Red Amnesia

Red Amnesia

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Fantasmi dal passato della Rivoluzione Culturale, conflitto tra città e campagna, solitudine urbana di anziane signore: Wang Xiaoshuai colleziona degli ameni cliché per il suo nuovo film, Red Amnesia, in concorso a Venezia 71.

Rovine di plastica

Cina. Deng è una vedova in pensione dal carattere caparbio. Dedica le sue giornate a prendersi cura della madre anziana e dei due figli, ormai grandi, noncurante degli sforzi che tutti fanno per alleggerirla dalle fatiche quotidiane. Questa routine inizia a vacillare quando Deng comincia a ricevere strane telefonate anonime, che si trasformano in vero e proprio fenomeno di stalking. Cosa sta succedendo? Chi potrebbe avere qualcosa contro di lei e perché? [sinossi]

Mentre il cinema cinese appare in perpetuo mutamento e cerca di stare al passo dei cambiamenti sociali ed economici che si vivono in patria, alcuni registi continuano, imperterriti, a perseguire una propria linea “poetica”, che sarebbe più esatto definire manierismo. L’esempio più eclatante in tal senso viene da Zhang Yimou e dal suo sguardo, ormai deteriore, rivolto verso gli anni della Rivoluzione Culturale, usati sempre più come sfondo scenografico e/o come rimosso non verbalizzabile.
In modo non molto differente, anche Wang Xiaoshuai si dedica con il suo nuovo film, Red Amnesia, presentato in concorso a Venezia 71, alle tematiche classiche che hanno fatto la fortuna di alcuni cineasti mandarini tra la seconda metà degli anni Novanta e la prima dei Duemila tra cui, lo stesso Wang, premiato a Berlino e a Cannes, rispettivamente con Le biciclette di Pechino e con Shanghai Dreams. Nel caso specifico, abbiamo una vecchia signora testarda e un po’ rompiballe che vive in città ed è ossessionata da un fantasma proveniente dal passato, un passato legato a una sua colpa specifica: l’aver danneggiato una famiglia a vantaggio della propria, per potersi trasferire in città immediatamente dopo la fine della Rivoluzione Culturale.

Il tema sarebbe potuto anche essere interessante, non fosse che Wang Xiaoshuai ha deciso di affrontarlo non in modo pensoso, lucido e ragionato, ma come se fosse un vacuo gioco di spettri, di atmosfere sospese e ripetute, confuse e sbilenche nei toni e nella regia. Persino il mcguffin del film, l’idea del ragazzo che si introfula in case altrui e familiarizza con la nostra signora, sembra suonare già vista e forse è in qualche modo rielaborata da Ferro 3 di Kim Ki-duk. Lo stesso ritratto dell’anziana protagonista è poi calcato in modo eccessivo, a partire da una serie di cliché, anch’essi provenienti dal passato: la donna soffre di solitudine e viene trattata con sufficienza dai suoi figli (del resto, se si vive in città, non si può che soffrire di solitudine), mentre lei si dà da fare cucinando e preparando cibi che nessuno vuole mangiare. D’altro canto, chi è rimasto in campagna si è abbrutito completamente e conduce una vita all’insegna della ferinità a-legale.
Gli schematismi insiti in Red Amnesia hanno tra l’altro lo svantaggio di essere rivelati ben tardi, come un maldestro tentativo di spiazzamento narrativo (prima parte pseudo-ghost story, seconda parte “politicizzata”), e dunque emergono d’un sol colpo in un monologo imbarazzante per quanto appare maldestro.

Di fronte a film come Black Coal, Thin Ice di Diao Yinan o Trap Street di Vivian Qu, ma anche di fronte a un lavoro come Il tocco del peccato di Jia Zhangke (il quale, pur tra difetti, dimostra con energia la volontà di rinnovare gli stilemi del proprio cinema), Wang Xiaoshuai sceglie la strada più comoda – quella della maniera per l’appunto – ma anche la più sbagliata. Infatti, mostrare in questo modo semplicistico i nodi irrisolti del passato recente della storia cinese, altro non fa che prorogare una vulgata comune basica ed elementare, secondo cui basta qualche lacrimuccia per emendarsi da un passato oscuro ancora non interiorizzato. La complessità della Rivoluzione Culturale meriterebbe ben altro.

Info:
La scheda di Red Amnesia sul sito della Biennale
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