Death in Sarajevo

Death in Sarajevo

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Presentato in concorso alla Berlinale, Death in Sarajevo, nuovo lavoro del regista di No Man’s Land. Sempre legato a temi balcanici, Danis Tanović costruisce un film dentro e attorno un grande albergo, l’Hotel Europa, che già dal nome fa capire dove si andrà a parare.

Città dolente

Sarajevo, 28 giugno 2014. Nel miglior albergo della città, l’Hotel Europa, il manager Omer prepara il benvenuto per una delegazione di diplomatici importanti. Nel centenario dell’assassinio che fece scoppiare la Prima guerra mondiale, lo staff dell’hotel minaccia uno sciopero. [sinossi]

Come nel film Bobby un cinema corale, alla Altman, in un grande albergo con le tante microstorie che si sviluppano nelle sue stanze, nei suoi corridoi, nelle sue hall. Se in quel film era la quiete prima della tempesta, la stasi che preludeva alla grande tragedia storica, l’omicidio di Robert Kennedy, qui, in Death in Sarajevo siamo collocati nella posizione temporale opposta, dopo i grandi eventi sanguinari che hanno avuto Sarajevo come baricentro.
Sarajevo città dolente. Città martire che porta il dolore nei suoi muri, nelle sue strade. Che porta il peso della Storia – che oltre ai fatti drammatici comprende anche le Olimpiadi invernali del 1984 – il ricordo straziante delle sue tante vittime, nei suoi luoghi simbolo, nei suoi monumenti, nelle sue targhe. Come quello che ricorda l’attentato compiuto dal serbo-bosniaco Gavrilo Princip contro l’arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914. Da questo luogo simbolo inizia Death in Sarajevo, il film di Danis Tanović presentato in concorso alla Berlinale, nell’unico momento che non si svolge nel tentacolare e claustrofobico Hotel Europa. Una città che conserva delle impronte del suo passato, impronte ancora vive pronte a farsi sentire.

Sarajevo che, come ha detto Susan Sontag, ha iniziato il XX secolo con una guerra e lo ha chiuso con un’altra. “Porci fascisti figli di troia!” diceva Petar, “il Nero” di Underground, quando combatteva da partigiano gli ustascia filonazisti che poi rivede nei croati nella guerra civile che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia negli anni Novanta. E in La polveriera, Goran Paskaljevic racconta di una violenza latente che pervade il paese sempre pronta a esplodere. Tuttora la gente di Sarajevo si divide sulla valutazione storica che si può dare a Gavrilo Princip come a Francesco Ferdinando. Due storie e due monumenti.
E ora come si manifesteranno di nuovo queste impronte, questo substrato di violenza nel contesto di un’Europa pervasa da tensioni economiche? Europa cui la Bosnia-Erzegovina non appartiene ancora pienamente, ma cui è comunque vincolata dall’Accordo di stabilizzazione e associazione. L’Europa è il grande albergo dove il direttore fa spiare le assemblee sindacali con i mille occhi del suo “overlook hotel”, fatti da telecamere nascoste, l’hotel nei cui meandri si svolgono bische clandestine. Il cui direttore si sbarazza dei dipendenti scomodi e abusa delle sue hostess avvenenti. L’Europa unita a forza in cui si ripropongono dinamiche della Jugoslavia titina. L’Europa sbandierata e strombazzata fin dal patetico coro di bambini che fa le prove per l’Inno alla gioia. Nel satrapo, quanto falso e ingannatore, direttore tornano le figure di Tito, Milosevic, come della impersonale troika europea.

Death in Sarajevo è indubbiamente un film ben costruito e solido, ma si esaurisce in metafore facili. È il limite che il regista aveva già mostrato in altre occasioni e che qui si innesta con le semplificazioni di Bernard-Henri Lévy. Ricordiamo peraltro che il filosofo presenzialista d’oltrape ebbe a criticare aspramente Underground di Kusturica. Forse che Tanović lo abbia ripreso per segnare una differenza? Più interessante, se vogliamo, il gioco multimediale cui ci riconduce il regista. Per esempio nel marcare la parte didattica – quella dell’intervista televisiva al professore di design che spiega l’anima di Sarajevo – con una grana appunto televisiva. E nel concludere con una rappresentazione teatrale, Hotel Sarajevo appunto di Bernard-Henri Lévy, che fa uso di internet come scenografia, vista attraverso la televisione.

Info
La scheda di Death in Sarajevo sul sito della Berlinale.
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