Thanksgiving

Thanksgiving

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Con Thanksgiving Eli Roth torna a timbriche virulente e sadiche che mancavano nel suo cinema da un decennio (The Green Inferno): il suo primo slasher movie è un divertito omaggio al genere, da Tobe Hooper a Wes Craven, e contiene anche una presa in giro del sistema-America, fin dai padri pellegrini.

L’alba dei vivi morenti

La cittadina di Plymouth, in Massachusetts, è sconvolta da una terribile tragedia avvenuta all’interno di un centro commerciale durante il Black Friday. Un anno dopo, durante i festeggiamenti del Thanksgiving, un misterioso e feroce serial killer comincia a torturare e uccidere la popolazione locale, seguendo un grottesco piano di vendetta e prendendosela soprattutto con un gruppo di ragazzi, che evidentemente nascondono a loro volta uno scomodo segreto. Quelli che iniziano come omicidi casuali si rivelano presto parte di un più ampio e oscuro piano legato alla festività. [sinossi]

Sarà anche vero, come cantava Franco Battiato, che in quest’epoca di pazzi ci mancavano gli idioti dell’orrore, ma si sentiva la mancanza di un regista come Eli Roth. Non che il fedele sodale di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez – ringraziati in calce come si confà a un bravo adepto: dopotutto il concetto di base del film nasce come “fake trailer” inserito sedici anni fa in Grindhouse – si fosse eclissato dagli schermi, ma per quanto interessanti Knock Knock, Il giustiziere della notte – Death Wish, e soprattutto l’infantile Il mistero della casa del tempo si muovevano in campi più consoni alla prassi, meno perturbanti e in ogni caso meno “esibiti”. Il regista dei due capitoli di Hostel, che lo elessero a nome nuovo dell’horror del ventunesimo secolo dopo il croccante esordio Cabin Fever, sembrava aver perso lo smalto, o forse in tutta semplicità aver accettato di muoversi all’interno dei confini della prassi. L’aura mediocritas di una produzione statunitense fattasi via via sempre più asfittica pareva averlo inglobato, nonostante non mancassero i colpi di coda – vedere per credere, per l’appunto, la messa alla berlina del “maschio progressista” contenuta in Knock Knock. Ecco dunque che Thanksgiving arriva, proprio al ridosso del “Ringraziamento” d’oltreoceano, a scuotere lo sguardo, a ridefinire i bordi di uno schermo finalmente di nuovo insanguinato. Nella galleria orrorifica rothiana mancava lo slasher-movie: c’era stato spazio per la commedia quasi in odor di crudele grottesco (Cabin Fever), per il torture porn dei succitati Hostel – il primo dei due capitoli è un vero e proprio capolavoro di sadismo, poco compreso all’epoca e fin troppo rapidamente dimenticato –, e per lo stupefacente cannibal-movie The Green Inferno, che esattamente dieci anni fa denudava le carni radical chic degli universitari della East Coast per mandare al macello tutto e tutti, in una grandguignolesca mostra delle atrocità che non ha pari nel cinema hollywoodiano degli ultimi decenni.

Mancava, per l’appunto, lo slasher movie, e quindi Thanksgiving va in qualche modo a coprire una falla, a occupare una casella lasciata per ora vuota. Lo schema è quello classico del genere: a seguito di una tragedia avvenuta un anno prima – e su cui si tornerà tra poco, perché rappresenta in centro nevralgico del film – un misterioso figuro mascherato inizia a mietere vittime “innocenti”, seguendo uno schema che via via si va chiarendo. Per quanto la domanda inevasa sia sempre la medesima, vale a dire chi si nasconde dietro la ferale maschera omicida, Roth denuncia fin da subito la sua volontà di non dare particolare peso all’identità del serial killer; non c’è detection, in Thanksgiving, perché anche le indagini della polizia arrivano sempre con un attimo di ritardo rispetto alla furia belluina del “mostro”. Contrariamente ad alcuni classici del genere anche apertamente citati – si pensi allo splendido Scream di Wes Craven, per esempio – non è presente nessun personaggio riconducibile all’universo dei media, in grado dunque di sopperire alla proverbiale lentezza della polizia locale. Di fatto che la persona mascherata da John Carver uccida questo o quell’altro si trasforma fin da subito in una mera esigenza scopica, come se fosse necessario riattivare la vista, tornare a mostrare l’orrore in tutta la sua putrida magnificenza. Ecco dunque un putiferio di teste mozzate, corpi sbudellati – sembra quasi a un certo punto di intravedere una citazione da Antropophagus di Aristide Massaccesi in arte Joe D’Amato –, arti recisi, esseri umani cotti in forno come succulenti tacchini, e chi più ne ha più ne metta.

Questa mattanza, per quanto ampiamente spassosa e non priva di brillanti intuizioni – le piroette sul tappeto elastico, ad esempio –, finirebbe ben presto per annoiare se non fosse per la lungimirante costruzione dell’intero impianto filmico. Thanksgiving prende il la da una lunga e articolata sequenza magistrale, che pur rappresentando l’apice concettuale e cinematografico del film riesce a sopperire a determinate mancanze di sceneggiatura, a buchi inattesi, a forzature di vario tipo. In questo film nel film che ne rappresenta l’incipit si assiste a un Giorno del Ringraziamento come tanti a Plymouth, la città fondata nel 1620 dai padri pellegrini – il cui leader era per l’appunto John Carver. Il black friday in un grande magazzino si tramuta però in un vero e proprio massacro, perché la folla aizzata dalla possibilità di avere gratis una macchina per cucinare un waffle, resa cieca dal Capitale, non si ferma di fronte a niente e un pugno di persone rimane uccisa. Questa sequenza, che gioca con grazia sardonica fin dall’inizio con i codici del genere – il film si apre su una soggettiva che di solito si attribuirebbe all’assassino, e che qui invece svela il volto dello sceriffo –, riesce a fungere da sarcastico ribaltamento dell’ideale romeriano di Zombi. Lì la società dei consumi attraeva perfino i morti tornati in vita, tutti in direzione di un centro commerciale; qui la stessa sorte colpisce coloro che vivi lo sono ancora, e questo rende tutto ancor più beffardo, e devastante. Non c’è più speranza per la società, afferma sibillino Roth, ma forse non c’è mai stata visto che Carver e il Ringraziamento sono i simboli stessi dell’America wasp, quella che accettò in dono dai nativi il tacchino per poi sacrificare prima il pennuto, e quindi gli stessi indigeni – come sottolinea il compito in classe che uno dei protagonisti si fa scrivere da un compagno, che gli tende però una trappola canzonatoria. In questo racconto di vivi morenti Roth si diverte a ribaltare molte delle abitudini del genere, senza però prenderne mai davvero le distanze: così tra un riflesso di Hooper e un rimando ad Argento si accoglie volentieri la solita reprimenda del regista statunitense contro i suoi consimili, ma soprattutto ci si lascia andare al divertimento di questa tonnara umana survoltata ed esasperata, che si diletta con la viralità e non ha timore di far scorrere sangue a flutti. Mancava allo sguardo l’orrore evidente di Eli Roth, in attesa di un nuovo black friday che trasformi esseri umani in macchine consumistiche omicide.

Info
Thanksgiving, il trailer.

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