Operazione sottoveste

Operazione sottoveste

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Prima volta in blu-ray in Italia per Operazione sottoveste di Blake Edwards. Satira militare in anticipo sui tempi, a metà strada tra originalità autoriale e convenzione hollywoodiana. Per Sinister e CG.

Uno scalcinato sommergibile americano si appresta a esordire nella Seconda Guerra Mondiale per una missione nell’Oceano Pacifico. A sconvolgere l’ordine del represso comandante Sherman arriva prima un marinaio dandy, poi un gruppo di ausiliarie raccolte in mare. Il caos è dietro l’angolo… [sinossi]

Si ride sulla vita militare. Prima ancora d’iniziare a litigare costantemente con Hollywood, tanto da dedicare alla Fabbrica dei Sogni nelle sue opere più tarde un capolavoro acidissimo come S.O.B. (1981), Blake Edwards tentò di restare dentro ai confini dell’industria, sposando innanzitutto un’idea di divismo con la quale l’autore si era sempre trovato piuttosto a disagio. In tal senso Operazione sottoveste (1959) mette insieme innanzitutto due forti personalità attoriali, il sopraffino e maturo Cary Grant e il più giovane e “glamorous” Tony Curtis, che proprio nello stesso anno prese parte alla pietra miliare della commedia americana A qualcuno piace caldo di Billy Wilder. Due figure di differente natura divistica, accoppiate secondo una logica strettamente commerciale di coppia a contrasto per trarne effetti brillanti: il serioso e represso capitano di aria “british” e lo scapestrato viveur che affronta la vita militare come un puro e semplice rifugio edonistico dalla vita.

Il film vede infatti un lungo e buffo confronto tra un serio comandante di sommergibile e l’ultimo arrivato della ciurma, un playboy dagli occhi azzurri che fino a quel momento ha vissuto la vita militare solo in occasioni di rappresentanza e con incarichi di organizzatore di spettacoli per i soldati. Un dandy in divisa e cappello bianco, che la mattina sull’imbarcazione si alza dalla branda indossando vestaglie eleganti. Il sommergibile, vecchio e rattoppato, parte per una missione nel Pacifico agli inizi dell’intervento americano nella Seconda Guerra Mondiale, e a complicare ulteriormente le cose interviene un corpo di ausiliarie, raccolte in mare dal sottomarino con prevedibili imbarazzi e bollori tra i marinai in astinenza sessuale. Per un errore di mescola della vernice, il sommergibile si trasformerà in un inconsueto veicolo dal color rosa.
La commedia militare non è un’assoluta novità in terra americana, ben praticata negli anni stessi, o subito successivi, alla Seconda Guerra Mondiale come vero e proprio strumento di propaganda bellico-culturale. Da un lato, si cercava d’invogliare il pubblico all’arruolamento dando un’immagine divertita e goliardica della vita di caserma, dall’altro si rassicuravano le famiglie a casa, illudendo le platee che tutto sommato in guerra ci si poteva anche divertire (un esempio tra i tanti, il Mister Roberts di John Ford e Mervyn LeRoy, 1955, che fruttò a Jack Lemmon il suo primo Oscar in carriera); infine, tali commedie facevano parte di una più ampia ondata di cinema disimpegnato che doveva tenere alto il morale della popolazione durante i duri anni bellici (basti pensare che contiene elementi ironici anche un film glorificante come Il sergente York di Howard Hawks, 1941).

