Looks and Smiles

Looks and Smiles

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Non tutti i film di Ken Loach sono arrivati in Italia, in particolar modo quelli diretti durante l’era Thatcher. Rientra in questo novero di titoli anche Looks and Smiles, cupa riflessione sulla gioventù mandata alla macelleria sociale dal liberismo.

Gli anni della crisi

Un giovane di Sheffield prova a sopravvivere nell’Inghilterra della Thatcher. Il suo migliore amico vorrebbe arruolarsi nell’esercito per combattere in Irlanda del Nord, una ragazza che ha conosciuto in un locale vive una situazione problematica con i genitori separati… [sinossi]

Looks and Smiles non uscì in Italia nel 1981, quando fu presentato in concorso al festival di Cannes (in corsa per la Palma, vinta poi da L’uomo di ferro di Andrzej Wajda, c’erano tra gli altri I cancelli del cielo di Michael Cimino, Strade violente di Michael Mann, Excalibur di John Boorman, Possession di Andrzej Zulawski, Mephisto regia di István Szabó, La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci, e Momenti di gloria di Hugh Hudson) e si aggiudicò una menzione nel premio della giuria ecumenica, andato sempre al film di Wajda. Non vide la luce in Italia neanche negli anni successivi. Può apparire bizzarro oggi, con i film di Ken Loach che ottengono riconoscimenti internazionali e trovano sempre la via della distribuzione in sala, ma c’è stato un tempo in cui il regista inglese era un nome oscuro, praticamente invisibile agli occhi degli spettatori italiani.
Nei primi anni Ottanta, mentre Margaret Thatcher testa le aberranti teorie del neoliberismo sui lavoratori britannici, Loach cerca di tornare a dirigere in maniera stabile per il cinema, da dove è mancato per quasi un decennio (otto anni intercorrono tra il 1971 di Family Life, suo terzo lungometraggio dopo Poor Cow e Kes, e il 1979 nel quale vede la luce il bizzarro Black Jack, un’anomalia all’interno della filmografia del regista); un periodo trascorso lavorando per il piccolo schermo, con opere quali la mini-serie Days of Hope e i film-tv The Price of Coal e The Gamekeeper. Quest’ultimo, nel 1980, ha trovato comunque posto nella selezione di Un certain regard sulla Croisette, ma è rimasto ignoto ai più, tra i quali ovviamente il pubblico italiano. Nessuno nel Belpaese trova nulla da ridire, un anno più tardi, quando Looks and Smiles viene dimenticato dalla distribuzione. È il decennio della disco music, della plastica colorata, dello sfrenato ottimismo yuppie reaganiano. Un decennio di sguardi ammiccanti e sorrisi, a combattere la guerra contro il disfattismo punk e i residui delle barricate operaie che solo un decennio prima reclamavano diritti.
Di sorrisi non ne conta molti il film di Loach, e gli sguardi sono tutt’altro che ammiccanti: i titoli di testa di Looks and Smiles scorrono sui dimessi panorami di Sheffield, la città degli Human League, di Michael Palin e Gordon Banks, ma soprattutto dell’acciaio inossidabile, simbolo dello strapotere storico delle sue industrie. Ma la Rivoluzione Industriale è finita da tanto tempo, lasciando posto a file di disoccupati alla disperata ricerca di un impiego. Gli unici sorrisi sono quelli che dispensa il militare incaricato di raccontare alla folla di giovani senza impiego le meraviglie di una vita sotto le armi. Sorrisi d’ordinanza.

