Allonsanfàn

La delusione e il tradimento, rivoluzione e regressione. Allonsanfàn di Paolo e Vittorio Taviani riflette sul conflitto tra ideali pubblici e conforto del privato cercando allegorie tra passato storico ed eterno presente. Grande prova attoriale di Marcello Mastroianni. In dvd per CG.

Negli anni della Restaurazione, Fulvio Imbriani, giacobino ed ex-ufficiale napoleonico di origine nobiliare, rientra in famiglia ed è sempre più stanco e perplesso nei confronti degli ideali rivoluzionari. Tuttavia i suoi ex-compagni della Setta dei Fratelli Sublimi continuano a cercarlo per coinvolgerlo in una spedizione al Sud che risvegli le coscienze delle masse meridionali. Imbriani progetta invece di ritirarsi a vita privata con la compagna Charlotte, recuperando suo figlio Massimiliano, ancora bambino, dal quale si è separato. Ma i compagni rivoluzionari non gli danno tregua e Imbriani inizia a pensare di tradirli… [sinossi]

A sentir parlare oggi di attuale crisi delle ideologie storiche e rivedere film come Allonsanfàn (1974) dei fratelli Paolo e Vittorio Taviani, viene un po’ da ridere, visto che il tema della delusione non nasce certo nell’onda lunga del trentennio post-crollo del muro di Berlino, ma risale ancor più indietro, anzi si innesca forse in automatico già nel momento dell’illusione. Solo scorrendo a ritroso la filmografia dei Taviani, si rilevano note di scoramento e senso della fine addirittura fin dal 1967, anno de I sovversivi, dedicato allo spaesamento della sinistra italiana dopo la morte di Palmiro Togliatti.
Con Allonsanfàn i Taviani conducono un’operazione a suo modo ancor più radicale. Non vi è una vera presa di distanze dall’utopia rivoluzionaria, ma piuttosto un’analisi critica e asciutta del cosiddetto riflusso tramite uno scavo accurato dei suoi riflessi psicanalitici. I Taviani si mettono un po’ a fare gli avvocati del diavolo, scavando nelle motivazioni di un traditore e riportando le radici delle sue scelte a un profilo umano al quale, in ultima analisi, non si risparmia la condanna morale, ma dopo un lungo percorso di riflessione priva di preconcetti.

La Restaurazione post-napoleonica rievocata nel racconto è un immediato specchio allegorico degli anni della realizzazione del film. Anche per l’Italia della metà dei Settanta si può parlare in qualche modo, dopo le scosse del 1968, di Restaurazione quantomeno culturale. A fronte di un PCI fortemente protagonista, si ergono ancora forze di governo oscure e tradizionaliste, e più in generale si è forse ai prodromi ideali di quel che accadrà con l’esplosione edonistica degli anni Ottanta. Dopo la Rivoluzione Francese e l’ambiguo periodo napoleonico, insomma, si staglia all’orizzonte la sempiterna DC e magari anche un PCI più addomesticato, meno spaventoso per l’immobile quiete italiana. In tale contesto s’inquadra la realizzazione di Allonsanfàn, che lascia pochissimo spazio (quasi nullo) alla rappresentazione del potere ufficiale, concentrandosi totalmente nella disamina di un conflitto esistenziale tutto interno agli ambienti rivoluzionari. La Setta dei Fratelli Sublimi, storicamente attestata, al quale appartiene il protagonista Fulvio Imbriani, è narrata come una sorta di residuo irriducibile dello spirito rivoluzionario in anni ormai profondamente mutati – ma d’altra parte pronti a mutare ancora di lì a poco, attraverso un processo di moti insurrezionali che culmineranno, nella fattispecie dell’Italia, con l’unità nazionale. Ispirandosi vagamente anche all’impresa fallita di Carlo Pisacane, i Taviani ritagliano un breve lasso di tempo storico, segnato dal ritorno dei cosiddetti “sovrani legittimi”, per sovrapporlo al loro presente, quello di una Rivoluzione che ormai ha consumato corpi e menti, motivazioni e desideri, che si è consumata a poco a poco come una candela prima ancora di realizzarsi.

