle questioni festivaliere. Ma c’è un elemento ben più importante e pressante da tenere in considerazione stavolta. Un elemento che risponde al nome di Museo Nazionale del Cinema. Il 29 giugno scorso il Collegio dei Fondatori (alla presenza dei rappresentanti di Regione Piemonte, Città di Torino, Città metropolitana di Torino, Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT, Associazione Museo Nazionale del Cinema e GTT S.p.A.) ha eletto all’unanimità come Presidente Laura Milani, che – è il suo curriculum vitae a parlare – ha alle spalle “studi in design, con specializzazione in marketing communication e marketing internazionale, […] ha lavorato in Carré Noir, agenzia internazionale specializzata in strategic design. Insegna Comunicazione pubblicitaria allo Iaad – Istituto di Arte Applicata e Design, e dal 2000, a soli 28 anni, ne diventa direttore e ceo”. Design. Marketing Communication e marketing internazionale. Strategic Design. Comunicazione Pubblicitaria. I termini “cinema” e “museo”, si vede, sono solo dei dettagli. Conoscerli dovrebbe essere la base per qualsiasi presidente di un ente dedicato in forma esclusiva alla settima arte, ma si è passati volentieri sopra questo aspetto.
Laura Milani dopotutto ha chiarito fin da subito le sue intenzioni, parlando durante la serata d’apertura della necessità di evoluzione della proposta del TFF, cercando sinergie proprio con quel mondo del desing che lei conosce in maniera così approfondita. Un discorso che francamente lascia sgomenti, gettando un’ombra oscura e nubi dense di pioggia sul futuro del festival: come si può pensare di cambiare in modo così strutturale la base portante di un evento che esiste – con successo – da oltre trenta anni? Come si può anche solo ipotizzare, se si occupa una carica come quella di Presidente del Museo Nazionale del Cinema, di dover per forza accompagnare il cinema ad altre forme industriali, alla ricerca di una diversificazione che è solo la stanca propaggine di una lettura capitalista (e ottusa) della cultura?
La stessa Milani, in ogni caso, è stata costretta a tornare parzialmente sui suoi passi quando, dopo aver annullato una conferenza stampa già annunciata, ha fatto rilasciare dall’ufficio stampa una dichiarazione ufficiale che sembra doveroso riportare per intero, anche per chiarire la volontà di non decidere alcunché: “Il cambiamento richiede tempo, lo abbiamo chiarito sin dall’inizio. E si fa un passo per volta. I Soci Fondatori si sono dati un tempo per riflettere sulle decisioni da prendere, avendo per la prima volta a disposizione anche un piano strategico triennale. Un momento importante, necessario per valutare e riflettere sull’approfondito e ampio lavoro svolto e presentato durante il Collegio, e per il quale si sono complimentati; hanno compreso appieno la crucialità del momento per il Museo Nazionale del Cinema. Reputo sia un atteggiamento attento, frutto di un lavoro consapevole che guarda al presente e al futuro con serietà. Trasformare problemi in opportunità era e rimane un obiettivo, e i Soci Fondatori lo hanno compreso appieno. Assiomi importanti di questo progetto sono certamente la collaborazione, il rispetto, la fiducia e la responsabilità. Sarà nostra premura comunicare l’esito delle decisioni, non appena saranno ufficiali ed effettive”.
Non cambiare nulla affinché tutto cambi? Può essere, ma più che altro da questo comunicato traspare l’incapacità della nuova presidenza di scegliere o, meglio, la volontà di non andare a intervenire con eccessiva rapidità, forse per non esacerbare gli animi in città. È probabile dunque che si vada in direzione di una riconferma dell’attuale direzione artistica, anche se potrebbe trattarsi solo del “ritardo” di un anno o due – il riferimento al piano triennale lascia pochi dubbi a riguardo – di un progetto che il mondo cinefilo non può che considerare scellerato.
Si possono fare due scelte, entrambe valide, nel leggere e interpretare il Torino Film Festival del 2017. La prima prevede la discussione sulle scelte operate in fase di selezione, sul posizionamento di questo o di quell’altro film, sulla costruzione di una retrospettiva che (come già anticipato in fase di previsione sul festival) genera alcuni dubbi. La seconda scelta, invece, riguarda il posizionamento politico del festival. Si lottò anche nel 2005, quando vennero sostituiti Turigliatto e D’Agnolo Vallan con Nanni Moretti, ma lo slittamento in effetti non fu traumatico perché si cercò in ogni caso di tenere insieme il senso ultimo e intimo del festival. L’idea prospettata invece dalla Milani fa presagire a breve e medio termine uno smantellamento del Torino Film Festival così come il pubblico e gli accreditati lo hanno conosciuto. Un vero e proprio smantellamento. È indispensabile difendere un patrimonio artistico, è indispensabile prendere posizione, gridare a gran voce il proprio “NO” a uno snaturamento di una realtà ancora oggi cruciale nel palinsesto festivaliero – e dunque culturale – italiano. Se sarà necessario prendere le parti del Torino Film Festival sarà importante che il mondo del cinema si dimostri compatto, rifiutando un’idea di cultura aberrante e del tutto asservita a una filosofia della superficialità fin troppo diffusa sul territorio nazionale. Ci sarà tempo per aggiustare quel che non funziona – se qualcosa non funziona – ma non si perda mai di vista il vero obiettivo. Il Torino Film Festival è un patrimonio. Difendiamolo.