Confessions

Confessions

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Con Confessions il regista giapponese Tetsuya Nakashima scava nel folle dolore di una madre che ha perso la sua bambina di quattro anni. E che vuole vendicarsi…

La classe

Siamo in marzo al termine dell’anno scolastico giapponese e la professoressa Moriguchi (Takako Matsu) che ha perso la sua figlioletta di 4 anni, annuncia che sta per lasciare l’insegnamento. In una lunga confessione davanti a tutta la classe racconta la sua versione dei fatti, secondo cui la figlia sarebbe stata uccisa da due studenti che la professoressa decide di rovinare attraverso una vendetta tanto gelida quanto crudele. Ma non sempre le cose sono come appaiono e la ripresa dell’anno scolastico sarà l’occasione per altre confessioni di alcuni studenti implicati nella tragedia… [Sinossi]
Per vedere Confessions su Mymoves il 10 aprile 2020, clicca a questo link.
Schizzato al primo posto del botteghino giapponese già dopo un week-end di proiezioni (per poi mantenere saldamente la vetta), Kokuhaku (Confessions) non è solo il film di Tetsuya Nakashima che a livello di pubblico sta riscuotendo più successo, ma è probabilmente anche quello meglio riuscito. Dopo le folgoranti esplosioni pop di Kamikaze Girls (2004) e Memories of Matsuko (2006) e il deludente (almeno per chi scrive) Paco and the Magical Book (2008), quest’ultimo lavoro si immerge senza esitazioni e restrizioni di sorta in una zona più oscura e cupa, percorso che in parte era già presente nel suo lavoro del 2006. Va detto fin da subito che si tratta di un film ad alto budget e accompagnato da un battage pubblicitario battente: e non potrebbe essere altrimenti vista la presenza della nota Takako Matsu, autrice per altro di una buona prova di attrice. Detto ciò, i meriti di Nakashima risultano ancora più apprezzabili, soprattutto se si considera la costruzione quasi a spirale del film con l’ossessivo e lento scavo nella psiche dei personaggi e della società giapponese stessa. I fatti nella loro crudezza sono tutti, o  quasi tutti se si esclude il finale, esplicati nei primi quarantacinque minuti, composti dalla prima e più lunga confessione, quella dell’insegnante Moriguchi. Il resto del film procede per blocchi narrativi scanditi e formati dalle confessioni degli altri protagonisti della storia per andare a comporre una sorta di viaggio all’interno delle radici del male e della violenza. Siamo nell’ambiente della scuola giapponese, ma come ci hanno insegnato anni ed anni di visioni animate, è proprio questo un luogo privilegiato per osservare le dinamiche sociali tout court e lo sviluppo e la degenerazione dei rapporti che intercorrono fra le persone. Ad accompagnare le scene, o meglio a fondersi con esse, c’è una parte sonora che come negli altri lavori del regista, ha un ruolo molto importante. Le musiche ipnotiche sono ad esempio parte integrante della lunga confessione/racconto dell’insegnante, forse la parte migliore di questo Confessions. Particolarmente azzeccata, anche se talvolta invadente, ci è sembrata inoltre la scelta di usare Last Flowers dei Radiohead [1] nel proseguio dell’opera per punteggiare alcune delle scene più drammatiche.
Affrontando un film di Nakashima non si può non parlare del suo inconfondibile ed eccessivo stile visivo che caratterizza tutte le opere. Anche qui sbocciano un profluvio di stili, filtri e angolature diverse, frequenti immagini del cielo si incrociano a scene realizzate riprendendo uno specchio convesso; è frequentissimo inoltre l’uso della slow motion, compreso il folgorante inizio con la rappresentazione della caotica attività degli studenti in classe. Il ritmo narrativo è molto alto, i centosei minuti del film passano davvero in un baleno, i titoli di testa, come già in Love Exposure di Sion Sono, partono dopo i primi tre quarti d’ora, al termine della confessione della professoressa per poi lasciare spazio alle confessioni degli altri protagonisti.
È un film cupo che ben poco lascia alla speranza ed è anche un’opera in cui, diversamente da altri suoi lavori, Nakashima ci mostra molta violenza fisica, spesso sublimata. Qui forse giace uno dei limiti di Confessions, quando la tecnica e l’effetto cioè prendono un po’ troppo il sopravvento lasciando che la storia si sfilacci, anche quando le poche parti comiche presenti nel film non riescono a fondersi bene con l’elemento narrativo. La tensione però ritorna prepotentemente per il finale, chiaro omaggio, almeno così l’abbiamo interpretato noi, alla liberatoria e pinkfloydiana esplosione in Zabriskie Point di Antonioni.
Ciò che ci è piaciuto maggiormente del film sono le tematiche affrontate, che seppur a prima vista apparentemente banali, il film riesce a presentarci in modo complesso e doloroso nella sua crudezza. Sbagliato sarebbe limitare la portata dei temi affrontati solo nell’ambito scolastico: in verità alcuni sono presenti, specialmente se ci si accontenta di uno sguardo di superficie, come il bullismo o il fenomeno degli hikikomori [2]. Uno dei meriti del film invece è proprio quello, come si diceva all’inizio, di riuscire ad andare fino in fondo, di analizzare provenienza e origine di questi fenomeni, o meglio di demolire le barriere che denominano questi stessi fenomeni come tipicamente adolescenziali.
Dall’inizio alla fine, a soffrire ed essere traumatizzati e incapaci a vivere sono soprattutto gli adulti, le ferite aperte nella psiche dei tre adolescenti protagonisti del film sono anche le stesse, magari nascoste da una facciata di maturità, che tormentano gli adulti. Non c’è salvezza nel film, tutti sono in maniera maggiore o minore, portatori di una parte oscura, di una gratuità del male che è lampante non tanto nel caso più eclatante dei due assassini della piccola, ma nella cattiveria del bullismo di tutti gli studenti, tutti. L’unica cosa che rimane da fare è allora urlare a squarciagola, così come fanno molti dei protagonisti, un grido che viene dal profondo e che riveli la tragica impasse in cui si è invischiati. Non esiste  purezza, forse solo la figlioletta di Moriguchi si salva ed è per questo che diviene l’elemento sacrificale, tutti gli altri sono sempre portatori di una malvagità che sembra una parte ineliminabile dal nostro essere umani. È in questo contesto allora che l’adolescenza è il periodo in cui questo doloroso paradosso si mostra in tutta la sua pesantezza e in tutta la sua sconvolgente bellezza.
Note
1. Il gruppo britannico ha acconsentito a usare per Confessions un brano che non era incluso nella versione giapponese di In Rainbows. Vedi su youtube.
2. Uno dei termini più abusati e usati a sproposito dalla stampa occidentale. Vedi la scheda su wikipedia.
Info
La scheda di Confessions sul sito della Tucker Film.
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