Scary Stories to Tell in the Dark

Scary Stories to Tell in the Dark

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Il norvegese André Øvredal, oramai stabilitosi oltreoceano, dirige questo Scary Stories to Tell in the Dark guardando da un lato all’immaginario letterario di Stephen King e dall’altro al concetto di fantastico legato alla Storia che è proprio del cinema di Guillermo del Toro, qui nelle vesti di produttore e autore del soggetto (tratto dai libri di Alvin Schwartz). Ne viene fuori un grazioso racconto dell’orrore dedicato all’adolescenza, volutamente poco perturbante ma non privo di una grazia notturna e oscura. Alla Festa di Roma e poi direttamente in sala.

Season of the Witch

Mill Valley è un’anonima cittadina della Pennsylvania, uguale a mille altre: uno sceriffo poco arguto, distese di granturco, un drive in dove i ragazzi vanno a sbaciucchiarsi di fronte a un film horror. Ha anche la sua personale casa stregata, Mill Valley, che i proprietari dell’unica cartiera della città abbandonarono all’inizio del Novecento senza una ragione apparente, dopo che la bambina più piccola, l’adolescente Sarah che tutti in paese credevano una strega, si era impiccata. Ora è il 1968, e l’orrore viene dal Vietnam, dove i soldati statunitensi muoiono come mosche. Ma durante la notte di Halloween, braccati da un teppistello, tre liceali si rifugiano proprio nella disabitata magione dei Bellows. E scoprono la stanza segreta di Sarah, e il librone su cui scriveva le sue storie. Dell’orrore, ovviamente… [sinossi]

Emana un profumo dal persistente aroma kinghiano Scary Stories to Tell in the Dark, presentato alla Festa del Cinema di Roma subito prima dell’approdo nelle sale italiane. Lo testimonia il discorso sull’infanzia e l’adolescenza, ovviamente, ma anche alcune location come il campo di granturco e perfino la scelta di una collocazione temporale distante dall’oggi. Il film, il cui soggetto è firmato da Guillermo del Toro prendendo ispirazione dai libri di Alvin Schwartz, si diverte poi a smuovere alcune tematiche progressiste e liberal, che appartengono sia alla morale del romanziere del Maine sia a quella del regista messicano: la messa alla berlina del potere maschile, la lettura della superstione, il mélange tra racconto dell’orrore e l’orrore della Storia. E nella memoria recente degli Stati Uniti nulla si avvicina all’orrore della guerra in Vietnam, con i soldati che muoiono come mosche nella giungla del sud-est asiatico. The Horror, come scandisce anche Kurtz/Brando in Apocalypse Now. Ben si presta dunque il 1968 come sfondo storico a Scary Stories to Tell in the Dark, e qualora il sottotesto non fosse chiaro ecco che a ribadirlo arriva anche la canzone scelta come introduzione, Season of the Witch di Donovan. La stagione della strega, come il titolo italiano di Hungry Wives di George A. Romero, quel Romero che compare anche nel film con il suo La notte dei morti viventi. Il film migliore dell’anno, così lo definisce la giovane Stella parlando con il ragazzo messicano Ramón Morales, che annuisce. Romero, il “nuovo” horror statunitense, la metafora di un Paese in guerra tanto con l’esterno quanto con le dinamiche sclerotiche al proprio interno. Dinamiche di potere, ovviamente.

Come si sarà intuito di possibile carne al fuoco il film diretto dal norvegese André Øvredal (si fece notare in patria con il brillante Troll Hunter, per poi trasferirsi oltreoceano già con l’interessante Autopsy) ne mette molta, e in fin dei conti dispiace che tutte queste suggestioni fungano in gran parte da cornice. Un ruolo quasi esornativo, che arricchisce solo in parte un testo comunque interessante. Un Halloween di fine anni Sessanta in una cittadina di provincia, con tre ragazzi – Stella e i suoi amici del cuore Chuck e Auggie – che decidono di prendersi una piccola vendetta contro il bulletto della scuola, lanciandogli escrementi e uova mentre passa in macchina. Un piccolo gesto di ribellione che scatenerà un vero e proprio effetto domino, devastante nel momento in cui i tre (in compagnia di Ramón, che ha disertato la chiamata di leva, e della sorella maggiore di Chuck) risveglieranno lo spirito in cerca di rivalsa di Sarah Bellows. Il libro della ragazza che si suicidò prende vita, e scrive storie di proprio pugno. Storie dell’orrore, con protagonisti – nel ruolo di vittime – proprio i ragazzi…

Se l’effetto cortometraggio poteva essere un rischio, con le singole “disavventure” horror in grado di vivere a se stanti in una sorta di antologia del macabro, questo viene evitato grazie a una sceneggiatura che non punta sull’originalità ma ha la capacità di armonizzare nel migliore dei modi i singoli segmenti. Il concetto di favola nera già portato in scena da del Toro nelle proprie incursioni dietro la macchina da presa trova qui una collocazione ad altezza adolescenziale, o addirittura appena pre-puberale. Insomma, lo spettatore non dovrà attendersi di fare salti sulla poltrona, anche se ovviamente il cosiddetto jumpscare è in agguato, e anche i mostri che prendono corpo e vita dalle pagine del librone hanno un’anima carnascialesca: gli effetti speciali giocano con l’immaginario del tempo che fu ed evitano l’artefazione digitale il più possibile, e così la donna pallida che ossessiona gli incubi di Chuck o il corpo “ricostruibile” che attacca Ramón in prigione possiedono una loro godibile aura d’antan che è sicuramente un punto in più a favore dell’opera. Scary Stories to Tell in the Dark è un giocattolo grazioso, pensato a uso e consumo dei fan del genere ma anche in grado di tenersi a distanza di sicurezza dall’horror duro e puro, in modo da permettere anche ai più piccolo di divertirsi (e forse loro possono anche un po’ spaventarsi). In un’epoca in cui si fa a gara a imitare gli anni Ottanta, senza possederne il cuore, André Øvredal dirige un film sincero nel suo muoversi in un’atmosfera d’altri tempi, senza dimostrarsi vecchio o fuori ruolo. Ed è già qualcosa.

Info
Il trailer di Scary Stories to Tell in the Dark.

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