Godless

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Pardo d’oro a Locarno 2016, Godless racconta di uno sprofondamento agli inferi dell’abiezione, di una realtà di sopravvivenza al di là di ogni morale nella Bulgaria attuale che ha perso la sua innocenza dall’epoca comunista. Un film che annega nel compiacimento e nell’ostentazione della degradazione.

La cattiva assistente domiciliare

In una sperduta cittadina bulgara, Gana si occupa di anziani affetti da demenza senile e allo stesso tempo ruba le carte d’identità dei suoi assistiti per rivenderle al mercato nero. Anche l’uccisione accidentale di un paziente che minacciava di smascherare i suoi traffici non sembra turbarla. Le cose cominciano a cambiare quando sente il canto di Yoan, un nuovo paziente. [sinossi]

Già nel primo momento in cui in Godless, Pardo d’oro a Locarno 2016, viene presentata la protagonista, Gana, assistente domiciliare di anziani affetti da demenza senile, vengono subito mostrate le coperte sporche di feci del suo assistito di quel momento, che Gana laverà in una piccola tinozza. Una scena programmatica di un film che punta all’estetica del degrado, della sporcizia, dell’esibizione dello squallore che si accompagna allo squallore morale della protagonista e del mondo che la circonda. Non ci viene risparmiato nulla, dalle piaghe di decubito al festino a luci rosse in cui partecipa il magistrato, dalle strade scalcinate ai casermoni fatiscenti in cui vivono i personaggi. Un mondo, negli interni claustrofobico, e negli esterni spesso ricoperto da una coltre di nevischio, come cosparso di cenere.

Si tratta, ancora oggi, dello strascico della società comunista nel paese, spiega la regista Ralitza Petrova, esibendo una lapide abbandonata dedicata alle vittime del comunismo, di un mondo senza speranza, dove la morale è andata definitivamente perduta, dove vige la legge della giungla e non c’è spazio per i sentimenti, dove un omicidio può rimanere senza conseguenze. Un mondo che è come un cane abbandonato dai suoi padroni e lasciato a se stesso. Dove, nella perdita totale di riferimenti etici, una delle anziane assistite ricorda con nostalgia di come avevano accolto i tedeschi, che erano gentili e civilizzati. Mentre i riferimenti all’era comunista tornano in Godless, i fantasmi del passato, come il ricordo del padre lasciato e poi ritrovato al supermercato (luogo simbolo del capitalismo) vent’anni dopo. Un mondo senza speranza e senza Dio. Come risulta chiaro dalla rievocazione dell’episodio storico di quella comunità religiosa che si rifugiò in cima a una montagna, pensando di essere così più vicina a Dio che la avrebbe quindi più facilmente ascoltata e aiutata; un rifugio per sfuggire ai turchi, ma invano, visto che poi vennero da questi ugualmente massacrati.

Quando uno dei suoi assistiti la ringrazia, Gana ribadisce che non va ringraziata, “è il mio lavoro”. Concetto che ribadirà più avanti per la sua occupazione illegale procurando un nuovo documento d’identità a un suo cliente, a ribadire il cinismo delle sue azioni, la non convinzione e insensibilità, la disumanità in cui si muove, l’anestesia etica che pervade tutto. E non ci scompone più di tanto se si sente uno sparo nel vicinato, o qualcosa che sembra uno sparo proveniente dallo “psicopatico della porta accanto”. O se la bambina trascurata può entrare in casa mentre i genitori stanno avendo un rapporto sessuale, lasciando la porta dell’appartamento aperta. Tutto funziona per transazioni economiche e c’è sempre bisogno delle onnipresenti pillole. Domina la corruzione anche nella giustizia, si parla di confessioni estorte, di processi guidati.
Prevalgono visioni da molto lontano, campi lunghissimi, o attraverso finestre, quasi a dare adito a una visione entomologica della regista. Che usa anche movimenti all’indietro, dal finestrino posteriore dell’automobile, a segnare una fuga, una presa di distanza dal materiale trattato, che si correlano specularmente con la salita in macchina del finale. E frequenti sono anche le perdite di fuoco dell’immagine, nella rappresentazione di un mondo cinico e senza punti di riferimento.
Grande merito di Petrova è indubbiamente il lavoro con gli attori, presi dalla strada, a portare in scena se stessi, con i loro volti scavati, di vita vissuta. E in questo è straordinaria la protagonista Irena Ivanova, Gana, dal corpo appesantito, flaccido. Portatrice anche di una, seppur lieve, trasformazione, con il pianto, dal suo stato di glaciale cinismo.
Ma Godless è in definitiva una storia dozzinale, l’esibizione, l’ostentazione dell’abiezione più estrema in un’estetica ricercata della fatiscenza. Nulla di più. Al cinema ne abbiamo viste tante, preferiamo a quel punto Henry, pioggia di sangue, Moretti permettendo.

Info
La scheda di Godless sul sito del Festival di Locarno.
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