In spirito

In spirito

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Il ventiduenne Nicolò Folin, studente del Centro Sperimentale di Cinematografia, affronta con In spirito il rapimento di santa Lucia da Narni da parte del duca d’Este nel 1499, e approfitta della rievocazione storica per una breve ma ficcante riflessione sulla “responsabilità”, e sul rapporto tra materia e spirito. In concorso alla Cinef a Cannes 2024.

Il rapimento della santa

Aprile 1499. Il duca di Ferrara ha mandato i suoi uomini a Viterbo per prelevare clandestinamente Lucia, una ‘santa viva’ di vent’anni, le cui stigmate sono famose in tutta Italia. Il giovane cortigiano Zoanin e il capitano dei balestrieri ducali le fanno da scorta, in fuga dai viterbesi che cercano la santa rapita. Durante il viaggio fra boschi e borghi abbandonati, a Zoanin toccherà decidere del destino della giovane. [sinossi]

Sarebbe interessante trovare l’occasione per analizzare in profondità il ruolo svolto dai principali festival cinematografici – e dalle attività a loro collimanti – per quel che concerne il rapporto con i “film scolastici”, i saggi di regia (e di produzione, fotografia, montaggio, scenografia e via discorrendo) che rappresentano una realtà sempre più presente nelle kermesse legate alla settima arte. Le stesse scuole e gli istituti professionali dediti allo studio del cinema puntano con una forza vieppiù maggiore sulla presenza in palcoscenici di rilievo, che in una certa qual misura finiscono per divenire dei trampolini di lancio per una carriera ancora tutta da scrivere, in divenire. Fermandoci al mero contesto italiano, e in particolare ai lavori del Centro Sperimentale di Cinematografia (che è alla base anche di In spirito di Nicolò Folin) è stato così per Simone Bozzelli, apprezzato per i suoi cortometraggi girati in seno alla scuola – Amateur e J’ador, entrambi presentati nel contesto di SIC@SIC alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia – prima dell’esordio al lungometraggio con Patagonia, selezionato al Festival Internazionale del Film di Locarno; per Lorenzo Tardella, applaudito con il corto Le variabili dipendenti nella sezione Generation alla Berlinale per poi ottenere il David di Donatello riservato al miglior lavoro breve; e per Valerio Ferrara, che dopo aver presentato Notte romana nel 2021 alla SIC ha sbancato la Cinef di Cannes con il saggio di diploma Il barbiere complottista, idea di partenza poi tramutata in un lungo che si vedrà nei prossimi mesi. Non sarebbe stupefacente, tutt’altro, che questo percorso fosse quello desiderato da Folin, a sua volta in concorso alla Cinéfondation nel 2024. E sarebbe interessante che un’opera come In spirito, che si muove in direzioni tutt’altro che canoniche per la produzione nazionale, divenisse la sfida produttiva per un esordio sulla lunga distanza.

Folin, che nel film recita a sua volta e coinvolge anche il padre Marco davanti alla camera, parte da un evento storico, vale a dire il rapimento di santa Lucia da Narni da parte del duca d’Este nel 1499: Lucia Broccadelli, resa beata da Clemente XI agli inizi del Diciottesimo secolo, appena ventenne era già considerata una santa dalla popolazione dell’alto Lazio e dell’Umbria, e così Ercole I d’Este pensò bene di mandare dei suoi scherani a rapirla e a condurla a Ferrara, dove la mistica avrebbe condotto i restanti quarantacinque anni della sua travagliata esistenza, fatta di dolori, stimmate, tumefazioni del corpo (segni della santità per i credenti, ovviamente). Consapevole del breve tempo a sua disposizione, Folin decide di raccontare solo un breve tratto di strada nel bosco con santa Lucia – a interpretarla Beatrice Bertoni – già nelle mani del capitano dei Balestrieri degli estensi e di un cortigiano, a cui è stato attribuito il compito di prendere in carico la giovane donna e scortarla a destinazione. La rievocazione storica, pur puntuale sotto il profilo dei costumi, con la scenografia naturale del bosco che agevola una produzione che altrimenti sarebbe andata incontro a delle difficoltà sotto il profilo della credibilità, non pare però il centro nevralgico del discorso. Anzi, la ripresa di un evento così peculiare – pare che al padre del ventiduenne regista sia da attribuire la conoscenza del fatto storico – paradossalmente finisce per “liberare” il vero vulnus della questione, il perno attorno al quale ruota il senso di In spirito.

Divincolandosi dall’attestazione o meno di santità della giovane Lucia, e prendendo anche le distanze dall’unico romanzo che la utilizzi come personaggio (Il principe delle volpi di Samuel Shellabarger, da cui nel 1949 Henry King trasse un mélo storico con protagonisti Tyrone Power e Orson Welles, e senza la santa), Folin cerca traiettorie che lo pongano in relazione semmai con alcune tendenze del nuovo cinema italiano, pensando a esordi quali Piccolo corpo di Laura Samani o Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis. La sua contestualizzazione storica serve al principio della dialettica, quella che la futura santa mette in atto con il giovane Zoanin, e che si muove nel perimetro della “responsabilità”, non come atto di sottomissione di fronte al potere ma come palesamento di una morale ferrea ben prima di una fede altrettanto incrollabile. Lo sguardo di Folin è netto, privo di filtri nonostante qualche cascame arthouse, a suo modo puro. Difficile preconizzare il percorso che questo giovane cineasta andrà a intraprendere, ma nelle pieghe di questo esercizio scolastico si vede l’occhio, e il tentativo per lo più riuscito di attribuire un senso all’immagine. A sua volta un atto di fede, e di dialettica.

Info
In spirito sul sito del Festival di Cannes.

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