Beuys

Beuys

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Presentato in concorso alla Berlinale 2017, il documentario Beuys di Andres Veiel prova a ricomporre come un puzzle le idee alla base delle opere del pittore e scultore tedesco Joseph Beuys, personaggio vulcanico, controverso, imprevedibile. Artista e teorico. Un corposo lavoro sul materiale audio e video, un film soprattutto divulgativo, a servizio del pubblico e dell’artista.

Il giorno delle settemila querce

Joseph Beuys. L’uomo con il cappello, il feltro e l’angolo di grasso. Tre decenni dopo la sua morte, la forza visionaria dell’arte di Beuys è ancora pulsante, viva, in anticipo sui tempi. Primo artista tedesco a esporre al Guggenheim, in patria è stato spesso deriso, frainteso, considerato costosa spazzatura. Indifferente ai molteplici attacchi, portava avanti un progetto chiaro: «voglio ampliare la percezione della gente». Veiel lascia parlare l’artista – ma anche l’uomo, l’insegnante e il candidato dei Verdi – attraverso audio e video inediti… [sinossi]

Non è privo di difetti Beuys di Andres Veiel, documentario presentato in concorso alla Berlinale 2017. In primis, la confezione piuttosto classica, lontana dai traguardi e dalle sperimentazioni del recente cinema del reale. Veiel alterna diligenti interviste alla mole di immagini e filmati d’archivio, una documentazione video imponente, figlia di un’epoca di sovraesposizione mediatica dell’arte. Della cultura, in generale. Altri tempi. C’era fermento, entusiasmo. Anche denaro.
Ecco, già il primo possibile difetto potrebbe essere smussato o addirittura capovolto: Beuys non pretende di alzare l’asticella del cinema del reale, non vuole plasmare il materiale a disposizione. Non vuole raccontare altro. Il documentario di Veiel è divulgativo, vuole coinvolgere e non sconvolgere. O magari respingere. Didascalico, nel senso positivo del termine.

Il lavoro di ricerca e ricomposizione dell’immagine – delle immagini di archivio e dell’immagine di Beuys – passa attraverso l’accumulo. Veiel trova poi una chiave estetica, una cornice per accompagnare i preziosi documenti: il lavoro di mappatura, cesura e ricostruzione di Beuys diventa contenitore, la scelta e l’accostamento sono mostrati, evidenziati. Televisivo, si dirà. Il secondo difetto. Può essere. Eppure l’impressione è che sia un approccio possibile, utile. Persino filologico. Proprio nelle parole del vulcanico Beuys possiamo rintracciare l’afflato didascalico: «voglio ampliare la percezione della gente». Ci sembra che Veiel voglia proprio mettersi a servizio del pensiero dell’artista, usando volto, parole e opere per rimarcare la penetrante potenza culturale e politica delle performance di Beuys, per sottolineare l’efficacia di queste idee e di queste visioni negli anni Sessanta/Settanta/Ottanta, ma anche oggi e probabilmente domani. Prima ancora del cappello, dell’angolo col burro e delle (divertite e divertenti) polemiche, emerge con forza la capacità di previsione, di lettura del futuro. La cartina tornasole della resilienza del corpus beuysiano è già proiettata nel futuro: 7000 querce (7000 Eichen, 1984) è forse la parte per il tutto, è l’opera ancora viva e pulsante, ben lontana dall’essere finita, completata.

Beuys sorvola su un aggettivo ricorrente, su una delle parole chiave dell’uomo e dell’artista. Controverso. Un terzo possibile difetto. Ma il centro gravitazionale del lungometraggio di Veiel non vuole essere Beuys nella sua interezza. Vuole essere Beuys nella sua portata. E allora è giusto, o quantomeno comprensibile, questo sorvolare sugli anni della gioventù, purtroppo hitleriana. Altri tempi, ancora una volta. Con un fermento ben diverso. Con meno denaro e molto più sangue. La Hitlerjugend non deve però diventare una gabbia, una condanna eterna. Beuys non guarda al passato, ma osserva il presente e ipotizza il futuro. La portata, si diceva. E quelle 7000 querce che stanno ancora crescendo. Oltre la Hitlerjugend, oltre Beuys e la sua prematura scomparsa.

Info
La scheda di Beuys sul sito della Berlinale.
  • Beuys-2017-Andres-Veiel-01.jpg
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  • Beuys-2017-Andres-Veiel-03.jpeg

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