Cercando il fantasma dell’immagine: intervista a Rita Azevedo Gomez e Pierre Léon

Cercando il fantasma dell’immagine: intervista a Rita Azevedo Gomez e Pierre Léon

Reduce dalla presentazione di A Portuguesa, Rita Azevedo Gomez è una regista di cinema, teatro e opera, nonché programmatrice della Cinemateca Portuguesa. Di lei si ricorda l’omaggio al Maestro Manoel de Oliveira – del cui film Francisca è stata costume designer – con la ripresa del suo dialogo con il direttore della Cinemateca João Bénard da Costa, nel film A 15ª Pedra. Pierre Léon è stato critico musicale per Libération, vicino a Serge Daney, e tuttora scrive di cinema per la rivista Trafic. È regista, autore di film quali L’idiot, L’adolescent e Guillaume et les sortilèges, e attore, per registi quali Jean-Paul Civeyrac, Serge Bozon, Bertrand Bonello. I due cineasti hanno presentato al Fid Marseille il loro lavoro Danses macabres, squelettes et autres fantaisies, diario del loro viaggio in Portogallo con lo studioso d’arte e filosofo Jean-Louis Schefer. Abbiamo incontrato Rita Azevedo Gomez e Pierre Léon al Fid Marseille.

Com’è nato questo Danses macabres, squelettes et autres fantaisies, com’è nata la collaborazione tra voi e Jean-Louis Schefer?

Rita Azevedo Gomez: Non è nato in un momento preciso, né da nessun evento in particolare, ma da un confronto. Conoscevo Jean-Louis Schefer da qualche anno, mi affascinava la sua capacità di parlare e volare con i suoi pensieri. Un giorno Pierre mi telefona, poi mi scrive e mi dice: «Dobbiamo fare un film su Jean-Louis». Che poi non è stato esattamente un film su Jean-Louis. A quel punto la cosa importante era di trovare un tempo certo, perché per Jean-Louis andava bene farlo subito. Stavo terminando il montaggio di A Portuguesa, e siamo riusciti a organizzare questa settimana in Portogallo.

Pierre Léon: È stato un insieme di cose diverse. L’amicizia di Rita e Jean-Louis e tra noi due. È stato molto interessante mescolare, alla fine ci sono tre voci: non so chi ha fatto il film. Per me è una questione importante che riguarda il cinema di oggi, che è così autoriale. Qui non è così evidente, c’è qualcosa di esplicito e implicito. Siamo ancora legati all’idea di Renoir sull’autore come l’uomo forte, sopra l’aiuto-regista, l’attore, il tecnico delle delle luci.

Rita Azevedo Gomez: Anche sul nostro set non c’era una lotta su chi dovesse vincere, tutto era rispettato e c’era un legame di fiducia. Jean-Louis ha saputo essere un grande. È stato facile e gioioso, anche fuori dal set eravamo come amici.

Pierre Léon: Come amici che lavoravano insieme.

Rita Azevedo Gomez: Era un po’ come cercare un animale selvaggio, siamo andati nei boschi alla ricerca di un esemplare, un esemplare raro. Non se ne erano mai visti neanche si sapeva se ne esistessero. Ma ci siamo detti «Andiamo, magari avremo la fortuna di incontrarlo». Siamo andati non solo noi tre ma tutto il team, un team molto piccolo, per cercare di capire dove lasciare le nostre tracce. A un certo punto del percorso abbiamo capito che c’erano cose importanti da dirci e Jean-Louis ha detto «Ok, dobbiamo organizzarci un po’». Così ci siamo seduti di notte su un divano e abbiamo fatto una specie di programmazione per i giorni successivi, perché ci siamo resi conto che ci restavano quattro giorni e non volevamo perderci questo, quest’altro e quell’altro ancora. Così abbiamo scritto tre mezze pagine di tabelle di marcia per non dimenticare niente. Alla fine, il secondo giorno, abbiamo visto la bestia, la vedevo muoversi, e ho iniziato a capire come posizionarmi. La mia funzione era di aiutare le cose a svilupparsi. Non sapevo esattamente come. Così ho preso due videocamere per ogni evenienza, magari l’animale arriva da questa parte e non da quell’altra. Stavamo cacciando un fantasma. Il fantasma nel film credo che sia l’immagine, come se stessimo tutti scoprendo un animale che esiste in una foresta. Ma c’è? Esiste davvero? Bisogna cercare di trovarlo, si fanno dei piccoli passi nel bosco e poi il secondo giorno ero sicura che ci fosse, avevo la possibilità di trovare il mio posto. Non so se abbiamo catturato questo animale, ma forse per me questo animale, il fantasma di questo animale, è l’immagine. Forse non l’animale ma il fantasma di quest’animale. Jean-Louis parla dell’immagine. Eravamo tre ragazzini nei boschi.

