About Elly

About Elly

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È nell’uso del fuoricampo che si esplica maggiormente l’oggettività partecipe di About Elly. Il senso della scomparsa è reso ancor più inquietante dal non visto: volgendo lo sguardo altrove per un momento e poi tornando al punto dov’era Elly, si riesce a ritrovare solo la spiaggia che è rimasta imperturbabile. Entrare e uscire davanti a quel paesaggio manifesta il divenire degli eventi, ma il paesaggio/inquadratura freddamente continua a vivere prima, durante e dopo di noi.

Fantasmi secondo coscienza

Dopo aver vissuto per molti anni in Germania, Ahmad decide di tornare in visita in Iran. I suoi vecchi compagni universitari decidono così di organizzare per l’occasione un piccolo viaggio per passare qualche giorno tutti assieme sul Mar Caspio. Una delle donne del gruppo, la vitale Sepideh, ha già pianificato tutto. Senza farlo sapere ai compagni, ha invitato Elly, l’insegnante di sua figlia. Ahmad, essendo appena uscito da un matrimonio infelice con una donna tedesca, vorrebbe anche poter trovare una donna con la quale potersi stabilizzare in Iran, e quella donna potrebbe proprio essere Elly. Solo che nel giorno che segue la partenza, mentre tutto sembra andare per il meglio, avviene un incidente ed Elly scompare. Cercano anche di contattare la sua famiglia, ma nessuno pare sapere niente. I sospetti su chi sia e che fine abbia fatto Elly cominciano irrimediabilmente a turbare il gruppo di amici… [sinossi]

C’è un pregiudizio forte che si è intrufolato in alcuni spettatori nell’ultimo quarto di secolo del cinema: quello che la cinematografia iraniana sia sinonimo di qualità. A confermare questo pregiudizio una volta di più ci ha pensato About Elly di Ashgar Farhadi. Se il regista con Fireworks Wednesday aveva vinto il festival di Locarno 2006, stavolta si è visto assegnare l’Orso d’Argento per la migliore regia al Festival di Berlino del 2009, e si direbbe con pieno merito. E i punti di forza di About Elly sembrano effettivamente rammentare i capolavori che posero probabilmente le basi per un cinema nazionale profondamente diverso, sia dal circuito mainstream, sia anche da varie istanze del cinema d’autore. Anche in autori poeticamente non simili come il Mohsen Makhmalbaf di Salaam Cinema (1995), o Abbas Kiarostami (la cui lunga filmografia da Dov’è la casa del mio amico? del 1987 fino all’ultimo Copia conforme lo pone tra i massimi cineasti viventi), per citare i due registi più influenti del paese mediorentiale, si ravvisa tuttavia quella straordinaria capacità di rendere una realtà per immagini in modo multiforme. Realtà mai riconducibile a una storia, alla mera finzione, chiusa in essa, ma aperta nel senso di rimandata all’interpretazione, alla riflessione dello spettatore, e nemmeno mai guidata da esigenze sociologiche o direttamente politiche.

Appunto questa abilità che spesso si manifesta con una naturale commistione tra finzione e documentario, è fatta propria anche da Farhadi. Quello che abbiamo davanti è un ritratto a posteriori di una ragazza, affascinante per la mancanza di elementi che lo possano comporre se non quelli che percepiamo da chi parla di lei, che la conosca bene o solo da poche ore. La storia di Elly segue le orme di un thriller e tuttavia lo nega in quanto i protagonisti della drammatica inchiesta, tre giovani coppie con figli al seguito che affittano una villa al mare, sembrano voler indagare su chi sia realmente la giovane ragazza scomparsa, più che capire veramente che fine abbia fatto. Essere donna in Iran comporta affrontare una serie di prove morali, ed Elly, viva o morta che sia, le deve superare comunque, perciò il processo dentro una piccola comunità di persone va comunque inscenato, e ovviamente è il conformismo, il pensiero dominante a uscirne fuori. Ma Farhadi è lontano dal pamphlet o da schemi sociali, e preferisce tirar fuori tutte le contraddizioni e la sincerità di donne e uomini, questi ultimi anch’essi vittime di una costrizione di ruolo loro malgrado; a questo punto che Elly venga marchiata o meno con la A di adultera non è più così importante per noi, perché tutti i meccanismi psicologici sono stati messi a nudo passando per nevrosi, paure e profondo senso di pietà. Il risultato che ne viene fuori non è dissimile dal doloroso e intenso Il cerchio di Jafar Panahi, dove appunto per la donna il grido di protesta rimane soffocato, o placato dalla possibilità di poter sparire altrove. Il vero dolore qui è rappresentato dal personaggio dell’amica stretta di Elly, interpretato magistralmente dalla bella Golsfifteh Farahani (accanto a Leonardo Di Caprio in Nessuna verità di Ridley Scott), le cui lacrime cercano di colmare un senso di colpa che è stato socialmente, e dunque ingiustamente indotto. La costruzione concettuale che emerge dal turbinio emotivo di About Elly tuttavia si rivolge in modo universale, non certo solo al mondo iraniano, e se questa riflessione giunge a noi è merito del profondo senso di realtà nella pellicola; proprio quella capacità suddetta di mantenersi oggettivamente distanti dalle cose, di non appassionarsi alla trama ma semmai allo spazio intorno alle persone. L’autore si presta a seguire le vicissitudini dei nostri con la macchina a mano, frequentemente però ricorrendo a piani lunghi, di rado passando a primi piani, non dando mai l’impressione di voler amplificare passaggi drammatici più del dovuto.

Ma è soprattutto nell’uso del fuoricampo, come sovente accade in Kiarostami, che si esplica maggiormente questa oggettività partecipe. Proprio il senso della scomparsa è reso ancor più inquietante dal non visto: volgendo lo sguardo altrove per un momento e poi tornando al punto dov’era Elly, si riesce a ritrovare solo la spiaggia che è rimasta imperturbabile. Entrare e uscire davanti a quel paesaggio manifesta il divenire degli eventi, ma il paesaggio/inquadratura freddamente continua a vivere prima, durante e dopo di noi.

Info
Il trailer originale di About Elly.
About Elly sul canale YouTube Movies.
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