Le démantèlement

Le démantèlement

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Sébastien Pilote disegna con Le démantèlement una parabola amara, una marcia funebre anticipata. La vita e la fattoria di Gaby svaniscono mattone dopo mattone.

Avrò cura di te

Gaby manda avanti la sua fattoria da una vita. Il suo matrimonio è andato a rotoli, le due figlie vivono da tempo a Montréal e hanno pochi contatti con lui. Quando la maggiore gli chiede un aiuto economico, lui è pronto a mettere in discussione la sua vita… [sinossi]
Chiedete alle donne quali uomini preferiscono: gli ambiziosi.
Gli ambiziosi hanno le reni più resistenti, il sangue più ricco di ferro,
il cuore più caldo degli altri uomini.
da Papà Goriot di Honoré de Balzac

È facile smarrirsi nei panorami rurali del lungometraggio canadese Le démantèlement, opera seconda di Sébastien Pilote in concorso alla trentunesima edizione del Torino Film Festival [1]. Immersi a più riprese tra distese dai colori autunnali, rilassanti pascoli di pecore, tramonti e placidi laghi, ci si lascia andare, beandosi di un paesaggio culturale che sembra quasi incontaminato, testimonianza timida e positiva di una fertile interazione tra uomo e natura. I campi e i pascoli di Gaby Gagnon, allevatore dai modi spicci ma dal cuore troppo tenero, sono un vero e proprio luogo altro, un’oasi di tranquillità che sembra così distante dalla pur vicina e non caotica cittadina provinciale.
Le immagini e la colonna sonora garbatamente country enfatizzano il cliché della vita campagnola, dura ma sana, dura ma onesta. Dura e solitaria. E di solitudine e durezza è intrisa l’operetta morale minimalista Le démantèlement, che tratteggia, prendendo ispirazione da rapporto padre/figlie di Papà Goriot di Honoré de Balzac, un quadro a suo modo spietato della società odierna, dell’universo ipertrofico e superficiale che circonda e lentamente soffoca Gaby e la sua fattoria. È una resa inevitabile, un sacrificio fuori dal tempo, legato a una moralità che sta svanendo o che forse è già svanita: Gaby Gagnon, ben interpretato da un silente ma comunicativo Gabriel Arcand, è un uomo del passato, un uomo che probabilmente sarebbe stato capace di affrontare l’incessante vento del capolavoro Il cavallo di Torino di Béla Tarr. Un uomo senza computer, con cappellino in testa e fedele cane al seguito. Giorno dopo giorno. Anno dopo anno.

Sébastien Pilote, già premio Cipputi a Torino nel 2011 per il lungometraggio d’esordio Le vendeur, disegna una parabola amara, una marcia funebre anticipata, uno smantellamento doloroso. La vita e la fattoria di Gaby svaniscono mattone dopo mattone, provandoci di quel ritratto iniziale che sembrava così riconciliante, a suo modo festoso. Risuona come un cinico effetto Kulešov lo stridente contrasto tra la prima asta, con questa nenia apparentemente giocosa del battitore, e la vendita finale, coi prezzi che salgono, le pecore che trovano nuovi allevatori e una lunga sfilata di commiato.
Al rigore morale di Gaby non corrisponde però una scrittura altrettanto inflessibile, e così Le démantèlement sembra dilungarsi di molto oltre il dovuto, scivolando a più riprese in passaggi (e paesaggi) didascalici, con snodi narrativi un po’ forzati, velatamente ricattatori – su tutti, la sequenza dal veterinario, l’incontro con l’ex moglie nella gioielleria e nel locale e la superflua sottolineatura finale con le due figlie. Alla lunga viene a mancare quella immediatezza e naturalezza che ha caratterizzato altre pellicole canadesi degli ultimi anni come New Denmark (2009) di Rafaël Ouellet o, in un contesto diametralmente opposto, Crackie di Sherry (2009) White.

Note
1. Le démantèlement ha iniziato il suo tour festivaliero alla Semaine de la critique di Cannes 2013. Successivamente è stato presentato anche al Toronto International Film Festival.
Info
Le démantèlement sul sito del Torino Film Festival.
Le démantèlement sul sito della Semaine de la critique.
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