Radiograph of a Family

Radiograph of a Family

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Con Radiograph of a Family la cineasta iraniana Firouzeh Khosrovani narra la dualità della propria famiglia, scissa tra il laicismo del padre e la profonda convinzione religiosa della madre, mentre nella nazione si avvicina il momento della rivoluzione khomeinista. Un lavoro non valutativo ma descrittivo e intimo, un’avvolgente e morbida radiografia.

Storia di un matrimonio

La storia di Tayi e Hossein, madre e padre della regista, fin dal matrimonio è contraddistinta da amore e dedizione ma pure da un conflitto persistente. Entrambi iraniani, la donna è religiosa e osservante mentre l’uomo è del tutto secolarizzato; e se lui vorrebbe restare a vivere in Svizzera dove può avere una carriera come medico radiologo e assicurare a lei un’esistenza serena, Tayi preferisce invece tornare a Tehran durante la gravidanza, all’inizio degli anni ’70… [sinossi]

Premiato come miglior lungometraggio all’Idfa di Amsterdam nel 2020, arriva in alcune sale italiane distribuito dalla meritoria ZaLab il bellissimo documentario Radiograph of a Family dell’artista, regista e giornalista iraniana Firouzeh Khosrovani che lo presenterà personalmente in varie città in quello che si può definire un breve tour (qui segnaliamo il cinema Beltrade di Milano il 9 marzo e il cinema Farnese di Roma il 12 marzo: per ulteriori informazioni si veda questo link). Sfruttando magnificamente filmati di archivio e repertorio, famigliari e non, fotografie dei suoi genitori e uno spazio scenico costituito da una grande sala che la regista allestisce, sgombra, modifica per raccontare i passaggi esistenziali della vita dei suoi cari, Radiograph of a Family è una poesia che fa risuonare le vicende di una coppia iraniana con la storia del Paese, le sue contraddizioni e i suoi intrecci, senza mai diventare apodittico ma restando sempre in ascolto dell’intima alterità all’interno di una famiglia e di una società. Due voci (di Soheila Golestani e Christophe Rezai) interpretano dialoghi ipotetici tra marito e moglie, mentre la voce narrante della regista è interpretata dalla cineasta e montatrice del film Farahnaz Sharifi, cui sono consegnate riflessioni pregne di affetto e, spesso, malinconia.

