Intervista a Vlad Petri
Nato a Bistriţa, in Romania, nel 1979, Vlad Petri è regista, fotografo, sceneggiatore e produttore indipendente. Ha studiato cinematografia e antropologia visiva e dei media. Spesso nei suoi lavori alterna filmati da lui realizzati a immagini provenienti da archivi ufficiali, per creare opere al confine tra documentario e finzione. La maggior parte dei suoi progetti recenti cerca un ponte tra documentario e finzione con un particolare interesse per le questioni sociali, la politica e l’attivismo, e sono sviluppati in Romania e in Medio Oriente. Il suo film di debutto, Where Are You Bucharest?, è stato presentato a Rotterdam. Il suo ultimo lavoro è Between Revolutions, selezionato al Forum della Berlinale, a Sarajevo e al Trieste Film Festival 2024 nel concorso documentari. Abbiamo incontrato Vlad Petri a Trieste in questa ultima occasione.
L’operazione che hai fatto in Between Revolutions, mettendo in connessione le rivoluzioni in Iran e in Romania, evidenzia una caratteristica comune in questi eventi storici: si inizia con gli ideali e le migliori intenzioni, si arriva poi al rovesciamento del potere, il cui posto viene però preso da un altro potere, che può rivelarsi anche non migliore di quello precedente. Confermi questa interpretazione?
Vlad Petri: Il senso di Between Revolutions può non riferirsi solamente alla rivoluzione del 1979 in Iran e a quella del 1989 in Romania, ma è aperto ad altre rivoluzioni. Penso alla situazione odierna dell’Iran, dove gli abitanti sono stufi del regime della repubblica islamica. Grazie a internet si guardano attorno, vedono quello che succede nel mondo e vogliono qualcosa di nuovo. Tra… (“Between”) c’è ancora un’altra rivoluzione possibile.
E come puoi descrivere la situazione in Romania dopo il regime di Ceaușescu?
Vlad Petri: Nel 1989 la gente ha creduto che ci sarebbe stato un grosso cambiamento, sognando l’occidente. Ma la cosa non era così semplice. Non è stata del tutto una rivoluzione. La stessa gente è rimasta in qualche modo al potere. La furia della popolazione si è riversata contro Ceaușescu e sua moglie. Li hanno giustiziati. È finito il comunismo. Ma altra gente, della Securitate è rimasta al potere. C’è stato certamente un cambiamento. Il comunismo è finito, il paese si è aperto all’occidente. Ma per molti gli anni Novanta si sono rivelati come il capitalismo più duro. È stato un periodo difficile, con l’inflazione e tutto il resto. Ora certo la Romania è parte dell’Unione Europea.
È davvero straordinario il materiale d’archivio usato nel film. Come lo hai cercato negli archivi e come hai fatto la selezione?
Vlad Petri: All’inizio non sapevamo cosa avremmo trovato, che tipo di immagini, avevamo la storia di queste due donne e volevamo creare una connessione con questa. In Romania abbiamo lavorato con difficoltà durante la pandemia. Alcune istituzioni erano chiuse, altre aperte. Tutto sommato era un tipo di lavoro che si poteva fare bene in quelle condizioni di restrizione, perché non dovevamo lavorare con attori, ma negli archivi. Il mio produttore mi aiutò a trovare i contatti. In Iran abbiamo trovato qualcuno che ci ha aiutato, lavorando anonimamente, senza dire che era per un progetto europeo. Abbiamo cercato in archivi delle televisioni ma anche da fonti private.
A parte due brevi apparizioni di Khomeyni e Ceaușescu, non si vedono leader tra le immagini del film, ma soprattutto masse anonime. E nemmeno mostri i filmati del processo sommario e dell’uccisione dei coniugi Ceaușescu. Come mai?
Vlad Petri: Per me erano più importanti le storie di queste due donne e la loro contestualizzazione. Abbiamo costruito questi due personaggi con le voci e con le lettere. Poi non volevo concentrarmi troppo su immagini già conosciute. Volevo mostrare come i sistemi patriarcali incarnati da Khomeini e Ceaușescu fossero in tutte le cose, e non era necessario mostrare le loro immagini. Ecco perché solo due scene per loro mentre avevano il comando, ma non volevo insistere con loro. Era un altro punto di vista.
