Zerzura

Presentato in concorso alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro 2018, Zerzura è l’odissea di un tuareg, il viaggio in un deserto dove echeggiano i miti ancestrali dell’umanità.

Odissea nel deserto

Un viaggio mitico attraverso il Sahara insieme al protagonista, il chitarrista Ahmoudou Madassane, in cerca dell’antica città che si favoleggia ricca di tesori. Lungo il cammino incontra nomadi, jinn, banditi, cercatori d’oro e migranti. [sinossi]

Zerzura è una mitica città nel deserto, favoleggiata, leggendaria, citata da alcuni manoscritti del XV secolo, come in Il libro delle perle nascoste, e definita anche “l’oasi dei piccoli uccelli”. La sua esistenza non è mai stata in realtà confermata da ritrovamenti di rovine, nonostante le numerose spedizioni archeologiche dedicate, tra cui quella di László Almásy, ispiratore del libro, e del film Il paziente inglese.

Zerzura – in concorso alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro 2018 – parte come un film etnografico, nella tradizione dichiarata dal regista dell’Oregon, Christopher Kirkley, etnologo e musicologo, del cinéma vérité di Jean Rouch. Il film di un villaggio di pastori, con la sua struttura familiare e le sue regole. Da qui parte il lungo viaggio nel deserto da parte del protagonista, alla ricerca del fratello nella città di Zerzura, viaggio pervaso di misticismo ed esoterismo. Il regista cita come ispirazione il surrealismo psicomagico di Alejandro Jodorowsky, ma nella peregrinazione del protagonista, entrano in risonanza tanti miti archetipici dell’umanità. Le città e le terre leggendarie dell’El Dorado, di Atlantide, di Troia, la ricerca di un Sacro Graal, le spade magiche di Excalibur e quelle laser di Star Wars, la raccomandazione, come a Orfeo, pure un poeta e musicista, di non voltarsi indietro. E poi la tradizione dei cantastorie africani subsahariani, i griot, cui Ahmoudou Madassane può essere ricondotto.

Zerzura è un viaggio musicale, come lo era il precedente film del regista, Rain the Color of Blue with a Little Red in It, un’odissea nel deserto, un’operazione cinematografica che potrebbe avvicinarsi a quella di Nostos di Franco Piavoli, una peregrinazione tra le dune di sabbia, tra incontri e insidie, presenze fantasmatiche e canti delle sirene. Tra rovine e manufatti di antiche città abbandonate, tra escrescenze rocciose, pietre magnetiche ancestrali capaci di far perdere la bussola, elementi di un’archeologia misteriosa, moai dell’Isola di Pasqua, megaliti di Stonehenge, Hanging Rock, monoliti kubrickiani, piramidi egiziane e precolombiane. Ahmoudou Madassane è un cowboy da western che si trova ad affrontare un duello in una spianata come nel finale di Il buono, il brutto, il cattivo. È un astronauta il cui copricapo tuareg avvolto attorno al viso richiama la visiera del casco di una tuta spaziale, un viaggiatore di spazi siderali, un Buck Rogers in un contesto di teatro dell’assurdo che nello spazio ritrova se stesso, come Buster Keaton in Film, o Dave Bowman nella stanza rococò. Un viaggiatore solitario che il regista, nella composizione dell’immagine, lo raffigura spesso come sormontato da un sole accecante, equivalente speculare della luna che sovrasta il capo di Moonwatcher, la scimmia-uomo della kubrickiana alba dell’umanità.

La ricerca etnografica di Christopher Kirkley porta agli elementi primordiali di una culla dell’umanità. Una stratificazione di miti ancestrali che si traduce alla fine nella struttura pura del viaggio, scarnificata e distillata, che confluisce nell’astrazione. Un viaggio che alla fine si rivela per la sua circolarità, nel ritorno degli uccelli “ladri di bambini” della scena iniziale. Una chiusa che rimanda a infiniti nuovi viaggi e peregrinazioni dell’umanità.

Info
La scheda di Zerzura sul sito della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

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