Se da un lato i Taviani aderiscono a un racconto elegantemente storico nelle sue ricostruzioni in costumi e ambienti, d’altro canto le loro scelte estetiche si dirigono verso riecheggiamenti del melodramma italiano ottocentesco contaminato con moderni straniamenti di messinscena. Ne sono prova alcuni anacronismi ben ricercati, a cominciare dal principale leit-motiv musicale, la canzoncina popolare “L’uva fogarina” che concorre ad abbattere le cornici temporali del racconto – in quanto appartenente al folclore popolare, è impossibile collocarla univocamente in una puntualità cronologica, ma spinge al contrario la diegesi verso territori assoluti. “L’uva fogarina” va ad unirsi a un ricorrente sostrato di filastrocche o favole folcloriche che innervano il film lungo tutto il suo svolgimento. Un comparto ben definito di composizioni d’arte popolare che inevitabilmente s’identificano con l’infanzia dell’individuo, con le lusinghe del privato che fin dalle prime battute del film si stagliano come invincibili tentazioni per il rivoluzionario deluso Fulvio Imbriani.
Sempre in linea con l’intento di un racconto temporalmente collocato eppure evocante tempi assoluti, i Taviani inquadrano il profilo di Imbriani secondo le coordinate di un novello Ulisse. In particolare nell’esordio del film si rilevano palesi sovrapposizioni con la figura omerica; pure Imbriani ha un antico cane al quale è affezionato e pure lui si appresta a un “ritorno a Itaca”, dove, sotto le mentite spoglie di un viandante, viene subito riconosciuto solo dalla sua anziana nutrice che si profila come un aggiornamento dell’omerica Euriclea. Più in generale il profilo odisseico di Imbriani s’inquadra nella sua renitenza alla battaglia, al quale cerca di sottrarsi tramite l’astuzia e la furbizia. Astuzia e furbizia che nel caso di Imbriani si colorano di un’ulteriore sfumatura problematica sotto il profilo etico, ossia la propensione al tradimento che passa attraverso un bagno italico nel trasformismo, connotato pure fisicamente – lungo il film Marcello Mastroianni cambia aspetto almeno tre volte.
Dopo varie avventure, Imbriani chiude infatti la sua parabola con una nota severamente beffarda; illusosi che davvero la rivoluzione abbia avuto inizio, Imbriani reindossa rapidamente la sua divisa rossa da sovversivo per adeguarsi immediatamente al cambiamento, finendo invece crivellato dall’esercito.

Alla contaminazione moderna operata dai Taviani su materiali che pure mostrano una notevole cura filologica concorrono anche gli scarti di registro. Sono frequenti infatti le aperture verso l’ironia e il grottesco, talvolta perseguiti tramite dissonanti interventi musicali. Ma il leit-motiv ironico più intensamente ripercorso è da ricercarsi negli impensabili ritorni in scena del manipolo di rivoluzionari, ex-compagni di Fulvio, che negando qualsiasi consequenzialità logica degli eventi riescono a reintercettarlo sempre e ovunque durante le sue fughe. In tal senso risulta molto indicativa la dichiarazione di Paolo Taviani nell’intervista compresa negli extra del dvd, che afferma la volontà di rappresentare tale gruppetto di inossidabili sovversivi come raffigurazioni di fantasmi. In effetti le loro apparizioni sono improvvise e slegate da qualsiasi logica narrativa, tanto che più volte viene da ipotizzare una loro consistenza non solo fantasmatica, ma di veri e propri fantasmi della coscienza di Fulvio.
A ben vedere, nella sua struttura globale fortemente rapsodica, Allonsanfàn lascia spesso il dubbio che stiamo assistendo in realtà alla rappresentazione onirico-intrapsichica di quel che si muove nella coscienza di un rivoluzionario recalcitrante, intento a mescolare ricordi e riflessioni sul proprio percorso esistenziale. Forse suggestionati dalla presenza di Mastroianni, più volte pare di assistere a una sorta di ricollocato in un territorio di riflessione storico-allegorica.
Tale ipotesi è rafforzata dal ricorrente utilizzo della voce off e over di Fulvio Imbriani, che sembra spesso riflettere su visioni e materializzazioni di ricordi e pensieri davanti ai propri occhi. Così, in questa versione interiorizzata gli ex-compagni assumono forme, atteggiamenti e parole spesso di evidente stampo fantasmatico e ironico, in un percorso di progressiva degenerazione dell’ideale rivoluzionario che trova il suo apice nell’ennesima ricomparsa di Lionello e Francesca sotto le mentite spoglie di gelatai con tanto di carrettino – il rivoluzionario ridotto a gridare “Gelati!!” è un’illuminazione francamente geniale ed esilarante.

