Sauvages

Sauvages

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Presentato nella discutibile Séances spéciales Jeune Public del Festival di Cannes 2024, Sauvages segna il ritorno di Claude Barras, otto anni dopo La mia vita da zucchina. Nonostante l’assenza di Céline Sciamma alla sceneggiatura, abbastanza evidente, il film veicola un interessante e non scontato discorso umano e soprattutto politico, mentre sul piano tecnico e artistico può vantare una stop motion più fluida e complessa rispetto all’opera prima di Barras.

Le avventure di papà

Nel Borneo, ai margini della foresta tropicale, vicino alla piantagione di palma da olio dove lavora suo padre, Kéria trova e salva un cucciolo di orango. Nel frattempo, il suo giovane cugino Selaï è venuto a vivere con loro, per cercare rifugio dal conflitto tra la sua famiglia e le compagnie del legname. Insieme, Kéria, Selaï e la piccola scimmia combatteranno contro la distruzione della loro foresta ancestrale, ora più minacciata che mai. Ma per Kéria la lotta sarà anche un modo per scoprire la verità sulle proprie origini… [sinossi]

La questione film per bambini è purtroppo spigolosa e Cannes sembra volerla affrontare sempre nel peggiore dei modi, mettendo dei paletti tra film di valore come Sauvages e le altre opere, anche mediocri o persino peggio, destinate a un pubblico adulto. Tra l’altro, ma è più che evidente, il film di Barras, come il precedente La mia vita da Zucchina, si offre alla totalità del pubblico – che l’animazione, ancor più la stop motion, venga spesso ignorata da stampa e critica è un problema di lungo corso di natura culturale e professionale: il tempo, come sempre, darà ragione ai film e al cinema.
Prodotto tra Svizzera, Francia e Belgio, Sauvages ci riconsegna la stop motion fanciullesca nell’estetica ma non nei contenuti dello svizzero Barras. Piazzato nella più che discutibile Séances spéciales Jeune Public, Sauvages è senza dubbio tarato su un pubblico giovane, soprattutto per veicolare un discorso basilare ma interessante sull’ambiente, sul rispetto degli spazi e delle tradizioni altrui, sui differenti stili di vita. E, tra l’altro, sulle forme di protesta, resistenza, boicottaggio, persino violenza. Insomma, un po’ ci ricorda lo spirito combattivo dei paffuti e sinuosi protagonisti del lungometraggio Le avventure di Barbapapà – erano gli anni Settanta, non a caso.

Meno stilizzato del precedente lungometraggio, più fluido nei movimenti, abbondante nei dettagli, soprattutto nella composizione dei paesaggi, Sauvages è un ottimo esempio di stop motion classica, poco interessata alla perfezione a tutti i costi. Il risultato, a vederla dal punto di vista spettatoriale, può essere sorprendente: ci si può commuovere per dei pupazzetti che non inseguono mai nemmeno un pizzico di realismo? La risposta in realtà è scontata: sì. Il segreto del coinvolgimento emotivo di questi personaggi dal design deformed, al di là della fondamentale capacità di scrittura e della gestione dei vari accadimenti, è negli occhi, nella loro dimensione sproporzionata. Insomma, un dettaglio semplice, perfettamente in linea con l’estetica dell’animazione a passo uno di Barras – e, ça va sans dire, non solo la sua.
Sono questi occhi, a loro modo iper-espressivi, a far filtrare la complessità della storia, personale e collettiva, e a convogliare verso lo spettatore un flusso crescente di emozioni: la morte della madre (anzi, delle madri, costante narrativa di Barras), l’incomprensione iniziale col piccolo Selaï e la frattura col padre, la scoperta delle proprie radici, lo sconforto e poi la rabbia per la foresta. Ecco, l’aspetto forse più interessante di Sauvages (che evidentemente ci domanda: chi sono i selvaggi?) è la riflessione sulla lotta, sulla ribellione, sui suoi mezzi, su quello che è lecito fare per non farsi schiacciare dal sistema capitalista. Ci aveva già pensato Le avventure di Barbapapà, ma erano appunto gli anni Settanta. Barras ci riporta lì e non è poco.

Info
La scheda di Sauvagesn sul sito del Festival di Cannes.

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