Senza lasciare traccia

Senza lasciare traccia

di

Sospeso tra thriller psicanalitico e revenge movie, Senza lasciare traccia segna il promettente esordio di Gianclaudio Cappai. In anteprima al Bif&st 2016 e nelle sale dal 14 aprile.

La fornace dentro

Ha cercato di dimenticare, ma del suo passato Bruno porta i segni sulla pelle e nascosti tra le pieghe del corpo, come la malattia che lo consuma lentamente. Fino a quando Bruno non ha l’occasione di tornare nel luogo dove tutto è cominciato, una fornace ormai spenta divenuta rifugio di un uomo e della figlia. Nessuno dei due riconosce quell’intruso le cui intenzioni appaiono sempre più ambigue. [sinossi]

Si svuotano i salotti Ikea della commedia italiana, ultima vena aurifera del cinema mainstream para-industriale nostrano. D’altronde le idee iniziavano a scarseggiare da quelle parti e un’intera classe attoriale iniziava a languire, sottoposta com’era da tempo a uno sfruttamento intensivo che ne aveva annichilito il talento. Ecco allora che nella corrente stagione cinematografica il cinema di genere ha fatto la sua ricomparsa sugli schermi grazie a titoli come Suburra, Non essere cattivo, Lo chiamavano Jeeg robot e, ultimo arrivato in ordine cronologico, Veloce come il vento.
Ma il cinema indipendente non ha mai smesso di frequentare né di sperimentare sui codici dei generi cinematografici (commedia compresa, s’intende), ed è lì che gli attori possono ancora sognare una carriera fatta di ruoli non sempre simili a se stessi, e sempre lì lo spettatore e il critico, possono ancora provare quella piacevole ebbrezza che sa dare la scoperta di un nuovo talento.

E questa ebrezza la si prova più volte durante la visione di Senza lasciare traccia, esordio auto-prodotto e auto-distribuito (attraverso la Hirafilm) da Gianclaudio Cappai, nelle sale dal 14 aprile dopo l’anteprima al Bif&st 2016 nella sezione ItaliaFilmFest – Nuove proposte Cinema Italiano.
Con indubbio talento visivo, incentivato dall’interessante utilizzo del Super 16mm, Cappai in Senza lasciare traccia trascina il suo protagonista (Michele Riondino) in una storia fatta di rabbia, traumi infantili e relativa rimozione, innescando ora le dinamiche del thriller psicologico, ora quelle del revenge movie, senza dimenticare di omaggiare il migliore horror nostrano (in particolare viene in mente il Pupi Avati dei tempi d’oro).
Bruno (Riondino) è un insegnante in congedo dopo una malattia che gli ha lasciato una vistosa cicatrice sull’addome e un insopprimibile desiderio di rivalsa, che occupa ora quasi tutto lo spettro della sua personalità. Le sue ultime analisi cliniche non hanno dato esito positivo e, anche se la sua amorevole fidanzata Elena (Valentina Cervi) cerca di tenerglielo nascosto, Bruno ha capito che non gli resta molto da vivere. Decide allora di accompagnare l’amata in una trasferta di lavoro che ha come meta proprio un luogo della sua infanzia. Un’occasione d’oro per Bruno: mentre lei si occuperà del restauro di un dipinto cinquecentesco, lui potrà fare i conti con il proprio, traumatico passato.
Presente e passato si innestano d’altronde fin dal principio di questa storia, e vanno a convergere, in una anonima e nebbiosa provincia del nord Italia, dritti dentro a una fornace. È questo il luogo, dal forte portato simbolico, in cui Bruno ritroverà due personaggi della sua infanzia, un padre (Vitaliano Trevisan) e sua figlia (Elena Radonicich), e reclamerà, a suo modo, vendetta e redenzione. La fornace e il suo calore avvampante sono d’altronde al tempo stesso metafora di una prova, una catarsi da affrontare ma anche di ciò che Bruno cova dentro, sia al livello di rabbia accumulata e mai sopita, che su un piano meramente clinico (il tumore da cui è affetto).

