La società della neve

La società della neve

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La parabola del regista catalano Juan Antonio Bayona, iniziata con l’ottimo horror melodrammatico The Orphanage, proseguita tra blockbuster hollywoodiani e grosse produzioni per il piccolo schermo, forse potrebbe finalmente mutare rotta con l’ambizioso La sociedad de la nieve (La società della neve), catastrofico dai riflessi autoriali che rimette in scena il disastro aereo delle Ande del 1971. Film di chiusura della Mostra del Cinema di Venezia 2023.

Entre mi hijo y yo, la Luna

Nel 1972, il volo 571 delle forze aeree uruguayane, che sta trasportando una squadra di rugby in Cile, precipita nel cuore delle Ande. Scampano all’incidente solo ventinove dei quarantacinque a bordo. Intrappolati in uno dei luoghi più ostili e inaccessibili del pianeta, i sopravvissuti devono ricorrere a misure estreme per non morire… [sinossi -labiennale.org]
Abbiamo superato Curicò.
– Dante Héctor Lagurara, copilota.

Il disastro aereo delle Ande, già portato più volte sul grande schermo, è una storia tremenda e affascinante, ricca di spunti e di altrettante insidie. Non a caso, oltre ai vari documentari prodotti nel corso degli anni, il cinema mainstream ci ha provato quasi subito con I sopravvissuti delle Ande (Supervivientes de los Andes, 1976) di René Cardona, che con un po’ di insistenza su qualche brandello di carne aveva smosso all’epoca gli stomaci più sensibili. Se Cardona cavalcava timidamente le dinamiche dell’exploitation, due decenni dopo Alive – Sopravvissuti (1993) di Frank Marshall mostrava tutti i limiti del produttore\regista e della solita operazione a uso e consumo del pubblico yankee. Tra l’altro, se nella ricostruzione dell’incidente il film hollywoodiano poteva ovviamente contare su un budget ben più corposo del film messicano e su altri mezzi tecnici, Alive mancava grossolanamente l’appuntamento con la messa in scena della Cordigliera delle Ande, quasi azzerandone la sorda maestosità. A distanza di più di mezzo secolo, La sociedad de la nieve (La società della neve) riesce invece ad aggiustare la mira, trovando un apprezzabile equilibrio tra la spettacolarità dell’incidente (l’impressionante compressione dei sedili dell’aereo rendeva già l’idea nella ristrettezza di mezzi di Cardona), i drammi umani e la loro disperata elaborazione, le dimensioni di una location tanto suggestiva quanto mortale, le parabole dei singoli e la loro dignità di vittime e di sopravvissuti. C’è, ad esempio, spazio per il rugby, per la retorica sportiva del gruppo, del gioco di squadra, del sacrificio: uno dei tanti aspetti, come l’onnipresente questione religiosa, che aiutano almeno un po’ a rimettere insieme i pezzi di un’avventura dai contorni orrorifici, apparentemente al di là della resistenza fisica e psicologica umana.

Sempre pericolosamente a un passo dall’essere ridondante, ci sembra funzionare l’utilizzo della voce narrante. Se nella versione di Cardona il narratore era esterno e freddamente cronachistico, ne La società della neve ha riflessi malickiani che dilatano le implicazioni e le riflessioni morali, etiche, intime. A differenza dello spettacolare ma smaccatamente eurocentrico e hollywoodiano The Impossible, melodrammatico disaster movie che sorvolava decisamente troppo sul contesto e sul tragico destino collettivo, il nuovo film di Bayona tiene fede al concetto di sociedad, non dimentica nessuno, non si piega alle mere necessità mainstream.
Adattamento de La sociedad de la nieve di Pablo Vierci, autore qualche anno dopo di Tenía que sobrevivir, scritto con il sopravvissuto Roberto Canessa, questa nuova versione cinematografica del disastro aereo delle Ande si lascia alle spalle il macabro tabù (cfr. Tabù – La vera storia dei sopravvissuti delle Ande di Piers Paul Read, libro che ha ispirato le due precedenti versioni fiction), prende le distanze da qualsiasi tentazione grandguignolesca e cerca nei limiti del possibile di mantenere un equilibrio tra l’onnipotenza del comparto produttivo, oramai in grado di portare sullo schermo in modo sorprendentemente realistico qualsiasi tipo di sciagura e cataclisma, e l’esperienza dei singoli personaggi. Non a caso, c’è ne La società della neve una particolare attenzione per i morti, la narrazione e la cura dei dettagli, dei nomi, dei volti: non un film che celebra l’impresa disperata di Canessa e Fernando Parrado, ma un racconto corale, anche di quelli che non sono riusciti a tornare. Un film di corpi feriti, sofferenti, martoriati, seppelliti e disseppelliti; un film di anime, di atroci dubbi morali, di resistenza e abbandono. Un film sull’unico modo che abbiamo per sopravvivere: insieme agli altri. Una storia così vera da sembrare impossibile.

Info
La scheda de La società della neve sul sito della Biennale.

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