8½

Mustang Entertainment e CG Home Video pubblicano in home video il capolavoro di Federico Fellini, 8½, nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale e da RTI Mediaset. Un capolavoro immortale, in pellicola come su supporto digitale.

fu un botto, una rivoluzione copernicana dell’arte cinematografica. Adesso, in occasione del suo cinquantennale, il film viene a incontrarsi con un’altra rivoluzione, ovvero con l’era digitale e le sue risorse di restauro e conservazione. È infatti per celebrare i 50 anni del capolavoro di Federico Fellini che Mustang Entertainment e CG Home Video hanno ripubblicato in dvd e blu-ray il film nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale e da RTI Mediaset. Rivoluzioni estetiche che s’incrociano con rivoluzioni endemiche. Scelte di regia e di racconto (l’esplosione felliniana) e supporti che cambiano, finendo per influenzare in qualche modo anche l’opera stessa.

Partiamo dal primo livello: la rivoluzione di Federico Fellini. Che effetto fa rivedere un film come adesso? Semplice, come in pochissimi altri casi il film mantiene totalmente intatta la sua carica di ricerca e provocazione. Nel frattempo le sperimentazioni narrative ed espressive si sono spinte ben oltre, com’è ovvio, e il racconto tradizionale è stato violentato e rovesciato secondo percorsi artistici i più disparati, anche grazie allo sviluppo della tecnologia cinematografica. Fellini torna in qualche modo a ricordarci che il cinema ha bisogno di molto meno per raccontare cose nuove, in modo nuovo. L’armamentario espressivo di Fellini è ovviamente più elementare rispetto alle “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia odierna, ma resta denso di ricerche sul mezzo, diremmo quasi sul mezzo primitivo. Dissolvenze, inquadrature velate, coreografia di sequenze affollate di volti, voci e oggetti. Montaggio, sopra ogni altra cosa.
venne a raccontarci, com’è noto, una paralisi creativa e individuale, che da situazione prettamente individuale e personale (irritantemente personale, talvolta) finisce per riverberare di riflessioni universali sulla crisi e la frammentazione dell’uomo moderno. Frammentato anche nella sua stessa rappresentazione, che può svolgersi solo tramite destrutturazioni. Il pensiero, il sogno, la memoria, il delirio, la realtà, la rappresentazione: tutto fittamente intrecciato in un’unica catena audiovisiva senza soluzione di continuità, in cui però anche la dimensione para-onirica mantiene una sua particolare matericità. Non avviene un vero tentativo di mimesi dei processi onirici o della memoria, bensì si procede come da un’epifania all’altra, in cui il racconto e le immagini soggiacciono a principi di ordinata rappresentazione, secondo i principi di un balletto coreografato. La “bella confusione” è solo apparente: i movimenti di macchina e delle figure umane, le entrate in primo piano di personaggi spesso secondari, le loro battute spesso futili e incomprensibili che confluiscono in parole di altri, le prospettive dechirichiane che esaltano le distanze tra i personaggi, sono condotti secondo una ben percepibile “idea” organizzatrice che non lascia niente al caso. In tal senso, è pure da ricordare che il cinema di Fellini è intensamente sperimentale, ma anche fortemente radicato nell’industria cinematografica. Si tratta di una delle avanguardie più sontuosamente finanziate di tutta la storia del cinema. In tal senso la forte matericità dei “sogni felliniani” si radica in un’idea di grande spettacolo, che si arricchisce di contributi tecnico-artistici di primissimo livello. L’Oscar ai costumi di Piero Gherardi non sono casuali: se l’Academy premia l’avanguardia, spesso lo fa per esaltarne i lati più superficiali, testimoniando una volta di più, in questo caso, la ricchezza produttiva del cinema felliniano.

Ciò detto, la rottura con la grammatica filmica convenzionale rimane epocale. Come buona parte del cinema di Fellini, è prolisso e un po’ pedante, ma pecca più per eccesso di generosità che per autocompiacimento (che pure è presente in quantità industriali). La libertà di racconto, che pure come dicevamo risponde a principi organizzativi di cristallina precisione, è totalmente acquisita rispetto alle strettoie espressive del cinema tradizionale. Per l’epoca fu un vero terremoto, violento e squassante. Poco importa se le paturnie di un autore in crisi possano sembrare spesso pretestuose e poco simpatiche. Il grande lascito di Fellini sta nelle sue conquiste estetiche, nell’aver dimostrato al mondo che cosa si poteva fare col mezzo-cinema, a quali nuovi scopi e nuovi racconti poteva essere piegato.
Nel caso di , Fellini si dimostra anche un meraviglioso direttore d’attori, merito di cui si parla sempre poco nel suo caso, e che passerà progressivamente in secondo piano nelle sue opere successive, sempre più centrate su “figure umane”, e meno su personaggi. Oltre al sempre ottimo e funzionale Marcello Mastroianni, siamo di fronte a buone o ottime prove di Anouk Aimée, Sandra Milo, Rossella Falk, Mario Pisu, e man mano tutti gli altri (la presenza di Claudia Cardinale, immagine di eterea purezza di fondamentale importanza nell’economia narrativa del film, non è comunque giudicabile in termini di prova attoriale). Funzionali eppure tutti sempre a fuoco, credibili, letterari senza ostentazioni.

Veniamo dunque al secondo livello: in che cosa si trasforma un’arte così nuova e fluida, incontrandosi col digitale? Forse il dato più evidente è anche quello più scontato, che riguarda praticamente tutto il cinema in bianco e nero d’epoca: la fotografia ne esce esaltata nei suoi meriti (se ce ne fosse stato bisogno, visto che il bianco e nero di , a opera di Gianni Di Venanzo, è uno dei più belli ed espressivi del cinema di ogni tempo), ma se da un lato vengono eliminati tutti i segni d’invecchiamento che la pellicola porta su di sé, dall’altro l’immagine acquista una nettezza di tratti un po’ innaturale per un cinema di 50 anni fa. È come vedere Otto e mezzo con la fotografia di The Artist. È uno straniamento a cui, specie in ambito di home video, ci abitueremo sempre più, e a cui anzi ci siamo probabilmente già assuefatti. C’è da chiedersi semmai se l’ che vediamo oggi su dvd o blu-ray, è lo stesso film che ha realizzato Fellini nel 1963. Il supporto fa parte integrante dell’opera d’arte, o l’opera d’arte vive di vita propria, al di sopra dei supporti che la mostrano? E se la conservazione si sposta su supporti diversi da quello originario, si può dire che stiamo realmente conservando il film realizzato da Fellini?
Questioni sottili, eppure fondanti di un’arte.

Nell dvd e nel blu-ray sono presenti anche un’intervista a Giuseppe Tornatore, un intervento di Gianluigi Rondi e un’analisi psicologica sul film a opera dell’analista Fabio Castriota.

Info
La pagina dedicata a sul sito della CG Home Video
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