Buffalo ’66

Buffalo ’66

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Celebrata opera prima di Vincent Gallo, Buffalo ’66 si conferma tenero e delicato, e visivamente molto stimolante. Mostra però anche varie fragilità alle quali non giova il tempo che passa. In dvd e blu-ray per Pulp Video e CG.

Dopo 5 anni di carcere il trentenne Billy Brown torna in libertà e deve affrontare le menzogne raccontate alla famiglia per la sua detenzione. Rapisce così Layla, una ragazza incontrata per caso, e le chiede di recitare il ruolo di sua moglie durante una visita dai genitori. Animato anche da un sentimento di vendetta per gli anni passati in prigione, Billy divide con Layla 24 ore di vita affrontando le proprie fragilità psichiche e ritrovandosi a un bivio fondamentale… [sinossi]

Ci sono film che non si dovrebbero mai rivedere. Con gli amori giovanili si rischiano brutte sorprese se riscoperti anni dopo. Ci sono i film che ci portiamo dietro per tutta la vita, capaci di resistere alla prova della centesima visione, e ci sono quelli molto amati in una determinata fase della propria esistenza, che rivisti anni dopo lasciano perplessi. Non si tratta soltanto di un mutamento individuale legato all’età e alle esperienze (che avrebbe decisamente poco a che fare con la critica cinematografica), ma anche di una vera e propria re-visione alla luce delle tante visioni intercorse, degli anni passati a vedere e scoprire altro cinema, con inevitabili ricadute sulla percezione degli amori di una volta.
A suo tempo Buffalo ’66 (1998), opera prima di Vincent Gallo, fu una folgorazione, sul piano linguistico e probabilmente anche per il suo coté romantico dal sapore vintage. Contesto dropout e facili soluzioni, neppure troppo mascherate, affidate alla più classica redenzione attraverso la speranza nell’amore.
Ma quel maledettismo può colpire sui 22 anni (età in cui il sottoscritto vide il film per la prima volta) per poi scoprirne l’aria vagamente fasulla nel ritornarci in contatto dopo quasi due decenni e dopo aver avuto esperienze di visione decisamente più sincere.
Sia come attore sia come regista, Vincent Gallo suscita sensazioni contrastanti; ha un buon talento ma ha lavorato alacremente anche per creare un proprio personaggio, ostentatamente fuori dalle righe. Ottima premessa, intendiamoci. Però poi si rivede Buffalo ’66 e si incontra uno spirito provocatorio più nella teoria che nei fatti, sostenuto al fondo da un’idea di cinema e della vita decisamente convenzionale. Buffalo ’66 rimane un film tenero e anche delicato, ma ahimè non è esattamente come ce lo ricordavamo, quando al tempo della sua uscita in sala ci colpì per il ribellismo e l’audacia formale.

Giocando sul filo di una vera/falsa autobiografia, tanto per alimentare ulteriormente l’aura di maledettismo intorno a lui, Gallo racconta il primo giorno di libertà di un trentenne, Billy Brown, appena uscito di prigione dopo 5 anni. Nato e vissuto a Buffalo, Billy ha mentito alla famiglia sulla propria detenzione, inventandosi di essersi sposato e di dover rimanere a lungo fuori città per impegni di lavoro. In procinto di fare visita ai genitori, Billy incontra per caso Layla e la rapisce costringendola a presentarsi in famiglia come sua moglie. Il ragazzo è anche intenzionato a vendicarsi di chi l’ha costretto involontariamente al carcere. Seguiranno 24 ore in cui il destino di Billy, nevrotico con tratti vagamente autistici, si troverà di fronte a un bivio fondamentale.
Per un racconto di solitudine metropolitana e timide speranze di redenzione Gallo sceglie un linguaggio che si rifà palesemente a pratiche del cinema americano indipendente anni Settanta. Più volte fa capolino lo split screen, mentre i lunghi piani-sequenza (eseguiti con macchina a mano e non) con improvvisazione degli attori ricordano da vicino la poetica di John Cassavetes. Grande lavoro poi si palesa nella fotografia, volutamente desaturata nei colori.

Curiosamente Buffalo ’66 si conserva piuttosto efficace sul piano stilistico, ma lascia l’impressione della montagna che partorisce il topolino. Ovvero il ricco ed entusiastico armamentario espressivo messo in campo da Gallo va ad applicarsi a un racconto fin troppo esile, fondato oltretutto su dinamiche narrative un po’ elementari e infantili. Billy Brown è un concentrato di facilissimo vittimismo contro un mondo popolato esclusivamente da cattivi. La concatenazione di eventi per cui il protagonista finisce in carcere è forzata e improbabile anche per uno pseudo-noir quale il film vorrebbe essere, mentre risulta disonesto e ricattatorio il rapporto di Billy con l’unico amico che ha, il ritardato Rocky che cerca di dissuaderlo dai suoi intenti di vendetta.
E ancora, il Billy trentenne, innamorato non corrisposto della compagna di liceo fino a farne un’ossessione, dà un ulteriore giro di vite a uno strano e stucchevole sentimentalismo. Si avverte un buonismo di fondo davvero poco attinente a un film che si propone di essere anche provocatorio. Resta assai valido, per contro, il lavoro sulla costruzione del rapporto tra Billy e Layla, giocato su una crescente attrazione che si esplica in sguardi, silenzi, titubanze fisiche raccontate con grande acume. Tra le cose migliori troviamo sicuramente l’approccio nella camera di motel, che si protrae dalla vasca da bagno al letto, con una serie di inquadrature plastiche a chiudere l’efficace sequenza. E c’è l’evidente volontà di costruire un protagonista davvero sui generis, schizzato e vagamente “criminale” ma dotato di un profilo psicologico fragile e tormentato, in cui risalta più di ogni altra cosa un rapporto complicato col contatto fisico e col sesso.

In vari frangenti il film risulta anche sanamente divertente, nell’isterico incontro coi genitori (gli ottimi Anjelica Huston e Ben Gazzara) e soprattutto nella celeberrima sequenza delle fototessere. Vige un’idea di racconto libero e divagante, decisamente lontano dalle rigide esigenze narrative del cinema codificato da Hollywood. In tal senso Gallo gioca sagacemente con i cambi di frame, con i colori, con la macchina da presa in un ampio prisma di possibilità espressive. Ma rivisto adesso Buffalo ’66 si profila come il film perfetto per i vittimismi post-adolescenziali e per la relativa percezione del mondo come distante e ostile. Per cui magari continuiamo a intenerirci per la minuta storia d’amore tra i due, ci compiaciamo per la sfilata di vecchie glorie del cinema americano anni Settanta e Ottanta (oltre a Gazzara e la Huston, vediamo anche Mickey Rourke, Jan-Michael Vincent e Rosanna Arquette), e apprezziamo la volontà di Gallo di porsi come autore totale (ha in parte composto anche le musiche originali), ma per assaporare il gusto della vera provocazione viene da rivolgersi altrove. O forse siamo semplicemente invecchiati, e crediamo un po’ meno nella forza redentrice dell’amore. E questo sarebbe un male.

Extra: trailer originale.
Info
La scheda di Buffalo ’66 sul sito della CG Entertainment.
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