Cappai orchestra così, per l’ultima parte del suo film, dosando con cura la mobilità della sua macchina da presa, un teso kammerspiel (la location è una fattoria con annessa fornace) in cui il protagonista aziona la sua vendetta con due avversari non da poco. Mentre Trevisan nei panni del padrone di casa fa il duro, ma si lascia poi facilmente abbindolare dal nuovo venuto, ben più interessante sarà il duello tra Bruno e Vera, creatura agreste quasi ferina, combattuta tra il legame con la propria terra (e con il padre) e un mai esplicitato, ma palpabile, desiderio di fuga. Peccato che sullo scioglimento del trauma Senza lasciare traccia resti un po’ sospeso e interrompa la resa dei conti finale con un montaggio alternato che ci conduce di quando in quando alla sala in cui avviene il restauro del quadro cinquecentesco (in cui è possibile ravvisare un omaggio a La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati). In questo non-luogo, e mentre Riondino si dà da fare nella fornace, una nervosissima Valentina Cervi combina un pasticcio dietro l’altro sotto lo sguardo contrariato del collega Thomas, il cui stupore si traduce però in una serie di faccette che finiscono per smorzare la tensione generata dal dramma in corso. Nel complesso la Cervi risulta eccessivamente rigida e impostata rispetto alla ferina Vera, cui la Radonicich (già vista in Banat – Il viaggio) riesce a donare spessore e ambiguità. Quasi in un chiasmo attoriale, anche Trevisan in fondo ci propone quel personaggio da “duro” di provincia che già aveva incarnato in precedenza (pensiamo a Riparo), mentre Riondino ha campo libero per sventagliare tutte quelle sfumature di cui è capace e che il cinema italiano negli ultimi anni sembra negargli.
Senza lasciare traccia si segnala come uno degli esordi più interessanti di questa annata e ci rivela un giovane autore perfettamente consapevole delle proprie capacità e privo da quell’esibizionismo stilistico che talvolta affligge le opere prime.

Resta però un problema da risolvere, questa dinamica dell’auto-produzione (e in questo caso anche auto-distribuzione) che ha caratterizzato prodotti come Spaghetti Story, Lo chiamavano Jeeg Robot e ora Senza lasciare traccia ci dice che al nostro cinema mancano produttori coraggiosi che sollevino un regista dall’onere di autofinanziarsi il film, produttori in grado di innamorarsi di un progetto (non è in fondo questo l’impulso alla base del loro lavoro?) e scommettere su qualcosa di nuovo, anziché sul riciclo dei vecchi plot, ruoli e volti. Perché a lungo andare anche il filone più redditizio si esaurisce.

Info
La scheda dedicata a Senza lasciare traccia sul sito del Bif&st 2016.
Il sito della Hirafilm.
  • senza-lasciare-traccia-2016-gianclaudio-cappai-01.jpg
  • senza-lasciare-traccia-2016-gianclaudio-cappai-02.jpg
  • senza-lasciare-traccia-2016-gianclaudio-cappai-03.jpg
  • senza-lasciare-traccia-2016-gianclaudio-cappai-04.jpg
  • senza-lasciare-traccia-2016-gianclaudio-cappai-05.jpg

Articoli correlati

Array
  • Archivio

    Veloce come il vento RecensioneVeloce come il vento

    di Matteo Rovere torna alla regia con Veloce come il vento: ambizioso progetto d'ambientazione automobilistica che guarda - con convinzione ma con qualche impaccio di troppo - al modello del cinema di genere statunitense. E con uno Stefano Accorsi al di là del bene e del male, vicino al sublime.
  • Archivio

    Lo chiamavano Jeeg Robot RecensioneLo chiamavano Jeeg Robot

    di L'esordio di Gabriele Mainetti ha rappresentato l'unica autentica sorpresa della decima edizione della Festa del Cinema di Roma: un film supereroistico che, con (auto)ironia, mostra una possibile via nostrana al genere.
  • Archivio

    Suburra

    di L'opera seconda di Stefano Sollima conferma le doti di un regista quasi unico nel panorama italiano contemporaneo. Un noir ipercinetico e denso, fradicio di umori, che racconta la Roma di oggi, tra malavita e neo-fascismo.
  • Venezia 2015

    Non essere cattivo RecensioneNon essere cattivo

    di Fuori concorso a Venezia, esce in sala il film postumo di Claudio Caligari. Un viaggio nell'Ostia degli anni Novanta, tra relitti della società e un'umanità alla cerca della propria pace. Forse impossibile.
  • In Sala

    Banat (Il viaggio)

    di Anche se cede a momenti di silente rarefazione figli di un’autorialità ancora acerba, Banat (Il viaggio) racconta senza mezzi termini le difficoltà professionali ed esistenziali di due trentenni di oggi. Alla SIC 2015.
  • In sala

    Spaghetti Story

    di Il film d'esordio di Ciro De Caro. Un piccolo e coraggioso film, che narra di attori in cerca di ruoli, spacciatori borgatari, prostitute cinesi, cuoche da concorso televisivo, amori e amicizie.