Il punto di vista di due donne. Era importante per te la visione femminile?
Vlad Petri: Il progetto è nato parlando con mia madre dei suoi anni da studentessa. Molte cose del personaggio di Maria vengono da lei e dal suo background. Ha studiato medicina, mi ha avuto quando era a scuola. Quindi sono partito da lì. Lei mi ha fatto vedere le sue lettere e le foto di quando era all’Università. Ho visto che c’erano molti studenti dal Medio Oriente, la Romania aveva buoni rapporti con il Movimento dei Paesi non allineati. Venivano da Iran, Iraq, Siria, Palestina. Al contempo ingegneri rumeni venivano mandati in quei paesi. Mi incuriosiva come un paese chiuso dell’Europa dell’Est potesse essere visto da quei paesi mediorientali. Partendo dalla storia personale di mia madre, ho trasformato il film in qualcos’altro, come un ritratto collettivo di donne. Volevo mantenere questa prospettiva, su come fosse la vita delle donne in quei tempi. Tutti i regimi sono fatti da uomini, tanto quelli socialisti che quelli islamici. In Iran le donne sono state messe da parte gradualmente e non hanno più avuto una voce. In Romania il comunismo ufficialmente dialogava con il femminismo e con le donne lavoratrici, ma in realtà prevaleva la mentalità tradizionale per cui una donna dovesse essere solo una buona moglie e una buona madre, e dovesse fare i lavori domestici. Era anche parte della propaganda.
Però un’eccezione è rappresentata da Elena Ceaușescu…
Vlad Petri: È interessante, perché lei è sempre stata nelle retrovie di Nicolae. Ma alla fine aveva più potere di lui, come dicono vari studi. Lo controllava. Ed era anche più malvagia.
Hai già parlato dell’ispirazione da tua madre per il personaggio di Maria. Come hai lavorato invece per quello di Zahra e per costruire i testi della loro corrispondenza epistolare?
Vlad Petri: Dopo la conversazione con mia madre, ho cercato di sviluppare questa possibile/impossibile connessione, utopica, tra queste due donne che insieme, attraverso le loro lettere, trovano la forza di combattere contro le rispettive società. Dall’inizio abbiamo immaginato che Zahra fosse arrivata in Romania, avesse sperimentato il comunismo e poi, tornata in Iran, la rivoluzione. Poi abbiamo trovato dei documenti della Securitate che contenevano lettere vere, ma non era molto. Quindi ho chiesto a una delle più talentuose scrittrici rumene, Lavinia Braniște, di sviluppare un testo, e poi alla nostra consulente in Iran di fare lo stesso. Così abbiamo sviluppato questi due personaggi femminili, influenzati tanto da documenti delle polizie segrete ma anche dalla poesia di due poetesse. Lavinia ha prodotto un testo e abbiamo lavorato in una sorta di doppio montaggio. Abbiamo trovato materiali negli archivi che ci hanno fatto cambiare i testi, e dopo ulteriori immagini scoperte ci hanno fatto cambiare nuovamente i testi. È stata una doppia correzione. Le immagini reali, alcune però di propaganda e finte, hanno determinato i nostri testi finzionali, che poi ci hanno indotto a fare altre ricerche per altre immagini documentaristiche.
In comune tra le due rivoluzioni tornano le bandiere americane, usate con funzione opposte. Hai voluto usarle come richiamo?
Vlad Petri: È una cosa sopra di noi, come un tessuto che ci avvolge tutti, e che non riusciamo a toglierci: l’imperialismo americano. È stato interessante trovare la connessione negli archivi. A qualcuno può dare fastidio vedere bruciata la bandiera americana, ma non per gli iraniani. Ci fu il colpo di stato nel 1953 che rovesciò il governo democraticamente eletto di Mossadeq e gli USA imposero lo scià che si rivelò un dittatore. Posso capire quel gesto, loro erano stanchi di quella presenza. Ma per gli europei si tratta di un gesto duro, difficile da comprendere. Per i rumeni in quel momento rappresentava la felicità, l’euforia per la cultura americana rappresentata da blue jeans, Coca-Cola, Lucky Strike. Vediamo le immagini alla fine del film, per la felicità, tra le strade di Bucarest, dell’introduzione del capitalismo, accompagnate dalle bandiere americane e dalla propaganda.