Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto

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Titolo fra i più noti e di maggior successo nella filmografia di Lina Wertmüller, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto si propone come un apologo facile facile sulle divisioni socio-politiche dell’Italia del tempo e sui ruoli di uomo e donna, valorizzando una coppia di istrioni protagonisti (Giancarlo Giannini e Mariangela Melato) giunti all’apice della loro popolarità presso il pubblico. Presentato in versione restaurata alla Mostra del Cinema 2024 per Venezia Classici.

Così ridevano

Bella e ricca signora milanese in viaggio nei mari della Sardegna con la sua lussuosa imbarcazione, Raffaella Pavone Lanzetti fa naufragio su un’isola deserta insieme a Gennarino Carunchio, uno dei marinai al suo servizio, siciliano arretrato dall’aspetto arruffato e fedelissimo sostenitore del Partito Comunista Italiano. Sulle prime Gennarino approfitta della situazione per rifarsi sulla signora di tutte le ingiustizie subite. Poi, i due vanno a poco a poco incontro a una regressione verso una sorta di stato di natura, e Raffaella riscopre il piacere di essere sottomessa a un’incarnazione di maschio da età della pietra. [sinossi]

Battaglia fra i sessi e scontro di classe sono sempre state alcune delle parole d’ordine più ricorrenti nel cinema di Lina Wertmüller. Dopo aver scoperto l’ottima sinergia fra Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, la regista realizzò l’ormai proverbiale Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), uno dei più grandi successi della sua carriera, dove il duo di protagonisti si trovò ad affrontare un’occasione istrionica di prim’ordine. Assoluti protagonisti in solitaria per quasi tutta la durata del film, Giannini e Melato dettero vita a due caratteri rimasti stampati a fuoco nell’immaginario collettivo non soltanto italiano – di circa trent’anni dopo è il fallimentare remake americano, Travolti dal destino (2002), per la regia di Guy Ritchie con Madonna e Adriano Giannini come protagonisti. È nota infatti l’estrema popolarità della Wertmüller in terra d’America, coronata dalle candidature all’Oscar ricevute per Pasqualino Settebellezze (1975), che diede alla regista l’onore di essere la prima donna della storia candidata alla statuetta per la migliore regia – e rimase l’unica per quasi un altro ventennio. Se gli Stati Uniti hanno sempre apprezzato il cinema italiano nei suoi colori accesi, luoghi comuni e tinte forti, con il cinema della Wertmüller trovarono pane per i loro denti. Il cinema dell’autrice si è sempre caratterizzato infatti per lo sfrenato gusto per il grottesco, l’eccesso dialettale, i fortissimi toni distorsivi nel disegno anche fisico dei suoi personaggi. Anche Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto non fa eccezione. Esordisce con una mezz’ora di smisurati didascalismi, in cui si compone un rapido elenco delle questioni più scottanti in ambito socio-politico nell’Italia del tempo. PCI e DC, Compromesso Storico, referendum sul divorzio, referendum sull’aborto, emancipazione della donna, la questione del Sud, l’arroganza snob dei ricchi, l’arretratezza dei meridionali, e via così. Basti pensare al rapido tratteggio del personaggio di Eros Pagni, affidato per tutto il tempo della sua apparizione a urla e smorfie come quelle di un cartoon.

È vicino al cartoon, del resto, pure il disegno dei due protagonisti, la ricca e logorroica Raffaella Pavone Lanzetti che maltratta i propri sottoposti, ridotti pressoché a schiavi, e lo spettinato Gennarino Carunchio, a servizio sulla barca della signora e affezionatissimo alla propria fede comunista. Alla Wertmüller sono sempre piaciuti i riferimenti immediati alla cronaca del tempo, il gusto nazionalpopolare per il macchiettone regionale con rapidi affondi nella realtà socio-antropologica dell’Italia coeva. Presto fatto: il film si avvita fin da subito intorno a un gioco delle parti fra ricchi e poveri, spaventati filo-governativi e convinti comunisti. E soprattutto, più di ogni altra cosa, le contraddizioni dei rapporti fra uomo e donna e dei rispettivi ruoli sociali, che mettono altresì in discussione le proporzioni fra progressisti e conservatori. La ricca Raffaella è infatti rappresentante di un’emancipazione femminile che di contro è assai poco condivisa dal comunista Gennarino, del tutto fedele a un retaggio socio-antropologico del profondo Sud secondo il quale la donna è ancora vista come sottomessa e asservita. In sede di soggetto e sceneggiatura Lina Wertmüller escogita l’idea brillante di un naufragio in mare che allontani Gennarino e Raffaella dal mondo su un’isola deserta, dove spogliarsi a poco a poco di qualsiasi sovrastruttura culturale riapprodando, novelli Robinson Crusoe e Venerdì in versione femminile, a una sorta di stato di natura in cui il mondo del progresso è del tutto tagliato fuori. Ovviamente Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto non va assolutamente per il sottile, e tale regressione verso ancestrali dinamiche fra uomo e donna è all’insegna di botte e sganassoni, finanche di un accennato stupro che all’ultimo non avviene per uno scatto di dignità e amor proprio da parte di Gennarino, e anche per il suo rifugiarsi per l’ennesima volta nella propria remota cultura meridionale – se Raffaella deve essergli sottomessa, allora deve innamorarsi, secondo vecchi schemi in cui l’uomo sia il solo e unico riferimento per una donna in autentica venerazione nei suoi confronti. Va da sé che tale scontro verbale e fisico coinvolge anche una sorta di vendetta dal basso del proletariato contro i soprusi storicamente subiti da parte della classe dominante. Rivalendosi su Raffaella, Gennarino infila una rivendicazione politica dopo l’altra, tanto che la sventurata donna finisce per chiedersi più volte perché debba essere proprio lei il capro espiatorio di tutte le ingiustizie sociali del mondo – e a conti fatti la Wertmüller sembra alludere a un eterno destino umano di dominatori e schiavi, visto che pure Gennarino, una volta acquisito il potere nei confronti di Raffaella, finisce rapidamente preda del fascino del comando. Il gioco fra Giannini e Melato può dirsi riuscito, qua e là anche gustoso, soprattutto per la capacità dei due attori di aderire all’esagitato grottesco wertmülleriano tramite tutta una serie di distorsioni comportamentali – con il suo capello scompigliato e il forte accento siciliano Giannini ha gioco facile, mentre è assai più costruita la fisionomia di Raffaella, dotata di parlantina milanese, slang modernista e una precisissima erre moscia da salotto buono.