Fin da principio Tayi e Hossein sono “lontani” visto che si sposano a distanza: la donna è a Terhan mentre l’uomo non può spostarsi da Ginevra dove studia per diventare radiologo. Sarà lei a raggiungerlo dopo il matrimonio, a metà anni ’60, ma presto scoprirà di non amare il mondo secolarizzato e occidentale in cui invece il marito si trova benissimo. Alla differenza di età (Hossein è nato nel 1926, Tayi nel 1944) si aggiunge un’importante differenza di vedute: Tayi è molto credente e osservante mentre il marito – cresciuto in una famiglia assolutamente laica – è a suo agio in quella Svizzera piena di opportunità e di divertimento. “Qui tutti ballano continuamente” dirà la voce di Tayi, che mal sopporta ma subisce le uscite con gli amici e la vita lontana dalle sue abitudini religiose. Del resto l’uomo avrebbe anche potuto sposare una delle sue compagne di corso all’Università, già tanti anni prima, eppure ha preferito attendere e prendere in moglie una donna del proprio Paese, forse per questo più incline a soddisfare i suoi bisogni: una contraddizione nel cuore del laico Hossein. Quando Tayi è incinta, in attesa della regista che nasce nel 1971, si impone però sull’uomo: per mettere su casa torneranno in Iran. Tayi non è, in realtà, così incline ad assecondare l’autorità maschile e la sua maternità si rivela una contromossa in seno al nucleo famigliare patriarcale. In un equilibrio tra lotta e persistenza, le due traiettorie fondamentali del rapporto di coppia diventano territori di definizione di due personalità complesse e proprio nel natio Iran – non dunque nell’aperto Occidente – la madre di Firouzeh Khosrovani trova un’identità più compiuta per se stessa come persona, al di là del suo ruolo di moglie e madre. Rifiutando lo stile di vita “imperialista”, la donna inizierà a seguire le lezioni universitarie di Ali Shariati Mazinani, figura intellettuale centrale per la rivoluzione imminente, e inizierà a saldare rapporti con tante altre donne pronte alla rivolta che cacciò lo scià. I genitori sono certo due territori, come dice nel film la voce narrante, ma anche due mappe create da contaminazioni continue poiché Tayi è una donna che matura anche assieme a un marito che non le si oppone mai realmente nonostante abbia punti di vista diversi sul mondo e sugli eventi. La piccola Firouzeh cerca di adattarsi e vivere nella dicotomia famigliare, affezionata al padre che adora la musica classica e ha in mente per lei un avvenire fatto di studi in Europa e autodeterminazione, e attenta a una madre che ha trovato la propria, di autodeterminazione, nel Corano e nella difesa della tradizione culturale islamica. Nel cuore di una famiglia, nel cuore di un Paese, convivono pulsioni centrifughe che sembrano alimentarsi vicendevolmente per opposizione ma pure compenetrazione. Il desiderio di non assimilazione di Tayi è infatti reso ancora più forte dall’esperienza in Svizzera, dove andando a sciare si farà male alla spina dorsale come se si fosse “spezzata in due”: la donna rifiuta il dominio del marito e rinegozia le condizioni del matrimonio per raggiungere la propria forma di emancipazione. Al tempo stesso Hossein, abituato a vacanze francesi al mare e amante delle Alpi innevate fin dall’infanzia, non può non capire il desiderio di sua moglie sebbene sia orientato in una direzione per lui non auspicabile. In mezzo c’è una bambina con lo sguardo curioso, Firouzeh Khosrovani, che sorride nelle foto d’infanzia e che cerca di curare le immagini che sua madre ha strappato, quelle che la ritraevano in abiti borghesi prima della svolta rivoluzionaria. In mezzo c’è anche un Paese in cammino verso la rivoluzione, un momento in cui le donne hanno paradossalmente avuto un’identità sociale forte come mostrano le magnifiche riprese d’epoca delle esercitazioni militari di gruppi di combattenti femmine.

Khosrovani è divisa tra i due genitori, il suo Paese diviso in due anime, ma l’elegia che la regista narra non è valutativa bensì descrittiva e intima, una radiografia ma morbida e musicale, avvolgente e raffinata, in cui emerge non solo la distanza ma anche la dialettica che conduce due persone in spazi che, l’uno senza l’altro, forse non avrebbero definito come propri, spazi che li separano ma di cui sembrano essere co-autori. La sintesi vivente di questa dialettica è in fondo proprio lei, Firouzeh Khosrovani, iraniana e cittadina del mondo (ha studiato anche all’Accademia di Brera), donna che vede nella madre un principio di individuazione voluto, scelto, strappato al destino, ma idealmente vicinissima al padre che in una dolcissima foto la tiene in braccio in mezzo a tanti fiori. “Sono il prodotto dell’insanabile contrapposizione tipicamente iraniana tra laicismo e ideologia islamica” ha detto la regista che, nutrita da due correnti divergenti, affronta la differenza con consapevolezza e comprensione, realizzando un documentario ammaliante e pieno di sfumature, nonostante tutto si regga su fotografie, riprese d’archivio e tre sole voci fuori campo. Un lavoro di découpage interiore che unisce fonti del passato e dialoghi reinventati, il già girato e un monologo riflessivo, in cui non c’è una “morale” da trarre ma una complessità da accogliere. Una storia famigliare velata di tristezza ma anche piena di gratitudine.

Info
Il trailer di Radiograph of a Family.

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