Good – L’indifferenza del bene

Good – L’indifferenza del bene

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La parabola del professor John Halder, dal timido saluto nazista all’uniforme delle SS indossata con un misto di inquietudine e fierezza, si offre a dibattiti di carattere storico e cinematografico, ma si rivela un ostacolo ancora troppo arduo per un regista al secondo lungometraggio. L’adattamento sul grande schermo di Good non era, in ogni caso, un’impresa facile. Presentato al Festival di Roma 2008.

Tutti i nazi vengono al pettine

John Halder è un professore di letteratura nella Germania del 1933. Sposato con una moglie nevrotica, padre di due bambini e figlio di una madre affetta da demenza senile, Halder scrive e pubblica un libro sull’eutanasia, che accende l’interesse delle alte sfere politiche del partito nazista. Deciso a fare del suo romanzo uno strumento di propaganda che giustifichi l’eliminazione fisica dei degenti fisicamente e psicologicamente invalidi, il partito chiede al professore di scrivere un saggio compassionevole sull’argomento. La stesura del testo critico e la relazione con una giovane allieva ambiziosa lo condurranno lentamente ma inesorabilmente a tradire la bellezza e il “buono” della sua vita. Colluso con un regime in procinto di occupare l’Europa e produrre l’indicibile orrore, Halder navigherà verso le derive del nazismo, condannando il suo amico Maurice, psichiatra ebreo, alla deportazione… [sinossi]

Nell’affrontare determinate tematiche, seppur con le migliori intenzioni, bisogna sempre tener conto del contenuto, indubbiamente aspetto primario, e della forma, pur sempre elemento determinante della settima arte. Mettere in scena la cupa parentesi del nazionalsocialismo, con tutti i tragici annessi e connessi, rimane e rimarrà, nonostante il passare dei decenni e l’accumularsi di opere cinematografiche, un’impresa complessa e assai rischiosa. La trappola dei cliché e della declinazione schematica è sempre dietro l’angolo: le buone intenzioni, al limite, possono bastare per un’educativa proiezione per le scuole o per uno sceneggiato in due puntate sulle reti nazionali. Insomma, no good

Il film di Vicente Amorin, austriaco di nascita ma brasiliano di formazione, rientra nella categoria dei film lodevoli sulla carta ma irrisolti e per molti versi insoddisfacenti – valga come esempio il troppo celebrato La rosa bianca di Marc Rothemund. Oltre a un cast di pregio (non solo Viggo Mortensen, ma anche l’intenso Jason Isaacs e le tre donne che ruotano attorno al protagonista: Gemma Jones, Jodie Whittaker e Anastasia Hille), a salvare parzialmente Good è la buona idea di portare sulla scena un personaggio che rappresenta tutti coloro che hanno abbracciato il nazismo quasi per osmosi, proiettandosi in una dimensione altra, in una sorta di rimosso quotidiano. Il nazista Halder, “professore” per gli amici e per le apparenze, è un  personaggio emblematico, simbolo universale di un modo di vivere fin troppo comune. In questo senso, Good travalica il periodo storico e si offre come ritratto valido per tutte le stagioni. Halder è l’intellettuale che cerca di nascondersi dietro un buon senso spudoratamente vigliacco, è la persona rispettabile che per mal celata convenienza sale sul carro del vincitore, perchè la propria vita (lavoro, ricchezza e via discorrendo) è il centro del mondo. Gli ideali in fin dei conti si posso adattare.
Halder è l’individuo che riesce, con qualche difficoltà, a dimenticare, cancellando idee, buoni propositi, legami familiari. Professore emerito e ideale veicolo propagandistico per il grande disegno nazista, Halder scivola lentamente verso l’Inferno, liberandosi di qualsiasi fardello (madre, moglie, amico) pur di percorrere la via più facile e seducente. Più della evitabile sequenza dello specchio (metafora annunciata e di cattivo gusto) e del finale nel campo di concentramento (e qui i cliché abbondano, appesantiti da una messa in scena piatta), preferiamo ricordare i confronti con l’amico ebreo Maurice, sorta di coscienza inascoltata e infine tradita: sequenze che in buona parte si reggono sulle prove attoriali, ma che hanno il dono della sintesi e della efficacia. Il confronto intellettuale tra Halder e Maurice vale, infatti, molto più di scolastiche carrellate sui lager, di metaforiche allucinazioni sonore e di rapporti orali consumati grazie a una luccicante divisa nazista.

La parabola del “professore”, dal timido saluto nazista all’uniforme delle SS indossata con un misto di inquietudine e fierezza, si offre a dibattiti di carattere storico e cinematografico, ma si rivela un ostacolo ancora troppo arduo per un regista al suo secondo lungometraggio. Non era, in ogni caso, un’impresa facile.

Info
Il sito ufficiale di Good.
Good su CG Movie Channel.
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