Una volta compiuta l’operazione di sottomissione nei confronti della donna, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto si apre a una breve sezione di idillio amoroso all’insegna del ritorno all’età della pietra. Spogliarsi di tutto, di qualsiasi steccato sociale, di tutto ciò che si impara vivendo in società, per recuperare una condizione di Eden perpetuo, dove secondo gli schemi di un fotoromanzo autoironico la donna riscopre e riapprezza il piacere di essere subalterna al totem incarnato dal maschio. Siamo ovviamente nel conclamato paradosso grottesco, tanto amato e perseguito dallaWertmüller lungo un’intera carriera, ed è sagace (sebbene piuttosto prevedibile) lo scioglimento all’insegna di un generale ritorno all’ordine. Gennarino esige la prova d’amore più assoluta, e cioè il riconoscimento sociale della loro relazione. E una volta di più la metà ricca del mondo inganna quella povera, stavolta tramite l’umiliazione dei sentimenti. In tal senso Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto si delinea per un apologo in tutto coerente al profilo della sua autrice, che se non altro stavolta si avvale della fotografia di Ennio Guarnieri, funzionale ad ammorbidire gli eccessi di messinscena tipici della regista. Il pubblico dell’epoca gradiva molto, probabilmente per un moto di immediata identificazione con i coevi conflitti sociali, messi in burletta ma anche analizzati con didascalica e urgente franchezza. Poi certo a conti fatti lo spessore resta quello di un cartoon scritto sulla carta velina, ma innegabilmente non difettava all’autrice il fiuto per i gusti del pubblico, compresa anche una certa deriva verso la calligrafia da cartolina negli indugi sui paesaggi marini della Sardegna.

Restano i dubbi di sempre sull’estetica del cinema di Lina Wertmüller. Non estranea a esperienze nello spaghetti western, la regista ha spesso sposato uno stile volutamente caotico e farraginoso, incurante della grammatica classica ma nemmeno interessato a discutere il cinema come dispositivo, affezionato a un’idea di montaggio rapsodico e disordinato, fautore di zoom rapidi e violenti, dedito a una netta prevalenza di primi e primissimi piani, indulgente verso un doppiaggio zeppo di fuori sincrono. In qualche modo pare di assistere a modalità espressive da spaghetti western di seconda fascia riapplicate alla commedia all’italiana, riletta secondo coordinate anche abbastanza distanti dal canone anni Sessanta. Ne esce fuori un’identità stilistica riconoscibilissima ma della quale non se ne comprende lo scopo ultimo. È anche un po’ la zavorra di molto del cinema wertmülleriano, che spesso ha prodotto soggetti e sceneggiature gustosi e piacevoli ma vittime della loro veste formale – e infatti si finiscono per preferire opere più misurate (con le debite proporzioni) come Film d’amore e d’anarchia (1973) e Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada (1983), due delle sue prove più compatte e compiute. Eppure il cinema della Wertmüller è stato anche una delle carte più sicure al botteghino italiano almeno lungo gli anni Settanta, e Giannini-Melato andarono a infoltire la tradizione italiana di coppie brillanti amatissime dal pubblico come Mastroianni-Loren e Sordi-Vitti – tra l’altro, gli sganassoni sulla spiaggia ricordano un po’ le botte sul litorale di Sabaudia in Amore mio aiutami (Alberto Sordi, 1969). In epoca di politicamente corretto e di cancel culture viene da pensare che Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto acquisisca almeno un valore aggiunto in diacronia. Tra un “bottana industriale” e l’altro la libertà espressiva dimostrata da una simile opera è assolutamente inconcepibile ai giorni nostri, considerato poi che si tratta di un film costruito per essere offerto al grande pubblico. Qua e là, nei suoi accenti maneschi e brutali, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto conserva pure qualche margine di rabbrividente. L’Italia del tempo invece rideva. Così ridevano.

Info
Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, un trailer.

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