A distanza di trentacinque anni dalla sua realizzazione Looks and Smiles sembra ancora parlare al presente, e questo lo si deve a più fattori, solo in minima parte collegati allo sforzo artistico di Loach. La verità è che quello proposto dalla Thatcher è diventato il modello economico per i decenni a venire dell’intero occidente, sostituendosi a tutti i tipi di socialdemocrazia: a volte mostrando il volto più duro e violento, come in Gran Bretagna, altre volte stemperandolo in vaghe formule screziate di pallidi riflessi socialisti, ma sempre recitando il mantra che vuole la crescita della nazione inversamente proporzionale alla perdita di diritti della classe lavoratrice. Nel 1981, dice Loach, lo sforzo collettivo ha già lasciato il posto a un individualismo triste, desolato, privo di reali speranze.
Mick e Karen, i due protagonisti di Looks and Smiles, possono stare insieme, ma le loro prospettive non sono reali, perché ancorate solo ed esclusivamente al presente. Hanno perso il loro carattere dominante, lo sguardo sul futuro. Dov’è il partito-massa dei lavoratori? Non è un caso che Loach, spesso relegato nel campo dei “maestri della retorica” cinematografica, manicheo nella lettura del reale, abbia invece sempre rifuggito la messa in scena dell’atto collettivo, dove l’individuo perde la propria identità, riconoscendone i tratti fallimentari nella società del capitalismo sfrenato. La lotta come strumento del popolo e per il popolo permane nelle astrazioni temporali, la guerra civile spagnola (Terra e libertà, 1995), quella sandinista per la libertà del Nicaragua (La canzone di Carla, 1996), o quella che prima liberò l’Irlanda dal macigno inglese e poi la condusse in una lotta fratricida (Il vento che accarezza l’erba, 2006), ma non trova spazio nel racconto della Gran Bretagna operaia, quella che deve combattere un padrone che non sembra mai avere corpo. Perché ne ha troppi.

All’interno delle storie intime di proletariato e sottoproletariato, che rappresentano il corpo più uniforme e concreto della filmografia di Loach, Looks and Smiles è una delle più convincenti. La gavetta televisiva non ha scalfito il potenziale espressivo del regista, che sceglie però di lavorare sul minimale, sottraendo tutto ciò che è superfluo. La narrazione procede per ellissi, e Chris Menges confeziona per il film un bianco e nero mai estetizzante. Un film nudo, a suo modo, scheletrico. Un film del quale non c’è bisogno di intuire sottotesti o di scoprire pieghe celate a prima vista, perché tutto è evidente. Non declamato, semmai sussurrato, ma evidente. Loach si tiene in disparte, come se stesse a sua volta assistendo a qualcosa che non ha deciso lui (o il suo sceneggiatore, l’allora fedelissimo del regista Barry Hines) ma che deve fuoriuscire perché è stato trattenuto con troppa forza dalla società; dopotutto gran parte dei dialoghi sono improvvisati in scena su un canovaccio, e i tre protagonisti – Mick e Karen e l’amico fraterno di Mick, Alan – non sono attori. Non sono neanche aspiranti attori. Senza scendere mai sul piano di un cinema-verità che potrebbe interessargli solo in maniera laterale, Ken Loach trasforma Looks and Smiles in un fermo immagine spietato sulla gioventù mandata a morire da un sistema che non prende neanche in considerazione l’idea dell’umano.
I disoccupati, perno centrale della poetica di Loach, non sono qui neanche sorretti da una base ideologica – com’è ad esempio per il protagonista di Io, Daniel Blake, l’ultimo film con il quale il regista ha vinto lo scorso maggio la sua seconda Palma d’Oro –, e possono solo accettare i diktat di un mondo che li sovrasta sempre. In qualsiasi momento. Mick è disoccupato, e l’ultima inquadratura fa capire che per lui il lavoro resterà a lungo un miraggio, e se non si arruola (per andare a uccidere cattolici in Nord Irlanda, là dove la guerra è ancora in atto) è solo perché suo padre si oppone con forza, e Karen non vuole essere lasciata da sola. Tutti sono soli in Looks and Smiles, non esiste neanche quella solidarietà proletaria che aprirà spiragli in Riff-Raff, Piovono pietre e il già citato Io, Daniel Blake; i genitori di Karen abbandonano la ragazza al suo destino, e Alan viene ammaliato da un esercito che non diventerà mai un surrogato di famiglia. Il popolo ha perso, e il tonfo è stato epocale. La furia ancora esistente nelle prime inquadrature, con Mick e i suoi amici in motoretta per i colli, è destinata a estinguersi. Mick, alla fine di tutto, è ancora in fila per le liste di collocamento. Non sorride. Il suo sguardo si perde nel vuoto. Looks and Smiles è uno dei caposaldi della cinematografia di Ken Loach. Riscoprirlo, anche alla luce del successo di Io, Daniel Blake, è doveroso.

Info
Looks and Smiles, i titoli di testa.
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