In tal senso Operazione sottoveste sembra inserirsi in un solco ben dissodato, ripercorrendo un genere ormai noto al pubblico americano, corroborato da una funzionale idea industriale di sfruttamento divistico. Oltretutto è ben evidente anche l’impronta gigantistica della produzione, che pare voler confezionare una sorta di “kolossal comico-bellico” anche di notevole durata (si superano le due ore di proiezione). I mezzi tecnici e finanziari messi a disposizione sono infatti sontuosi, ben ostentati in un pugno di sequenze che si avvalgono di esplosioni e scene di massa, con inquadrature di amplissimo respiro negli smaglianti colori americani anni Cinquanta. Secondo tale linea di ragionamento il film appare anche un po’ estraneo agli abituali ritmi narrativi di Edwards, che certo in più occasioni si è lasciato prendere la mano dalla prolissità, ma che nelle sue opere migliori di quelle realizzate in ambiente comico o commedia ha spesso adottato un passo travolgente o in crescendo, sostenuto da una mitragliata di gag. Si avverte insomma una tendenza naturale a scendere a compromessi con un contesto produttivo, tanto che sulla distanza Operazione sottoveste risulta un po’ stancante, adagiato in ritmi allentati e in parentesi narrative qua e là superflue.
Ma è altrettanto evidente che il film sposa un’idea di comicità in qualche modo agli antipodi rispetto alla commedia bellica indulgente di cui accennavamo più sopra. Non si vuole né glorificare la guerra né restituirne una visione sorridente ed edulcorata, bensì la si demistifica, aderendo ad accenti dissacranti realmente in anticipo sui tempi. Con ampia approssimazione Operazione sottoveste ricorda infatti i toni di M.A.S.H (1970) senza la degrammaticalizzazione tipica del cinema di Robert Altman, e senza neanche il suo retroterra tragico e polemico.
Vi si ritrova innanzitutto uno dei temi portanti del film di Altman, ovvero l’irruzione del femminile in un contesto forzosamente virile, e tra i tratti più tipici del cinema di Edwards ritroviamo anche la franca adesione a una comicità spesso di grana grossa, che nel cinema americano anni Cinquanta-Sessanta non può ancora rendersi esplicita, ma che si nasconde spessissimo dietro pesanti allusioni, oltre il livello di guardia hollywoodiano dell’epoca. In Operazione sottoveste l’unica guerra veramente combattuta è sul terreno espressivo, tra le istanze di una vulcanica personalità autoriale (Blake Edwards) e le costrizioni di un linguaggio mainstream altamente repressivo. Così, il vero spirito dell’autore fa capolino in più di una trovata onestamente geniale, che aggredisce la retorica militare americana senza evidenza e senza una sbandierata adesione ideologica. Prima vittima fra le varie, la retorica dell’esercito o marina americana sostenuta da una ricchezza senza pari al mondo: sfruttando il suo spontaneo anarchismo, più volte il tenente Holden di Tony Curtis è assoldato per compiere furti nei magazzini dell’esercito, in modo da far fronte a una generale trascuratezza verso i bisogni di prima necessità dei marinai. E per riparare il sommergibile danneggiato, in un attacco di eccesso di zelo si arriva a derubare un’intera parete nell’ufficio di un superiore (uno dei frammenti più esilaranti del film). Si tratta di una vena anarcoide che percorre tutto il film da inizio a fine, e che abbatte steccati rigidi e convenzionali uno dopo l’altro, a cominciare dalla distanza e diffidenza coloniale verso le popolazioni indigene dei territori teatro di guerra, verso i quali i personaggi di Edwards si pongono invece con atteggiamento spontaneo e fraterno. Per buon augurio all’impresa del sommergibile si ricorre anche a un buffo “sciamano” locale, e una delle gag più riuscite del film è affidata a un maiale oggetto di discordia tra i marinai e un indigeno.

Il linguaggio comico adottato da Edwards è innovativo e arcaico al contempo. Rigettando la comicità indulgente del cinema americano coevo, Edwards riscopre semmai i ritmi dimenticati dello “slapstick” e della “screwball comedy”, dando vita a “serpentoni” di racconto in cui un singolo oggetto estraneo al contesto va incontro a impensabili sviluppi narrativi e imprevedibili riadattamenti con effetto comico. Si veda l’assurdo destino del maiale della discordia, che finisce per essere travestito da militare (il travestimento: altro archetipo comico ampiamente percorso da Edwards e da lui riesumato dalla classicità) e che poi si tramuta in merce di scambio di una parossistica contrattazione col legittimo proprietario. Su un piano ancor più finemente linguistico, basti pensare al lungo piano-sequenza con macchina fissa piazzata davanti a un angusto corridoio del sommergibile, in cui le porte si aprono e si chiudono con geometrica precisione, sfruttando la claustrofobica ristrettezza degli spazi per alludere a crescenti tensioni erotiche tra marinai e ausiliarie. Infine, è la stessa biancheria intima femminile a subire la ricontestualizzazione più intensa e provocatoria: una sottoveste si rivelerà l’unico strumento utile per far ripartire un pistone mal funzionante, mentre la battaglia finale sarà risolta dalla provvida emersione dal mare di reggiseni e mutandine. Nel frattempo, il sommergibile si riempie di tutto. Marinai, ausiliarie, maiali, capre, tutti ammassati secondo un principio di caos esponenziale. L’ordine e la disciplina, faticosamente difesi dal comandante Sherman di Cary Grant, subiscono un progressivo e inesorabile sovvertimento, e sopra ogni cosa finisce per dominare il principio del piacere. Un edonismo primario che si fa beffe di qualsiasi asfittica sovrastruttura.
Blake Edwards, insomma, si fa forte di un approccio al comico spontaneo ed elementare, ma secondo un’idea di cinema assai meno innocente di quanto appaia. E’ volgare nel senso più positivo del termine, e rievoca forme di comicità arcaica legata alla rivolta degli oggetti. Operazione sottoveste non è certamente l’Edwards che invecchia meglio, ma al suo fondo scalpita una personalità corrosiva e sulfurea, che fa già a pugni con le afose strettoie hollywoodiane. Per scardinare un intero sistema produttivo è sufficiente un maiale, buttato là in mezzo dove nessuno si aspetterebbe di trovarlo.

Extra
Una lunga biografia di Cary Grant raccontata da Peter Graves (in lingua inglese con sottotitoli italiani), galleria fotografica.
Info
La scheda dedicata al Blu-Ray di Operazione sottoveste sul sito della CG.
Il trailer originale di Operazione sottoveste.
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