Mr. Gaga

Mr. Gaga

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Documentario prezioso, ancorché (forse inevitabilmente) incompleto nel suo illuminare solo certi aspetti del suo oggetto, Mr. Gaga è il ritratto di un artista unico e originale, e testimonianza della valenza estetica del suo lavoro.

Passi di vita

In una ricognizione che parte dalla sua infanzia in un kibbutz, per arrivare fino ai grandi successi internazionali, il regista Tomer Heymann racconta la vita e l’arte di Ohad Naharin: danzatore prima e coreografo poi, sostenitore del potere terapeutico della danza e creatore di uno stile di movimento corporeo chiamato Gaga. [sinossi]

Ballerino, coreografo, icona nazionale. Su queste definizioni, emblemi di altrettanti ruoli penetrati a fondo nell’immaginario dei suoi ammiratori, si fonda la fama di un artista come Ohad Naharin, direttore dell’israeliana Batsheva Dance Company e creatore dell’innovativo stile di danza da lui chiamato Gaga. Alla figura di Naharin (nome sconosciuto ai più in Europa e in America, ma molto noto tra i cultori della materia) un documentarista come Tomer Heymann ha dedicato il suo ultimo progetto, ritratto che segue una vita e una carriera attraverso la sua evoluzione, utilizzando le immagini che hanno tradotto in realtà le sue visioni.
È un documentario che ammalia e rapisce, Mr. Gaga, interamente impregnato dell’immaginario del suo oggetto: fin dalle prime immagini, si viene trasportati nell’universo fatto di corpi in movimento, onnipresente sensualità, allusioni visive e risonanze emotive attraverso la danza, che compongono l’opera dell’artista israeliano.
È facile farsi irretire dal mondo che, con ritmo e mestiere, il film di Heymann porta sullo schermo; così come è facile dimenticare che Mr. Gaga è di fatto un film che basa molto, diremmo gran parte del suo fascino, su elementi preesistenti. Le ipnotiche evoluzioni visive di Naharin e dei suoi artisti vengono proposte in modo letterale dal documentario, che si giova così di un materiale di partenza dall’indubbio potenziale attrattivo.

Il primo limite di questa interessante opera, quindi, è in qualche modo ad essa fisiologico: il film di Heymann sceglie di affidarsi in grandissima parte al materiale di repertorio, diligentemente montato e inframezzato da immagini (poche) che ritraggono il privato del personaggio. Mr. Gaga segue la voce fuori campo del coreografo israeliano attraverso il racconto della sua vita, dall’infanzia passata in un kibbutz fino al successo internazionale, passando per il trasferimento a New York, l’incontro con la prima moglie Mari Kajiwara, il ritorno in Israele in qualità di direttore della Batsheva, la scomparsa della consorte e il nuovo matrimonio con la ballerina Eri Nakamura.
La linearità del racconto, che illustra le parole dell’artista con le immagini che lo ritraggono nel contesto, e nell’epoca, narrati, è spezzata da frammenti di performance successive, che attraverso l’allusione e il rimando indiretto creano un collegamento (più viscerale che letterale) con gli argomenti di volta in volta trattati. Sono proprio questi frammenti basati sulla metafora visiva, sull’allusione non mediata e atta a saltare le convenzioni del documentario narrativo, i momenti più riusciti del film di Heymann; momenti che riescono (in parte) a controbilanciare una struttura fortemente e volutamente didascalica. Frammenti che, al di là del loro specifico potenziale estetico, creano un legame diretto con l’arte di Naharin, atta a suggerire più che a riprodurre.

Si potrebbe anche obiettare a Mr. Gaga il suo essere incentrato, più che sulla biografia di Ohad Naharin, sulle evoluzioni del suo lavoro e sulla valenza che esso ha avuto nel suo campo artistico: scelta, anche quest’ultima, dichiarata e in qualche modo connaturata alla concezione stessa del film. Resta il fatto che una personalità così interessante, dall’esistenza che intuiamo varia e ricca, resta inevitabilmente in ombra nel suo privato: della sua storia personale, al di fuori della sua arte, restano frammenti, parti di dialoghi e rivelazioni (come quella sulla sua durezza con i suoi ballerini, e sulle frequenti liti e crisi di nervi all’interno della compagnia) che meritavano forse altro approfondimento. Materiale con cui, probabilmente, si sarebbe potuto fare un intero altro documentario.
Il film di Tomer Heymann, piuttosto esteso nella durata (circa 100 minuti) avrebbe potuto forse, a parere di chi scrive, sacrificare qualche performance in favore di una diversa illuminazione del privato del personaggio, che offrisse di esso un ritratto più completo e “tridimensionale”. L’intensità, a un passo dal melò, che il film dispiega quando racconta la morte di Mari Kajiwara, la narrazione della natura salvifica e terapeutica dell’arte di Naharin nell’ottica dell’elaborazione del lutto, sono ulteriori, preziosi (ancorché isolati) frammenti del mondo personale dell’artista.

Nelle sue esigenze di sintesi, giocate secondo modalità tali da non poter (ovviamente) accontentare tutti, nelle sue scelte di campo e nel suo voler ritagliare (anch’esso inevitabile) solo una parte dell’oggetto rappresentato, Mr. Gaga resta un prodotto prezioso. Testimonianza di un’arte e di un complesso mondo interiore, tramutato in fisicità e movimento, dato in pasto alle platee internazionali e a volte fattosi persino emblema (vedi l’episodio della censura, durante le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dello Stato di Israele) di precise istanze politiche. Un mondo solo parzialmente illuminato, ma non per questo meno meritevole di essere esplorato e goduto.

Info
La scheda di Mr. Gaga sul sito della distribuzione Wanted, con la lista delle sale in cui poter trovare il film.
Il trailer di Mr. Gaga su Youtube.
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