E in tale processo di scadimento delle idee è forse da rintracciare anche la ragione del titolo storpiato, quell’Allonsanfàn che allude a una sorta di indigenizzazione ideologica sempre più cialtrona e inconsapevole. Così, il film dei Taviani, a suo tempo anche molto contestato, non si profila come un atto di pentimento autoriale. I traditori non sono anche i Taviani, come alcuni sostennero all’epoca, specie all’anteprima del film come ricorda Paolo. Semplicemente Allonsanfàn riflette con sguardo asciutto e critico sulle tentazioni del privato, sui desideri regressivi che fanno costantemente capolino dietro al disincanto e alla sconfitta. Imbriani resta un traditore, e il film non fa sconti alle sue scelte. Ma le narra con adesione al suo mondo interiore, cercandone le ragioni, senza glorificare mai d’altra parte la sua tendenza alla manipolazione e all’inganno. «Sto bene qui dove tutti mi vogliono bene»: una battuta apodittica e banalissima nella sua tautologia, eppure indice di un assoluto umano che spesso fa a pugni con il rigore richiesto dagli alti ideali.
Probabilmente, come scade la rivoluzione agli occhi di Imbriani, così erano scadute le sue manifestazioni secondo i Taviani nell’Italia del tempo e in ogni dove. Perché, come già riflettevano Godard e il Gruppo Dziga Vertov in Vento dell’est (1970), la rivoluzione può riuscire o fallire, ma ciò che è più difficile è farla durare nel tempo e nella sua purezza, fuori e dentro di sé. Per cui dietro l’angolo c’è la più semplice felicità domestica, identificata da Imbriani nel desiderio di riprendersi il figlio Massimiliano, affidato a Como, e vivere in pace con la compagna Charlotte. Solo che tale fuga nel privato può innescare meccanismi poco edificanti; dietro la felicità domestica occhieggia non solo il totale disimpegno, ma anche il tradimento.

A nostro avviso i Taviani non liquidano nemmeno l’utopia come residuo di un mondo di ideali superato dalla storia. Il monologo visionario in prefinale di Allonsanfàn, del giovane rivoluzionario, è accorato e partecipato, così come il balletto in prefinale, bel momento di coreografia folclorico-guerresca, può essere variamente inteso. Superficialmente può lasciare l’impressione di un ultimo sberleffo all’irriducibilità di una rivoluzione ridotta a ossessione di uomini attempati che, come dice il Tito di Bruno Cirino, non saprebbero ormai cos’altro fare nella vita. Ma al contempo in esso risuona l’immortale convinzione che prima o poi i tempi maturi arriveranno. E fa lo stesso se qualcuno (gli Imbriani), per altre scelte, non saranno presenti. Se proprio vogliamo rintracciare qualche vera perplessità dei Taviani nei confronti della rivoluzione, probabilmente è da ricercarsi nelle derive dei loro anni.
Il giovane Allonsanfàn, di poche parole, chiude un dialogo con un «In culo!» scolpito nella pietra, probabile sintesi di un cambio generazionale che alla rivoluzione culturale ha sostituito il rifiuto più viscerale e immediato. Paolo Taviani riferisce che in America, dove il film fu distribuito quattro anni dopo, alcuni ravvisarono nel manipolo di rivoluzionari di Allonsanfàn un’allegoria delle Brigate Rosse. Taviani tiene a precisare che nel 1973-74, anno di realizzazione del film, le Brigate Rosse non erano ancora emerse come fenomeno di grande portata. Tuttavia, a posteriori l’autore riconosce anche che l’osservazione non è del tutto fuori luogo, e il dubbio dunque si appunta semmai sulle derive violente e minoritarie di deviati idealismi. In tal senso, forse, è da interpretare il secco e asciutto «Lo rifarei» che Imbriani pronuncia, senza alcuna ombra di pentimento, riguardo al suo tradimento in atto.
Allonsanfàn è dunque un’opera assai problematica, ricca di sfumature e sagace nell’abbinare una certa sontuosità (il lavoro sui colori è spesso molto raffinato) a una dichiarata modernità estetica. Profondo, stratificato, ben calibrato nei suoi cambi di registro. Probabilmente uno dei migliori Taviani di sempre.

Extra
Trailer, intervista ai fratelli Taviani (24′ 36”), galleria fotografica, schede informative su Paolo e Vittorio Taviani e Marcello Mastroianni, locandina originale.
Info
La scheda di Allonsanfàn sul sito di CG Entertainment.
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