Importante nel film è il rapporto fra cinema e pittura, fra immagine in movimento e le immagini fisse della pittura. C’è stato in proposito, in passato, un dibattito sull’opportunità di mostrare o meno la cornice del dipinto, quando viene ripreso. Lo hanno fatto Straub-Huillet, mentre altri registi preferiscono non mostrarla. Nel vostro film avete fatto entrambe le scelte. C’è un momento in cui viene mostrato il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio di Hieronymus Bosch nel museo con diverse persone attorno, ma riprendete una delle rappresentazioni a monocromo degli sportelli esterni con una carrellata dall’alto in basso. Perché avete deciso di usare diversi stili per mostrare i vari dipinti?

Pierre Léon: Per quanto riguarda il movimento di macchina sul dipinto di Bosch è molto semplice perché Jean-Louis ci ha detto che così si segue una storia, prima e dopo.

Rita Azevedo Gomez: Credo che il dipinto lo richiedesse. Ho avuto una specie d’intuizione, quando c’è quel movimento. Se lo guardo, faccio naturalmente quel movimento con lo sguardo. È un dipinto davvero cinematografico con tutte quelle piccole figure che dicono che il tempo sta passando. Se lo filmo in modo fisso, è alto e stretto, e se lo filmo globalmente è come una corrente in mezzo a un rettangolo e non si vede niente del dipinto. In questo caso ci si deve accostare ai dettagli nel movimento fra le scene: c’è l’uomo che taglia la testa, lo scheletro. Non so se è una scena ma sicuramente non è una cosa rigida. Per esempio, il dipinto di Fragonard è quasi cinema, è fatto sulla scala dell’occhio umano. L’ampiezza delle Tentazioni non è cosi, è una cosa molto stretta, richiede un movimento discendente, non è fatto per essere guardato se non con quel movimento dello sguardo. Non ho pensato a diversi approcci per ogni dipinto. È l’intuizione che ti spinge e fai le cose senza farti domande, dopo magari dovresti pensare a quello che hai fatto o a perché l’hai fatto, perché c’è una ragione dietro l’intuizione.

In generale nei tuoi film tendi a inquadrature statiche, senza movimenti di macchina. In questo caso ci fai riflettere ancora sull’inquadratura come quadro.

Rita Azevedo Gomez: No, non avevo bisogno di muovermi. A volte sentivo il bisogno di muovermi, davanti a me c’era la valle del Côa, la luce violetta del tramonto in questo posto magnifico e vedevo che le montagne al tramonto cominciavano a diventare violette e blu. Non sapevo davvero come uscire da quello sguardo, con Pierre e Jean-Louis ed esitavo, ma volevo cercare di fare un movimento. Anche quando stanno camminando ci sono le valli, le montagne, questo è il fiume Douro e quello il Côa ecc. A quel punto arriva Pierre – la cosa era un po’ preparata, non era tutto per caso – e ho detto: «Per favore, lascia lì quei paesaggi» perché volevo mostrare il posto, ma non volevo fare una cosa turistica del tipo «Mostriamo un posto meraviglioso». C’è una ragione per mostrare questo posto: è la confluenza dei due fiumi con delle caratteristiche geologiche speciali, e con le incisioni rupestri, spiegate da Jean-Louis, che riguardano le rocce e molto altro. Quindi, Pierre arriva e comincia a camminare, muovo la mdp ma vado piano. A volte mi muovo ma nella casa. In generale perché dovrei volare? Ci abbiamo pensato prima ai movimenti, ma io ho detto subito: «No, non ci serve».

Riguardo al parlato, la dimensione della voce di Jean-Louis, sembra un flusso di parole, ed è l’altra coordinata del film: le immagini e il flusso di parole. Perché lo avete lasciato parlare così liberamente?

Pierre Léon: È il ritmo di quell’uomo.

Rita Azevedo Gomez: Non ci ho mai pensato. Lui parla davvero così. Ma sì, è come lo scorrere di un fiume.

Pierre Léon: E noi nuotiamo.

Perché inserire anche spezzoni di film, di Renoir, Buñuel, Mizoguchi, Disney? Perché questa scelta?

Rita Azevedo Gomez: L’idea viene più da Pierre Léon, in fase di montaggio. Cercavi delle cose e dicevi «Guarda cos’ho trovato? Tatatà, La danza degli scheletri di Disney!» ma c’era il problema dei diritti.

Pierre Léon: Per i diritti non c’è problema, è libero. Pensavo a Renoir, era un’idea forte, lo conoscevo e Disney l’ho trovato per associazione, non era un’illustrazione.

Rita Azevedo Gomez: Inserire La regola del gioco era ovvio. Il film di Mizoguchi, Cinque donne attorno a Utamaro, invece, come ha detto Jean-Louis, era per il plan-rouleau, il suo tipico movimento laterale.

Info
La scheda di Danses macabres, squelettes et autres fantaisies sul sito del FID Marseille.

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