Întregalde

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Întregalde mostra quale sia la via per un film costretto a essere progettato e girato in tempi in cui il libero movimento non è possibile. Radu Muntean dirige una riflessione anche sul distanziamento, ma lo fa allestendo una commedia divertente, che smentisce tutti i luoghi comuni del thriller e dell’horror prendendo amorevolmente in giro al contempo l’afflato progressista. Alla Quinzaine des réalisateurs.

C’è una strada nel bosco

Come ogni fine anno, Maria, Dan e Ilinca partecipano a un viaggio umanitario in SUV. Lungo i polverosi sentieri di montagna del villaggio rumeno di Întregalde, incontrano un vecchio che decidono di aiutare. Mentre lo accompagnano alla segheria dove dice di lavorare, la loro auto rimane bloccata in un fosso e la segheria risulta essere abbandonata. Costretti a passare la notte con il vecchio in piena demenza senile, i tre vedono le loro idee di empatia e altruismo messe a dura prova. [sinossi]

Tra le molte cose che il cinema contemporaneo va dimenticando, allontanandosi dal concetto di opera a favore dell’idea di progetto, che il gioco, il divertimento, la possibilità di agire nell’immagine in movimento soprattutto per sentirsi ancora vivi, per essere attivi, per far parte della propria epoca in modo non supino. Radu Muntean non è tra i più acclamati registi della cosiddetta “nuova onda” del cinema rumeno, e l’interesse risvegliato nel 2006 a Locarno con la sua opera seconda The Paper Will Be Blue è andato via via scemando, retrocedendo nei desideri del popolo cinefilo rispetto ad autori quali Cristi Puiu, Cristian Mungiu, Corneliu Porumboiu, Radu Jude, Adrian Sitaru, e Călin Peter Netzer. Non è dunque casuale che Întregalde, il film con cui tornava alla Quinzaine des réalisateurs a tredici anni di distanza da Boogie, sia stato accolto con parziale interesse dalla flottiglia degli accreditati al Festival di Cannes: dopotutto sotto silenzio o quasi erano passati anche Tuesday, After Christmas, One Floor Below (anche questo sulla Croisette, ma in Un certain regard), e Alice T., in concorso a Locarno nel 2018. Il problema, se tal può essere definito, di Muntean è quello di essere un cineasta inafferrabile, del tutto disinteressato a tornare ciclicamente sugli stessi punti tematici, e sul medesimo approccio alla regia. Sotto questo punto di vista Întregalde sembra davvero indicare una strada personale e ben poco battuta, un po’ come quella in cui si incagliano letteralmente i protagonisti del film, un malmesso viottolo di montagna in cui si impantana il SUV a bordo del quale si spostano tre membri di un’associazione umanitaria che porta a ridosso di Natale vivande alla poverissima popolazione del distretto di Alba, nel cuore della Transilvania.

Una strada nel bosco, un vecchietto equivoco, una fabbrica in disuso da anni, un’altra macchina che per portare aiuto si trascina dietro una delle due donne – l’altro è un uomo – che erano a bordo del SUV. Muntean sciorina tutti i presupposti per un thriller, o perfino per un horror a basso costo; dissemina gli elementi quasi non avessero peso, di nuovo giocando apertamente con lo spettatore. Cos’è dopotutto la Transilvania se non la terra dell’orrore per eccellenza, là dove un tempo dimorò il vampiro per antonomasia? Questi pregiudizi dello spettatore sono rinfocolati dal regista rumeno con estrema grazia, e profonda conoscenza del meccanismo inconscio dell’immaginario. Perché alla resa dei conti Întregalde è davvero un film costruito sul niente, o meglio sull’attesa notturna di una salvezza che arriverà solo all’alba. Una notte che però costringerà i tre protagonisti a porsi una lunga serie di interrogativi sul proprio ruolo, sul significato concreto e profondo di “aiuto umanitario”. Muntean, pur nella strenua difesa dell’aggettivo ludico, costruisce una sottile accusa d’ufficio nei confronti della borghesia rumena, anche e soprattutto quella che si ammanta del candore del progressismo. Queste persone, che parlano solo e soltanto dei rispettivi nuclei familiari e delle aspettative dei rapporti di coppia, elaborano tutti i luoghi comuni più beceri trovandosi realmente in contatto con l’ambiente che sono soliti lambire superficialmente durante le “donazioni”. Ecco dunque che il padre e il figlio che prestano soccorso sono guardati male in quanto rom e il vecchio in piena demenza (straordinaria l’interpretazione di Luca Sabin, corpo comico che spariglia tutte le carte in tavola) è mal sopportato perché straparla e non sa trattenere feci e urina.

In un film piccolissimo e di fatto esile Muntean non rinuncia dunque alle sue stilettate alla cultura e alla società rumene. Ma quel che colpisce ancora di più di Întregalde è la dimostrazione di cosa significhi sapersi confrontare con il proprio tempo senza subirlo in maniera piana. Il film parla evidentemente anche di distanziamento sociale, di isolamento, di un mondo in cui le relazioni sono impossibili, ma per farlo non si ferma alla stretta cronaca del quotidiano e del reale ma ragiona sull’immaginario, sulle sue infinite potenzialità, e costringe lo spettatore a vivere – e dunque elaborare – gli stessi pregiudizi insiti nei suoi apparentemente lindi e pinti personaggi. In questo modo il gentile j’accuse esce dallo schermo e dialetticamente parla al pubblico, sia al salotto buono festivaliero che al pubblico di Bucarest, la capitale moderna evocata nel film e che sembra non a chilometri, ma a secoli di distanza. Il colpo finale lo dà il mattino seguente, quando Muntean mostra quanto poco eroismo, ma quanta umanità esista nell’accudimento quotidiano, nella cura dell’altro. Giocando si impara, suggeriva uno slogan pubblicitario decenni or sono. A vedere Întregalde questa frase acquista un suo bizzarro e inaspettato senso.

Info
Il trailer di Întregalde.

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