Hunt

In una sarabanda di sparatorie, inseguimenti, esplosioni, omicidi, tradimenti, torture, il blockbuster sudcoreano Hunt riesce a sfiorare una lunga serie di temi storico-politici alquanto delicati, dalla sanguinaria dittatura del Sud nei primi anni Ottanta alla tensione crescente con il Nord. Zoppicante ma apprezzabile debutto alla regia per la star Lee Jung-jae che, non a caso, era tra i protagonisti nel 2013 del notevole New World di Park Hoon-jung: mancano quella compattezza e quel peso specifico, ma l’operazione è comunque interessante e ricca di spunti. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes 2022.

Old World

Dopo che un alto funzionario nordcoreano ha chiesto asilo, il capo dell’unità estera della KCIA Park Pyong-ho e il capo dell’unità interna Kim Jung-do hanno il compito di scoprire una spia nordcoreana, nota come Donglim, che è profondamente radicata nella loro agenzia. Quando la spia inizia a far trapelare informazioni top secret che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza nazionale, le due unità sono ciascuna incaricata di indagare a vicenda. In questa situazione tesa in cui se non riescono a trovare la talpa, possono essere accusati loro stessi, Pyong-ho e Jung-do iniziano lentamente a scoprire la verità. Alla fine, devono affrontare un complotto impensabile per assassinare il presidente sudcoreano… [sinossi]

In un certo senso, Hunt è una sorta di compendio del cinema sudcoreano, sia sul versante spettacolare sia su quello contenutistico e storico\politico. Un blockbuster, ma non solo. Presentato in anteprima al Festival di Cannes 2022, la prima fatica dietro la macchina da presa della star Lee Jung-jae, anche protagonista, non si limita a essere un’intricata spy story. O forse, essendo una spy story sudcoreana, non può proprio svicolare dalla questione nordcoreana, dalle dittature degli anni Ottanta, dai rapporti con Stati Uniti e Giappone e, last but not least, da alcuni dei tanti crimini governativi – il più eclatante e tragico, il massacro di Gwangju, qui non è solo evocato ma è uno dei nervi scoperti e dei motori della narrazione.
In fin dei conti, se Escape from Mogadishu di Ryoo Seung-wan è il palese (e dichiarato, si veda l’ironico e citazionista incipit) tentativo di ripercorrere la fortunatissime traiettorie al box office di A Taxi Driver di Jang Hun, Hunt non può che essere il parente stretto di New World di Park Hoon-jung, grande successo di pubblico e di critica nel lontano 2013. Corsi e ricorsi di un’industria che già da tempo ha imparato a clonare se stessa.

L’accumulo di Hunt è un po’ caotico, troppo legato al susseguirsi di colpi di scena, di cambi di campo, di inaspettati tradimenti. Anche se tutte le sequenze action funzionano, condite da sparatorie che consumano caricatori su caricatori, la sovrabbondanza non aiuta il quadro generale. Più dell’escalation quasi paradossale, ma che rende l’idea di una contrapposizione storico-politica che nel profondo non è così condivisa e che è e resta il limite autoflagellante delle due Coree, lascia più di un dubbio l’utilizzo narrativo del massacro di Gwangju. Già al centro di numerosi film, in primis il meraviglioso Peppermint Candy di Lee Chang-dong, lo spettro di Gwangju è un eterno ritorno che (ci) poteva essere risparmiato o che avrebbe quantomeno richiesto un’altra capacità di scrittura, contestualizzazione e messa in scena.

Bignamino spettacolare di un passaggio storico complicatissimo, Hunt sfiora una lunga serie di temi: tra sparatorie, inseguimenti, esplosioni, omicidi e tradimenti, non manca il dolore e l’orrore, nonché un pulsante sentimento di vendetta per le torture disumane dei due regimi – e qui la mente corre a National Security di Chung Ji-young. Il vero merito di Hunt, prodotto mainstream più che dignitoso anche se narrativamente balbettante, è di riaprire ferite che faticano a rimarginarsi, facendo altri piccoli passi di avvicinamento verso i fratelli del Nord. Tra i prodotti di punta dell’industria sudcoreana, presentato non a caso a Cannes, destinato a scalare la classifica degli incassi e a superare i confini nazionali, l’esordio di Lee Jung-jae (ottima la sua performance sullo schermo) è anche un promemoria, un monito. Per il Nord e, ancor di più, per il democratico Sud.

Info
Hunt sul sito di Cannes.

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