Upon Entry – L’arrivo

Upon Entry – L’arrivo

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A quattordici mesi di distanza dalla sua presentazione alle “Black Nights” di Tallin, arriva in sala in Italia Upon Entry – L’arrivo, teso dramma aeroportuale diretto a quattro mani da Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez. Partendo da una reprimenda nei confronti del sistema statunitense e dalla sua visione dell’immigrazione, i due registi allargano il discorso al concetto di fiducia coniugale, dimostrando una buona verve nei dialoghi.

Le verità di Diego

L’urbanista venezuelano Diego e la compagna Elena, ballerina di danza contemporanea di stanza a Barcellona, ottengono i visti per gli Stati Uniti e sono pronti a cominciare una nuova vita con l’intenzione di lanciare nella stratosfera le rispettive carriere, sfruttando il più possibile la cornucopia di occasioni offerte dalla terra delle opportunità. Appena sbarcati a New York, però, vengono entrambi scelti per un’ispezione approfondita da parte degli agenti dell’immigrazione. Gli insistiti interrogatori faranno venire a galla segreti che i due giovani non si erano mai reciprocamente confessati. [sinossi]

La llegada, letteralmente L’arrivo – che è poi il sottotitolo scelto in Italia dopo l’inglese Upon Entry, con cui il film è stato venduto in tutto il mondo –, è l’opera prima dei venezuelani Alejandro Rojas e Juan Sebastián Vásquez, anche se da un punto di vista produttivo il racconto della terribile giornata vissuta da Elena e dal suo compagno Diego batte bandiera spagnola, con tanto di intervento da parte della “Comunidad de Madrid” e dalle realtà economiche regionali basche e catalane. Restando al cast principale Alberto Ammann, che nel film interpreta Diego, è argentino, mentre l’agente dell’immigrazione che per prima prende in carico il caso attorno a cui ruota la narrazione è affidata alle cure di Laura Gómez, attrice dominicana. Potrà sembrare bizzarro intraprendere una breve dissertazione su un film prendendo l’abbrivio dalla composizione “geografica” del cast e della troupe tecnica, ma questo dettaglio acquista durante la visione di Upon Entry un peso specifico, cui è necessario prestare attenzione. Da un punto di vista basico, senza dubbio superficiale ma di primario impatto per lo spettatore, il film di Rojas e Vásquez è infatti un atto di denuncia nei confronti del sistema d’accettazione dei “nuovi cittadini” negli Stati Uniti d’America. Diego ed Elena partono da Barcellona per raggiungere New York, dove dovrebbero trovare la coincidenza per Miami, destinazione scelta per una nuova vita insieme, ma vengono bloccati nell’aeroporto della Grande Mela, e sottoposti a una verifica con tanto di interrogatorio da parte degli agenti dell’immigrazione. Non esiste motivo per un trattamento così iniquo, vista l’evidente non pericolosità dei due soggetti, e quando il dialogo si svolge interamente in spagnolo – tra i due partner e la già citata agente – si percepisce ancora di più la follia alla base del concetto di “accettazione” dell’istanza di immigrazione: tre ispanofoni, di tre nazionalità diverse (Diego vive in Spagna da qualche anno ma è un cittadino venezuelano), che sono visti e rappresentati ricorrendo a tre tipologie amministrative differenti. Un triangolo scaleno in cui un elemento ha il “potere” e può esercitarlo – e la stessa agente a dichiarare come solo lei possa concedere o meno alla coppia di andare oltre l’aeroporto senza essere rispedita indietro –, un altro (Elena) ha diritto a immigrare perché ha vinto la celeberrima lotteria per diventare cittadino statunitense, e un terzo (Diego) è automaticamente visto come usurpatore di un posto, da un certo punto di vista “clandestino” pur essendosi imbarcato legalmente dalla Catalogna su un aereo di linea.

Si fermasse qui Upon Entry si attesterebbe tra i titoli sicuramente meritori d’interesse ma soprattutto per la loro volontà di indagare il contemporaneo, le sue distonie, e magari – allargando il discorso – riflettere sul valore reale di un concetto forse in parte aleatorio come quello di “democrazia”. Ma mentre la disavventura legale di Diego ed Elena (che potrebbe riportare alla mente il calvario cui va incontro Giuseppe Di Noi/Alberto Sordi in Detenuto in attesa di giudizio di Nanni Loy) inizia a mettere a disagio anche lo spettatore, con un primo interessante colpo di coda della sceneggiatura i due cineasti modificano seppur in parte lo sguardo prospettico, iniziando a far sorgere dubbi sulla verità che Diego ha raccontato tanto alle autorità quanto – ed è ben più grave – alla propria compagna di vita. In questo scarto si rivela con forza l’aspetto più interessante del lavoro di Rojas e Vásquez, che “approfittano” di un tema dall’evidenza fin troppo marcata (l’abuso di potere nei confronti di persone inermi, e vittime di un sistema che può decidere se e quando accettarle in qualità di “cittadini”) per passare all’universale al particolare e adattare il concetto di “verità” alla coppia. I due agenti dell’immigrazione – oltre a Laura Gómez c’è Ben Temple, statunitense che da un trentennio vive e lavora in Spagna (a proposito di emigrazione), dove ha preso parte tra gli altri a Nadie quiere la noche di Isabel Coixet e Perfect Day di Fernando León de Aranoa – diventano dunque più che poliziotti degli inquisitori della coppia, pronti ad avverarne la crisi forse definitiva, e anche delle voci interiori di Diego ed Elena, suggeritori della verità più intima che può essere che non vogliano dire all’altro/a perché non riescono neanche a percepirla con chiarezza loro stessi. Upon Entry dopotutto è un film chiuso sui suoi due protagonisti fin dall’inizio, e si concentra solo su loro due recludendo sempre lo spazio, a partire dalla scelta di aprire la narrazione nello stretto abitacolo di un taxi: film recluso prima ancora che chiuso, in attesa esso stesso di trovare un pertugio per la verità attraverso la dialettica, conscio probabilmente che anche questa sia una via con la quale si devono necessariamente trovare dei compromessi. In un’opera produttivamente così piccina i due registi dimostrano di saper tramutare le limitatezze in una scelta estetica, e di senso, e anche se ogni tanto si ha l’impressione che il film non possa ambire ad altezze superiori a quelle che gli appartengono di base non si può non ammirare la brillantezza della messa in scena – e la scelta finale, qui non evidenziata per ovvie ragioni, è davvero intelligente –, e con essa l’ottima direzione di un cast che ha sempre la videocamera incollata addosso, visto che lo spazio scenico quasi è inesistente, gabbia/stanza che è l’angusto pertugio di un aeroporto ma anche l’esistenza stessa, in cui si rischia di essere clandestini nell’anima prima ancora che sul passaporto.

Info
Upon Entry – L’arrivo, il trailer.

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