Roma 2012 – CinemaXXI – Presentazione
Tra le novità introdotte dal nuovo direttore artistico Marco Müller per Roma 2012, settima edizione del festival/festa, la più affascinante è sicuramente quella che riguarda la neonata sezione CinemaXXI, vero e proprio segnale di rinnovamento per una kermesse che sembra avere davvero intenzione di cambiare volto. Le verrà concesso?
Roma anno zero. Se si dovesse scegliere un elemento, e uno solo, in grado di segnalare con precisione il rinnovamento in corso all’interno dei lavori del Festival Internazionale del Film di Roma, quello sarebbe senza dubbio alcuno rappresentato dalla sezione CinemaXXI. Un’impressione che aveva preso corpo già a ridosso della presentazione ufficiale della kermesse capitolina, lo scorso 10 ottobre nella Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica, e che è stata ribadita con forza nella sala video del Maxxi, dove si è tenuta la conferenza stampa dedicata esclusivamente alla sezione. Ed è significativo che questo percorso parta proprio dal museo dedicato alle arti del Ventunesimo Secolo: uscendo dall’Auditorium il festival non poteva infatti trovare un luogo più adeguato per dare sfogo a quell’esigenza di cinema espanso, deflagrato, irruento e “fuori formato” (per usare una formula cara allo stesso direttore del festival) che sottolinea uno dei percorsi più coerenti della linea mülleriana. CinemaXXI nel 2012 non fa infatti altro che dare continuità a quell’esperienza unica e rigenerante che fu rintracciabile negli Orizzonti veneziani sotto l’egida di Marco Müller: un luogo altro, non in antitesi con il concorso principale, ma in grado di racchiudere al proprio interno idee, intuizioni e intenzioni che abbiano la forza, ancora oggi, di ragionare con viva lucidità sul senso dell’immagine, sull’urgenza della messa in scena, sul dovere/piacere/potere dello sguardo.
Il corpo che fu reciso al Lido con il mancato rinnovo del contratto a Müller riparte dunque nel quartiere Flaminio, ribadendo la propria esigenza poetica e il ruolo da svolgere. Non è con ogni probabilità un caso che dopo il lungo ed esaustivo intervento di Müller la conferenza stampa non si sia infiammata dell’abituale botta e risposta tra i giornalisti convenuti e il direttore: se da un lato infatti il luogo non si prestava alla gragnola di effimere polemiche che con troppa studiata metodicità stanno accompagnando le uscite ufficiali di Müller, dall’altro per buona parte degli addetti ai lavori abituati alle edizioni passate del festival (o festa che dir si voglia) i titoli e i registi presenti nella selezione rappresentano un vero e proprio salto nel buio. Nomi come Amos Poe (A Walk in the Park), Margarida Gil (O fantasma do Novais), Xu Haofeng (Judge Archer), Avi Mograbi (Dans un jardin je suis entré), Laila Pakalnina (Pizzas), solo per citare alcuni degli autori più significativi tra quelli selezionati, raffigurano con il loro cinema universi finora nemmeno evocati all’Auditorium, brandelli d’arte che avevano trovato asilo a Roma. Senza dimenticare, ovviamente, che in CinemaXXI sarà possibile rintracciare schegge di follia dei vari Júlio Bressane, Aki Kaurismäki, Pedro Costa, Victor Erice, Manoel de Oliveira, Atom Egoyan, Guy Maddin, Theo Angelopoulos, Wim Wenders, Paul Verhoeven, João Botelho, impegnati in progetti di varia forma e formato, a certificare ulteriormente – qualora ce ne fosse bisogno – l’assoluta ricchezza di una programmazione che con troppa facilità è stata snobbata da alcuni per l’assenza di questo o di quel titolo.
L’impressione è che CinemaXXI abbia il compito di fungere da testa d’ariete del progetto di Marco Müller, cantiere aperto che avrà bisogno di tempo e di fiducia per stabilizzarsi definitivamente, sempre che questo sia l’obbiettivo. Perché la fame di cinema – inteso nella sua essenza primigenia di immagine in movimento – spinge il nuovo corpo capitolino sempre un passo oltre, alla ricerca di lande ancora inesplorate, isole disperse su mappe ancora fortunatamente incomplete: un cinema che non ha più bisogno di rinchiudersi dentro le gabbie, a volte realmente troppo strette, della suddivisione in fiction, documentario o “sperimentale”, e che può anche permettersi il lusso di sfondare i recinti di durata, formato, tecnica di produzione e di riproduzione. È così che trova spazio a Roma anche il cortometraggio, espressione cinematografica finora lasciata in secondo piano nella kermesse capitolina. Ventitré i titoli in concorso tra quelli che non superano l’ora di durata: tra questi alcuni aficionados dell’esperienza lidense come Yuri Ancarani, Eugenio Polgovsky, Amit Dutta, gli Zapruder Filmmakers Group, ma anche molti altri artisti più o meno conosciuti a livello internazionale. Fra questi fa particolarmente piacere ritrovare Michael Almereyda, regista statunitense che presenterà The Ogre’s Feathers, venti minuti che rileggono la fiaba di Italo Calvino in chiave contemporanea. Ma sarebbe in ogni caso riduttivo fermarsi a una mera elencazione dei “presenti”, perché il vero senso di CinemaXXI risiede nel progetto a monte, che trascina con sé decenni di esperienza nell’edificazione di festival: rinnovandosi ogni volta, e ripartendo da capo. Cinema muta-forma, sfrenato e lirico, impossibile da racchiudere e classificare. Come il “battito delle stelle” citato nel titolo del film di Júlio Bressane (O batuque dos astros), alla ricerca di una nuova veste da far indossare a Fernando Pessoa.