Mar Nero

Mar Nero

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La toscanità ruvida e al contempo generosa di una splendida Ilaria Occhini, meritatamente premiata a Locarno, si integra bene con l’interpretazione istintiva e verace di Dorothea Petre, altra straordinaria rappresentante di quella scena artistica rumena che non finisce mai di sorprendere. Mar Nero è il prezioso esordio alla regia di Federico Bondi.

Un mare dove annegano i pregiudizi

Due donne vivono insieme, nella stessa casa, alla periferia di Firenze. Gemma è un’anziana da poco rimasta vedova. Angela, la badante, è una giovane rumena da pochissimo in Italia. Entrambe sole, si cercano inconsapevolmente e, giorno dopo giorno, si schiudono l’una all’altra… [sinossi]

Nell’accostarsi a una pellicola come Mar Nero, esordio ammirevole secondo molteplici punti di vista, la critica può persino restare imbambolata, indecisa su quale sentiero percorrere: fermarsi a sottolineare lo spessore delle interpretazioni e il tocco di una regia già matura, oppure guardare oltre, lanciarsi senza riserve verso i valori e le problematiche drammaticamente attuali che il film di Federico Bondi riesce a comunicare?
Ovvio che nel felice incontro della componente artistica e di quella sociale risieda l’anima di un altro incontro, dalla struggente intensità, carico di tensioni. La scelta dei personaggi femminili mette infatti in comunicazione mondi contigui ma al tempo stesso irrimediabilmente distanti, che la nostra società sempre più ignorante, brutale, fondamentalmente infelice, vorrebbe a tutti i costi segregare in compartimenti stagni, alimentando attraverso piccole e grandi frustrazioni quotidiane quella reciproca diffidenza alla quale altri media, in primis la televisione, daranno poi il certificato di garanzia; lasciando che ci si abitui all’enfasi morbosa dei telegiornali e allo squallore dei dibattiti giornalistici in onda sul piccolo schermo, per esempio. Ed ecco invece che un’umanità vera, sofferente ma ancora combattiva, torna a brillare negli sguardi di Gemma e Angela. Gemma è una donna anziana, rimasta da poco vedova, con l’animo appesantito dalle malattie e dal fatto che i figli, troppo presi dalle proprie vicissitudini personali e lavorative, finiscono per dedicarle sempre meno tempo, delegando a qualche badante straniera. Angela è la giovane rumena assunta da Enrico, il figlio di Gemma, per occuparsi di lei dopo l’ennesimo ricovero, così da sostituire una precedente e poco fortunata collega. La ragazza prende coscienziosamente il proprio ruolo ma il dialogo con l’altra donna, che all’inizio non si cura nemmeno di impararne il nome, presenta subito grosse difficoltà, acuite dalla nostalgia che Angela prova per il proprio paese, dove ha lasciato il resto della propria famiglia e un amore appena sbocciato. Queste le premesse. La crescita costante del rapporto tra Angela e Gemma, sottolineata da gesti, piccole premure, intimità di pensieri, si configura però quale eccitante scoperta dell’altro e abbattimento dei più ottusi luoghi comuni, da riportare non a un disegno registico astratto ma a un’empatia fatta di segni concreti, palpabili.

«È la Romania che entra in Europa o l’Europa che entra in Romania?» ci si domanda a un certo punto nel film. L’idea è suggestiva, sarà che il giovane regista si è ispirato a percorsi autobiografici (pare che la nonna malata si sia aperta realmente, davanti alla dedizione e ai racconti di una badante rumena), fatto sta che la costruzione di questa complessa relazione, il venirsi incontro delle due donne, vive di momenti magici nella loro semplicità; girati per giunta con una sensibilità rara nello scegliere le inquadrature, conseguentemente a un intimismo senza eccessi e forzature per cui le componenti prossemiche, inerenti a quel rapporto di solidarietà femminile in fieri, si alternano con naturalezza e armonia a carrellate di ambienti fluviali, che segnano lo scivolare nel cuore ancestrale della Romania. Sì, perché il viaggio affrontato insieme diventa la cartina di tornasole della maturazione effettuata da entrambi i personaggi. La toscanità ruvida e al contempo generosa di una splendida Ilaria Occhini, meritatamente premiata a Locarno, si integra bene con l’interpretazione istintiva e verace di Dorothea Petre, altra straordinaria rappresentante di quella scena artistica rumena che non finisce mai di sorprendere. Ha avuto anche fortuna, Federico Bondi, a trovare un cast talmente affiatato (da segnalare, tra gli altri, la sempre magnetica Maia Morgestern e un Corso Salani il cui percorso cinematografico, curioso scherzo del destino, si è intrecciato di frequente con questa ed altre regioni dell’Europa Orientale); considerando anche la qualità di certi apporti tecnici (vedi il montaggio puntuale e ispirato di Ilaria Fraioli), ne è risultata un’opera che similmente a Cover Boy di Carmine Amoroso e a Civico 0 di Citto Maselli, ma attraverso forme espressive persino più valide, testimonia l’apprezzabile tendenza di certo cinema italiano a rappresentare l’urgenza di un rapporto sano, epurato dai preconcetti, tra il nostro paese e una nazione rumena che pur non confinando direttamente ci è sempre più vicina.

Info
Il trailer di Mar Nero.
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