Fritz Lang

Fritz Lang

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Irascibile, cocainomane e violento: è questo il Fritz Lang descritto nel biopic omonimo diretto in maniera grossolana da Gordian Maugg, un film che vorrebbe descrivere il lato oscuro del genio, mentre invece non fa altro che ridicolizzarlo. Alla Festa del Cinema di Roma.

Il mostro di Düsseldorf c’est moi

Fritz Lang deve dirigere il suo primo film sonoro. Ma non ha idee e passa il suo tempo ad andare in giro con delle prostitute, a sniffare cocaina e a litigare con la moglie e sceneggiatrice Thea von Harbou, finché non si interessa al caso di un serial killer a Düsseldorf. Giunto sul posto, troverà delle strane affinità con il criminale, nel frattempo arrestato, fino a veder riaffiorare lati oscuri del suo passato. [sinossi]

La vampirizzazione del cinema contemporaneo nei confronti di quello del passato procede imperterrita e ormai senza più inibizioni. Non solo e non tanto i remake, ché quelli ci son sempre stati, quanto l’auto-rappresentazione della macchina cinematografica e/o delle personalità di spicco che hanno contribuito al suo splendore. Che sia un segno della fine? Fatto sta che, dopo aver visto come Hitchcock ha realizzato Psycho nel 2012 (e avremmo preferito non vederlo) per la regia di Sacha Gervasi, ecco che arriva un film che dovrebbe spiegarci come Lang ha realizzato M – Il mostro di Düsseldorf.
Fritz Lang – questo l’icastico titolo del film, presentato all’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma e diretto da Gordian Maugg – vuole essere evidentemente un tentativo da parte del sistema cinematografico tedesco di rilanciarsi sul piano internazionale, puntando a sviscerare personalità germaniche note e apprezzate in tutto il mondo.

Però il problema è che, in modo abbastanza simile a quel che accadeva per Hitchcock, il voler sottolineare esclusivamente il lato oscuro del genio conduce il discorso più sul piano del pettegolezzo che su quello della rappresentazione cinematografica. Lang andava a prostitute? Sniffava cocaina? Litigava con sua moglie e sceneggiatrice Thea von Harbou? Beh, non è certo questo che ci interessa in un film su Lang, quanto piuttosto ad esempio veder analizzato un preciso e complicatissimo momento della sua storia biografica e capire come abbia risolto certi problemi che gli si pararono davanti.
Invece, nello scegliere i mesi che portarono al concepimento dell’idea di M – Il mostro di Düsseldorf, Gordian Maugg opta per la confusione e la bulimia: tutto deve essere raccontato, ogni aspetto della vita di Lang, dall’origine del celebre monocolo (per via della perdita della vista a un occhio, in seguito a ferite di guerra) all’oscuro mistero della prima moglie trovata morta in casa con un colpo di pistola, passando per il rimosso relativo alla Prima Guerra Mondiale (un atto di eroismo, se vogliamo, che non si capisce come possa essere paragonabile alle azioni di un serial killer) fino al rapporto burrascoso con Thea von Harbou che resta immotivato e serve solamente a prefigurare in maniera telefonata la separazione tra i due con l’avvento del nazismo. Se Maugg avesse scelto una prospettiva, un punto di vista, un aspetto della vita di Lang, magari non avrebbe avuto così tanta difficoltà ad affastellare elementi uno sull’altro accumulando una serie di situazioni che oltrepassano il limite del ridicolo involontario.

Ma, al di là delle perplessità di concezione e di struttura narrativa e al di là delle tante situazioni inverosimili (Lang che si aggira circospetto nei commissariati e ruba oggetti senza che nessuno se ne accorga) e al di là ancora della descrizione forzata che viene fatta del carattere dell’autore di I Nibelunghi, è la confezione di Fritz Lang a far cadere le braccia. Un bianco e nero slavato si mischia infatti a estratti di M – Il mostro di Düsseldorf, attraverso disdicevoli operazioni di montaggio proibito (primo piano dell’attore che interpreta Lang seguito da un’inquadratura di M, che Lang dunque vedrebbe già fatto, già come reale rappresentato), mentre nel momento in cui il nostro comincia a temere di avere qualcosa in comune con il serial killer ecco dei maldestri giochi di apparizione e sparizione di assassini e di cadaveri. E, infine, l’apice del trash e anche dell’osceno: un atto di sodomia di Lang nei confronti di una prostituta viene seguito, attraverso un montaggio di immagini di repertorio, dalla rappresentazione di una serie di violenze che portano fino al nazismo. A quel punto, e siamo appena all’inizio del film, vedere come – secondo una logica con-sequenziale – si passi dal sesso anale al nazismo (e ai campi di sterminio, non mostrati, ma evidentemente allusi) non può che far scattare del vero orrore nei confronti del modo semplicistico e moralistico in cui Gordian Maugg vede il mondo. No, Lang non meritava di essere trattato così.

Info
Il sito della Festa del Cinema di Roma.
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