Vermiglio
di Maura Delpero
A cinque anni di distanza dall’opera d’esordio Maternal la quarantottenne regista bolzanina Maura Delpero torna alla regia con Vermiglio, ambizioso racconto di una famiglia in uno sperduto villaggio sulle Alpi Retiche a cavallo della fine della seconda guerra mondiale. Un lavoro che guarda al cinema contemplativo di Ermanno Olmi e cerca di narrare i desideri e le frustrazioni di un mondo dimenticato. In concorso alla Mostra di Venezia.
Storie della casa del maestro
In quattro stagioni la natura compie il suo ciclo. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. Vermiglio racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, essa perda la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria. [sinossi]
Vermiglio, che dona il titolo all’opera seconda della regista bolzanina Maura Delpero, è un paesino di nemmeno duemila abitanti collocato di fatto al confine tra Trentino e Lombardia, a circa milleduecento metri di altitudine sulle Alpi Retiche meridionali. Un luogo appartato, lontano da tutto e tutti, e che pure si è trovato suo malgrado nel bel mezzo di due conflitti mondiali: durante la guerra del ’15-’18, con i combattimenti al Passo del Tonale – una dozzina di chilometri di distanza dal villaggio – i cittadini furono evacuati a Mitterndorf, nella Bassa Austria. Nella Seconda guerra mondiale, quando Vermiglio era italiana, quella fu zona di battaglie partigiane, e rappresaglie nazifasciste. È in questo periodo storico, a partire dal 1944, che si sviluppa il film di Delpero, che segna anche il suo ritorno alla regia a cinque anni di distanza dall’apprezzato Maternal, che prese parte al concorso di Locarno tornando a casa con una menzione speciale. Mentre le truppe tedesche continuano ad avere controllo dell’area alpina, a Vermiglio il paese discute di una questione che li tocca da vicino: la famiglia del maestro ha infatti deciso di ospitare nel masetto dove tengono il fieno tanto il nipote dell’insegnante quanto un suo commilitone, entrambi disertori. Nessuno ovviamente ha il coraggio di denunciare alcunché, ma basta questo dettaglio a incrinare l’apparente tranquillità del luogo, la sua placida reiterazione di gesti e situazioni, così naturale da accettare senza eccessivi drammi – di nuovo, all’apparenza – anche la morte di uno o due infanti. Perché la vita è così, verrebbe da dire. Delpero parte dalle proprie origini, dedica il film ai suoi affetti più cari, e dopo aver descritto la storia di una suora novizia e due ragazze-madri all’interno di un hogar a Buenos Aires si concentra sui suoi avi, sulla gente da cui proviene, e dunque anche sulla dialettica tra tradizione rurale e (ac)cenni di modernità.
In questo senso il personaggio chiave non può che essere quello del capofamiglia, interpretato da un sempre eccellente Tommaso Ragno, nonostante non si tratti del vero e proprio protagonista della vicenda – quelle sono tre delle figlie, che vanno dai ventuno ai dodici anni. È lui a destabilizzare di suo Vermiglio, l’intellettuale del posto che legge il giornale nella locanda dove gli altri giocano a carte, insegna la mattina ai bambini e agli adolescenti e la sera agli anziani, e nonostante la misera paga e ben sette figli da nutrire non si nega un prezioso vinile fatto arrivare dalla “città”. È lui, con quel chiaroscuro che accompagna tutte le descrizioni umane di Delpero, a razzolare bene e pascolare male, insegnando ai concittadini l’accettazione del diverso (il commilitone di suo nipote è siciliano, e per di più si innamora ricambiato della sua figlia maggiore, Lucia) ma non evitando un dispotismo ai limiti della monarchia assoluta in casa, dove tutto deve essere fatto seguendo i suoi dettami – ai figli è perfino negato poter sfogliare una cartina geografica, perché le loro dita potrebbero sporcare e rovinare il foglio. Pater familias di un sistema che si protrae sempre uguale a sé da secoli, il signor Graziadei vive in un eremo intellettuale che non può essere scalfito, e non vedere fino in fondo la realtà al di fuori. Delpero però predilige lo sguardo ad altezza ragazza, e nella dialettica tra Lucia, Ada e Flavia trova il senso di un mondo in sommovimento dove non è detto che tutto cambi. La famiglia non può permettersi tre figlie che proseguono nello studio, e così Ada per scelta indiscutibile del padre e maestro non potrà andare oltre il diploma, che viene persino negato con gesto autoritario al figlio maggiore, quello che una volta incontrò un’orsa sul suo cammino, e che più di ogni altro sembra ancorato alla terra, unica sostanza di vita materiale là dove Chopin può nutrire l’animo e lenire il dolore.
C’è un malessere profondo che attraversa le pieghe di Vermiglio, ed è il dolore di essere vivi, e di conoscere la propria finitezza, fisica, e persino morale. L’amore è solo una distrazione, perché gli affetti devono spostarsi – chi per farsi vivo con i famigliari in Sicilia chi, come la coetanea sbarazzina di cui si è invaghita Ada, per cercare fortuna con la madre nell’America del Sud, in Cile. Intanto, un po’ incanalandosi nel solco di Ermanno Olmi o di Georges Rouquier, Delpero attraversa produttivamente le stagioni, assecondandone i ritmi e dunque in qualche modo spezzando a sua volta una ritualità, quella dell’asettica produzione contemporanea che riduce tutto a un format predigerito. Qui si torna invece a respirare cinema d’altri tempi, grazie anche allo splendido lavoro fotografico di Mikhail Krichman (già dop per Aleksei Fedorchenko e Andrey Zvyagintsev) e a una ricerca dell’immagine che sappia contenere al proprio interno una struttura narrativa anche classica con il lavoro sul territorio, su un non-professionismo che vivifica volti, gesti, posture, e permette a Vermiglio di stagliarsi lontano dalla prassi, dall’idea stessa di confezione. Così anche alcune fragilità e forzature, o i passaggi meno ispirati, trovano un contraltare ideale, aprendosi comunque alla vita – quell’attesa della posta che non arriva, per esempio, o l’ipotesi che chi è torna dalla guerra nasconda sempre dei segreti – e al racconto di un’umanità disadorna, dimenticata dal tempo e dalla Storia, abbandonata a una geografia periferica, montanara, confinata e di confine. C’è una tempra morale, nel cinema di Delpero, che non si tramuta mai in moralismo – contrariamente a quel che opera il personaggio di Ragno – e che in questi tempi bui per la produzione italiana appare un elemento prezioso da preservare.
Info
Vermiglio sul sito della Biennale.
- Genere: drammatico, storico
- Titolo originale: Vermiglio
- Paese/Anno: Belgio, Francia, Italia | 2024
- Regia: Maura Delpero
- Sceneggiatura: Maura Delpero
- Fotografia: Mikhail Krichman
- Montaggio: Luca Mattei
- Interpreti: Anna Thaler, Carlotta Gamba, Enrico Panizza, Giuseppe De Domenico, Luis Thaler, Martina Scrinzi, Orietta Notari, Patrick Gardner, Rachele Potrich, Roberta Rovelli, Santiago Fondevila Sancet, Sara Serraiocco, Simone Bendetti, Tommaso Ragno
- Colonna sonora: Matteo Franceschini
- Produzione: Charades, Cinedora, Versus Production
- Distribuzione: Lucky Red
- Durata: 119'
- Data di uscita: 19/09/2024