The Seed of the Sacred Fig

The Seed of the Sacred Fig

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The Seed of the Sacred Fig è l’ultimo film girato in Iran da Mohammad Rasoulof prima della sua avventurosa fuga all’estero a seguito dell’ennesima condanna ricevuta dal Tribunale Rivoluzionario. E proprio dei famigerati tribunali e delle proteste nei confronti del potere centrale di Tehran si occupa questo teso dramma politico, che fa esplodere nelle mura domestiche le contraddizioni e i conflitti della società.

Il privato è politico

Iman è stato promosso giudice istruttore presso il tribunale rivoluzionario di Teheran quando un movimento di protesta popolare inizia a scuotere il Paese. Le figlie sostengono il movimento, mentre la moglie cerca di accontentare entrambe le parti. [sinossi]

Già nella primissima sequenza di The Seed of the Sacred Fig Iman, il padre di famiglia che ha ricevuto una promozione ed è ora giudice istruttore presso il tribunale rivoluzionario di Tehran mostra a letto alla consorte la pistola che gli è stata consegnata per “difendersi”. Chiunque si occupi anche in modo episodico di cinema sa bene che vige la massima secondo la quale se in un film si mostra una pistola questa prima o poi dovrà sparare, ed ecco dunque che l’incipit dell’ottavo lungometraggio di finzione diretto da Mohammad Rasoulof avvisa fin da subito gli spettatori sulle direzioni che, in un modo o nell’altro, prenderà questo teso racconto in cui il privato si fa politico, e collettivo. Iman è un buon uomo, ha molte remore morali nei confronti del suo nuovo incarico – che di fatto lo “costringe” anche a firmare e protocollare condanne all’esecuzione –, ma non se la sente di rinunciare evidentemente a una posizione di maggior prestigio che dopotutto, ed è la motivazione più forte addotta dalla moglie (che si chiama Najmeh), potrebbe consentire alla famiglia di acquistare finalmente un appartamento più grande che consenta alle loro due figlie di dormire ognuna in una stanza singola invece di condividere lo spazio con un letto a ponte come fanno adesso. D’altronde le due ragazze stanno crescendo: Sana ha sedici anni e va al liceo, e Rezvan è iscritta all’università. La notizia dell’eventualità di vivere in una casa più grande è anche l’unico motivo di gioia per le giovani, visto che a causa del nuovo lavoro del padre – che esce di casa la mattina per tornare solo a notte fonda, e nella prima metà del film quasi scompare agli occhi dei famigliari – Najmeh chiede loro di evitare di frequentare le amiche, di non postare nulla sui social network, in pratica di vivere in una sorta di reclusione.

Anche perché il mondo fuori sta esplodendo, la ventiduenne Mahsa Amini è stata uccisa (“ha avuto un infarto, era malata”, sentenzia la madre davanti alla televisione accettando senza battere ciglio l’informazione ricevuta attraverso l’elettrodomestico) e la gioventù della capitale è in rivolta, soprattutto all’università ma anche nei licei, come testimonia il fatto che Najmeh deve correre a riprendere Sana per evitare che rimangia invischiata negli scontri. Non può però evitare che Rezvan porti a casa la sua unica amica e compagna di corso, gravemente ferita a un occhio proprio dalla polizia che è intervenuta per sgomberare la facoltà dai manifestanti. Come comportarsi? Dopo averla rapidamente medicata la donna decide di condurla al dormitorio, in ogni caso, ma la giovane da quel momento scompare, e le due ragazze si renderanno conto che chiedere aiuto al padre non è necessariamente l’idea più funzionale. Per quanto scelga un titolo fortemente simbolico (il riferimento è al modo in cui si spargono i semi dall’albero del Ficus religiosa, noto anche come Fico sacro) The Seed of the Sacred Fig non si muove nel campo della metafora, ma ricorrendo a una grande fiducia nel potere della narrazione costruisce un ordito ottundente, tracciando le linee di un percorso che si muove sottopelle e sotto l’occhio dello spettatore, con l’intento di rendere visibile ciò che per la produzione cinematografica iraniana non è possibile mostrare. Anche dettagli all’apparenza di poco conto, come ad esempio il fatto che nessuna delle donne utilizzi l’hijab quando si trova tra le mura domestiche, in realtà perseguono il medesimo obiettivo. Così progressivamente, minuto dopo minuto, la narrazione di Rasoulof fa scivolare il film in direzione di una paranoia persistente che sfianca tutti i personaggi e concretamente sfalda le radici più profonde del sistema famigliare. Un sistema, sottolinea il regista, che non può mai e per nessun motivo pensarsi al di fuori da ciò che accade nel resto della nazione. “Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti”, cantava Fabrizio De André riprendendo un celebre motto sessantottino, e il discorso è valido anche oggi a Tehran.

Quando oramai l’intimità della famiglia è già crepata, e dunque il sistema mostra le sue falle, Rasoulof sceglie una via a suo modo sorprendente, di fatto quasi costruendo un film nel film, molto più prossimo al concetto di “genere” – termine da declinare sempre considerando la poetica espressiva del cineasta – di quanto sarebbe lecito attendersi. E in un film di genere, e si torna all’apertura di questa recensione, non può quasi mai mancare una pistola. Potentissimo j’accuse contro la connivenza con il sistema, e racconto di come ciò che permea una nazione finisca per entrare progressivamente nelle menti dei suoi cittadini fino a riconfigurarne persino i limiti morali ed etici, The Seed of the Sacred Fig è un lavoro denso, coraggioso – Soheila Golestani e Misagh Zare, unici membri del cast principale a vivere ancora in Iran, rischiano gravi ripercussioni in questi giorni e nei mesi a venire, anche se lo stato di confusione nazionale a seguito del decesso di Ebrahim Raisi nell’incidente del 19 maggio potrebbe giungere in soccorso in tal senso –, che ha voglia di apparire a suo modo eretico rispetto alla prammatica di buona parte della produzione iraniana. Sarà anche l’ultimo film iraniano di Mohammad Rasoulof per chissà quanto tempo, se ne può essere certi: sarà interessante scoprire come e quanto il regista si farà permeare da un altro sistema, più democratico ma altrettanto amante del “controllo”.

Info
The Seed of the Sacred Fig sul sito di Cannes.

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