Une femme de notre temps

Une femme de notre temps

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Decimo lungometraggio per Jean Paul Civeyrac, Une femme de notre temps, presentato in Piazza Grande a Locarno, vede l’ingresso del regista francese in un cinema più commerciale e normalizzato, costruito su una grande star d’oltralpe quale Sophie Marceau. Un imborghesimento cinematografico per fare satira della borghesia.

Quando una donna con arco e frecce incontra un uomo disarmato

Juliane, commissario di polizia a Parigi, è una donna dalla profonda integrità morale. Tuttavia, scoprire la doppia vita del marito la porterà improvvisamente a commettere azioni di cui non si sarebbe mai creduta capace. [sinossi]

Juliane è un commissario di polizia, una donna sportiva, di grande energia fisica, sempre in allenamento, tra corse all’aperto ed esercitazioni di tiro a segno con arco e frecce. Potrebbe ricordare, in una carrellata cinematografica, la Clarice Starling di Il silenzio degli innocenti, una donna in apparenza sicura che nasconde molte fragilità. Juliane è protagonista di Une femme de notre temps, il decimo lungometraggio di Jean Paul Civeyrac presentato in Piazza Grande a Locarno. Il film segna l’ingresso del cineasta francese, che si era fatto apprezzare a Panorama della Berlinale 2018 con il bellissimo Mes provinciales, in un cinema mainstream, produttivamente di serie A. Un imborghesimento cinematografico che si esprime in un’opera caustica sulla borghesia, in forma di cinema di genere, nella migliore tradizione chabroliana.

Civeyrac gioca sull’elusione dei meccanismi spettatoriali. Se Clarice Starling trovava nella detection un riscatto e una catarsi alla propria insicurezza, per Juliane i delitti sono solo routine, e nel film un’indagine di omicidio rappresenta solo un esile sfondo narrativo. La donna, commissario di polizia parigina, è attanagliata dai suoi problemi personali. I morti veri sono quelli che hanno lasciato un vuoto nella sua vita, ovvero la sorella Lydia, della cui scomparsa non riesce a darsi pace. Juliane vive in un lutto perenne. I delitti sono il lavoro per la protagonista, il pane quotidiano, anche nella sua seconda attività, quella di scrittrice di successo di romanzi gialli. Al contempo la donna si trova per caso a scoprire l’infedeltà coniugale del marito. Une femme de notre temps prende una piega femminile, mettendo in scena un mondo che, anche quando le donne ricoprono cariche importanti, rimane dominato dagli uomini, uomini meschini. Il discorso non è manicheistico: il marito ha un puro rapporto fisico con la sua amante cui dice senza problemi di essere ancora innamorato della moglie. Il discorso femminile si articola anche in uno dei subplot del film. La protagonista si trova a difendere una donna con la figlia, personaggio speculare a quello della stessa Juliane, da un marito violento. In una collusione con quest’ultimo, Juliane finirà per estrarre la pistola e a sparargli, uccidendolo. E in quel frangente la moglie e la figlia difendono quel marito e padre violento fino ad accanirsi contro Juliane che aveva agito proprio in loro difesa. Segno di un affetto patriarcale più o meno inconscio, o di un masochismo del mondo femminile che dall’uomo violento non riesce, o non vuole, difendersi. Nella sua attività letteraria, quella che le dà il successo, Juliane per esempio si firma con il cognome del marito, la sua emancipazione forse è più un’apparenza.

Tra i riferimenti cinematografici di Civeyrac non può che figurare Douglas Sirk, proprio in questi giorni oggetto di una retrospettiva a Locarno. Quell’indugiare sulle dimore opulenti, aristocratiche, con tutti quei giardini curatissimi dai fiori sgargianti, che allo stesso tempo segnano un passaggio dall’abitazione a una natura che può essere cupa e misteriosa. L’attività immobiliarista del marito di Juliane permette al regista di raddoppiare le location di questo tipo. Un albero di cedro secolare domina con la sua estesa chioma, il giardino della tenuta di Juliane e marito. Attaccato da una malattia incurabile, che appare simbolo della precarietà della loro unione. Il marito ne ritarda l’abbattimento, cercando di convincere la moglie rispetto a improbabili interventi fitosanitari.

Jean Paul Civeyrac costruisce troppe strutture narrative e alla fine non riesce più a gestirle, finendo per ripiegare in un finale posticcio, ancorché ampiamente preparato nel film. Juliane, donna amazzone o Diana, sarà impegnata in un inseguimento notturno del marito con la primordiale arma di un arco con frecce. Un finale che va messo in parallelo con l’incipit al tiro a segno, dove la donna mostra una mira infallibile, e con quel cacciatore con arco che magnifica l’ancestralità di quella pratica, l’immersione in una vita secondo natura, dove il cacciatore si fonde in un’anima comune con la sua stessa preda. Così quella lunga scena finale, con la tensione pura del cinema di genere. L’infallibile Juliane manca più volte il bersaglio, ma forse vuole mancarlo più o meno inconsciamente. Quella caccia permetterà a entrambi di confessare le proprie debolezze e di rompere quel castello di menzogne. Sfortunato quel popolo che ha bisogno di film a tesi, ancorché tesi sfumate e bilanciate.

Info
Une femme de notre temps sul sito di Locarno.

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