The Child's Eye (2010) Recensione

Horror che prova maldestramente a essere per tutti, eliminando qualsiasi scena raccapricciante e virando inizialmente verso la horror comedy, The Child’s Eye non è sostenuto da un buon soggetto, non è visivamente ispirato, non può soddisfare i fan del genere, golosi di effetti grandguignoleschi e salti sulla poltrona, e si esaurisce in qualche compassato movimento di macchina sugli occhi sgranati e impauriti dei giovani protagonisti. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2010.

Tale cane, tale figlio

Bloccati in Thailandia dai tumulti politici e dalla chiusura dell’aeroporto, Rainie e i suoi amici non possono tornare a casa e si stabiliscono con riluttanza in un vecchio albergo scalcinato. Assieme a lei ci sono Lok, il ragazzo che Rainie sta quasi per lasciare, Ling e suo fratello Rex e Ciwi assieme al suo adorato Hei, il suo compagno. Appena si presenta in albergo, il gruppo si imbatte in tre bizzarri bambini e in un cagnolino e da quel momento cominciano a susseguirsi strani avvenimenti. Il giorno dopo Lok, Rex e Hei spariscono nello stesso momento. Le tre ragazze perlustrano tutto l’albergo nella speranza di ritrovare i tre giovani scomparsi, ma ogni tentativo è vano. Decise a salvare i loro amici dispersi, le ragazze si fanno coraggio per scoprire la verità e più indagano, più spaventosi sono i fatti che vengono alla luce nello squallido albergo… [sinossi]

I Pang Brothers, Oxide e Danny, sono abbastanza noti nel Bel Paese grazie al discreto The Eye (2002), film che riproponeva con una certa efficacia le suggestioni del j-horror. Cineasti dagli alti ritmi produttivi, fedeli alle logiche del botteghino, i gemelli Pang non potevano che approdare al cinema tridimensionale. La presenza fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia del poco ispirato The Child’s Eye è giustificata proprio da quel 3D che accompagna il titolo originale sul programma festivaliero, spesso un campanello d’allarme per lo spettatore più attento. Ma i nuovi orizzonti del cinema, produttivi e/o artistici, vanno comunque esplorati, anche a costo di imbattersi in pellicole che hanno poco o nulla da dire, anche dal punto di vista squisitamente tecnico.

L’horror in tre dimensioni dei Pang purtroppo finisce paradossalmente per appiattirsi stancamente sui soliti stereotipi del genere, sia nella narrazione che nella messa in scena, nonostante qualche divertente spunto nella parte iniziale. Penalizzato da una proiezione non all’altezza, il 3D si dimostra un maldestro specchietto per le allodole, come nella maggior parte delle odierne produzioni: il linguaggio cinematografico dei Pang non muta di una virgola, non si adegua al 3D, non cerca di sfruttare la prodigiosa profondità di campo.
Horror che prova maldestramente a essere “per tutti”, eliminando qualsiasi scena raccapricciante e virando inizialmente verso la horror comedy (la sequenza più riuscita del film è proprio la gag del fantasma visibile solo agli occhi dei tre inquietanti ragazzini), The Child’s Eye non è sostenuto da un buon soggetto, non è visivamente ispirato, non può soddisfare i fan del genere, golosi di effetti grandguignoleschi e salti sulla poltrona, e si esaurisce in qualche compassato movimento di macchina sugli occhi sgranati e impauriti dei giovani protagonisti. Decisamente troppo poco. Molto meglio, allora, nonostante una trama ampiamente prevedibile e abusata, Shock Labyrinth: Extreme di Takashi Shimizu, altro horror presentato a Venezia, che cerca quantomeno di sfruttare le tre dimensioni per arricchire il limitato spazio scenico.

Il sospetto, per The Child’s Eye come per molti altri progetti, è che l’eccessivo entusiasmo per il 3D (per gli incassi del 3D) stia fagocitando qualsiasi tentativo di scrittura, qualsiasi sforzo creativo. Indubbiamente stimolante dal punto di vista visivo, la tridimensionalità si sta riducendo a un mero effetto speciale, come nei peggiori blockbuster hollywoodiani. La svolta epocale promessa da Avatar sembra davvero lontana.