La verità sta in cielo

La verità sta in cielo

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Ricostruzione improntata al re-enacting delle inchieste sul caso Orlandi, La verità sta in cielo di Roberto Faenza non è un film propriamente riuscito, ma pungola memoria collettiva e coscienza civile.

Il nostro museo

Il 22 giugno 1983 Emanuela Orlandi, quindicenne cittadina vaticana, figlia di un messo pontificio, sparisce dal centro di Roma, dando inizio a uno dei più clamorosi casi irrisolti mai accaduti in Italia, conosciuto anche all’estero. Dopo decine di indagini, oscure ipotesi, coinvolgimento di “poteri forti”, depistaggi di ogni genere, una cosa è certa: Emanuela non ha fatto più ritorno a casa. [sinossi]
“In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage
ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento.
In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto?
L’orologio a cucù.”
Harry Lime aka Orson Welles in Il terzo uomo

Per comprendere lo spirito e il significato di un film come La verità sta in cielo di Roberto Faenza, bisogna probabilmente fare un salto indietro nella sua filmografia e andarsi a rivedere Forza Italia!, documentario di montaggio che ricostruiva la storia del nostro paese a partire dal secondo dopoguerra con il brillante utilizzo contrappuntistico – e ironico – dei suoni ricostruiti in studio e delle musiche di Ennio Morricone. Faenza non è certo nuovo al cinema d’impegno civile, sia esso di stampo documentaristico (pensiamo all’interessante Sivio Forever, del 2011, biografia non autorizzata di Berlusconi) o al rigoroso e dolente Alla luce del sole (2005) sull’omicidio di Don Puglisi. C’è dunque un filone importante che soggiace alla sua produzione e che riguarda l’indagine storico-sociale sull’Italia, la sua storia, i suoi piccoli-grandi traumi.

In tal senso, nel corso della visione di La verità sta in cielo diviene sempre più evidente quanto quella didascalia iniziale con la citazione tratta da Oscar Wilde (“La verità è raramente pura, e mai semplice”) potrebbe essere invece sostituita dal più cogente e sarcastico aforisma pronunciato da Harry Lime (Orson Welles) in Il terzo uomo di Carol Reed, log line promozionale impeccabile per un ipotetico grande romanzo cinematografico, intricato, violento e abbondantemente disilluso, sulla storia del nostro paese.
Per ricostruire ora l’indagine relativa alla misteriosa scomparsa nel 1983 della quindicenne figlia di un messo pontificio Emanuela Orlandi, clamoroso caso irrisolto, ferita ancora aperta (più volte ri-aperta, come le indagini al momento archiviate) e ben radicata nella memoria collettiva del nostro paese, l’autore intraprende la scelta rischiosa del re-enactment – d’altronde di immagini di repertorio qui non ne aveva molte a disposizione – costruendo un’inchiesta dentro l’inchiesta, prediligendo l’ipotesi dell’intrigo di potere, dello scandalo bancario (le connessioni tra lo Ior e il Banco Ambrosiano), della malavita romana come braccio armato del Vaticano.
Tutto ha inizio quando la giornalista italiana di stanza a Londra incarnata da Maya Sansa viene inviata a Roma per indagare sul caso Orlandi, dal momento che con lo scandalo di Mafia Capitale, sembra si sia aperta una nuova pista. La reporter rintraccia la collega Raffaella Notariale (Valentina Lodovini) che pochi anni prima ha intervistato lungamente Sabrina Minardi (Greta Scarano) compagna di Enrico “Renatino” De Pedis (Riccardo Scamarcio), esponente di spicco della Banda della Magliana, implicato nel rapimento della Orlandi e poi misteriosamente sepolto nella chiesa di Sant’Apollinaire.

La verità sta in cielo procede dunque come un’inchiesta dentro l’inchiesta (quella della Lodovini e quella della Sansa), con flashback dentro ai flashback (della Lodovini prima, e della Scarano poi) mentre si palesa l’evidente difficoltà di Faenza nel tenere insieme la sua complessa struttura, ma soprattutto nel riuscire a inserirvi tutte le varie ipotesi investigative (la traccia pedofila e quella dei Lupi Grigi sono infatti accantonate). Per cui ecco che, oltre alle memorie a scatole cinesi, più volte il personaggio di Maya Sansa è intento a fare il punto della situazione ora a colloquio con un giudice, ora nelle telefonate via Skype con il suo capo (incarnato da Shel Shapiro), ora in solitaria parlando con se stessa nel proprio cellulare in modalità di registrazione. Numerosi sono i “quindi fammi capire meglio” della protagonista, accompagnati da resumé più o meno forzati, atti a ricapitolare la situazione. Non aiutano poi la verosimiglianza i numerosi ridoppiaggi dell’attrice e dei vari personaggi, dovuti certo al fatto che il film è stato girato in varie lingue. Fa capolino inoltre a un certo punto anche un incubo vagamente “surrealista” della nostra protagonista, smarrita nella vertigine di una scala a chiocciola che non ha principio né fine. Al rigore dell’inchiesta si sostituisce dunque in La verità sta in cielo una certa fascinazione per lo storytelling perpetuo, polifonico e ridoppiato.

Ma resta sempre sullo sfondo, a prescindere dalla riuscita o meno dell’operazione, la sostanziale buona fede dell’autore e il suo perseguire quel cinema di impegno civile e denuncia del quale sentiamo sempre una profonda nostalgia. Probabilmente nella celeberrima frase ideata da Orson Welles per il Terzo uomo, sarà anche vero che la parte sugli svizzeri che hanno inventato l’orologio a cucù è falsa, ma tutto il resto è indubitabile, impresso nel nostro codice genetico, ben intrecciato a una sana brama di verità e giustizia. Non è certo un caso dunque che l’inchiesta della giornalista incarnata dalla Sansa vada a chiosare proprio in un museo, dove la donna cerca di tirare le fila della sua ricerca camminando in un corridoio affollato di statue marmoree, vessilli del nostro passato, cui appartiene di certo anche il Caso Orlandi. E anche noi, dunque, siamo spinti a percorrere quei corridoi, reali e metaforici, che rappresentano, nel bene e, soprattutto, nel male, il nostro museo, la nostra storia, dove i Borgia stanno accanto a Michelangelo, l’arte più alta al fianco degli intrighi di potere più beceri, perché inevitabilmente, e spesso tragicamente, uno ha prodotto l’altro.

Info
La scheda di La verità sta in cielo sul sito di 01 Distribution.
La pagina Facebook ufficiale del film.
La pagina Facebook di 01 Distribution.
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